Tarda Terza Era
Tra i personaggi del Signore degli Anelli dotati di voce e di una presenza nella storia, ve n’è uno capace di stupire per ragioni uniche.
Ci troviamo nella Contea, l’anno è il 3018 della Terza Era, e Frodo, Sam e Pipino stanno cominciano il loro viaggio lungo la Via Est.
Si trovavano sulle verdi colline, non lontani da Tucboro, ancora ben all’interno dei confini della Contea. Due giorni dopo si sarebbero dovuti incontrare con Merry a Buckburgo, e decisero di trascorrere la notte in una forra riparata.
Mentre dormivano, il nostro protagonista spuntò dai paraggi: una volpe bruna! Che non si limitò a guardare e scappare, come avrebbe fatto un suo simile, ma si sentì in dovere di dire la propria:
‘“Hobbit!”, pensò. “Incredibile! Avevo sentito dire che avvenivano strane cose in questo paese, ma trovare addirittura degli Hobbit che dormono all’aria aperta sotto un albero! E sono in tre! C’è sotto qualcosa di molto strano”. Aveva perfettamente ragione, ma non riuscì mai a scoprire che cosa ci facessero in quel punto della Contea.’
Sgattaiolò tra gli alberi, e uscì per sempre dalla nostra storia.
Perché questo personaggio è interessante? Le ragioni sono due.
La prima è narrativa: se il Libro Rosso è stato scritto dagli Hobbit (Bilbo, Frodo, Sam e i suoi discendenti), e tutti e tre dormivano quella notte, chi ha registrato il pensiero della volpe di passaggio? È un’invenzione letteraria? Un intervento di un mai descritto narratore esterno? Di un Deus ex machina?
Forse la seconda ragione ci può aiutare: è importante ricordare che, da quel momento in poi, non vi sono più animali parlanti nelle cronache della Terra di Mezzo, fatte salve le Grandi Aquile di Manwë – in cui, come sappiamo, alberga lo spirito di un Maia. E allora dobbiamo chiederci: perché adesso?
Dal nostro punto di vista, la seconda ragione è metanarrativa. Gli Hobbit si trovavano allora proprio al limitare della Contea, sulla soglia del territorio che conoscevano. Poco prima il testo ci ricorda, infatti, che Sam conosceva tutto il territorio a trenta miglia intorno ad Hobbiville, ma che non si era mai spinto al di là di questa distanza. Oltre a essa stava l’ignoto, il selvaggio, l’inesplorato. Il mondo reale.
Al di qua di questo confine, c’è il fiabesco e confortevole mondo della Contea, in cui la magia esiste solo nei cicli della Natura, nella fermentazione della buona birra, nei fuochi di artificio di Gandalf. E, forse, nella voce dei piccoli animali che in quella terra pacifica trovavano rifugio, conforto e nutrimento.
La nostra volpe si stupisce di vedere Hobbit così lontani dalle loro case, che dormono al limitare del bosco che è la propria casa. E presagisce a tutti noi che “qualcosa di molto strano” è nell’aria.
Non è un semplice animale di passaggio, è un segnale, un landmark come gli Argonath a Nen Hithoel: da lì in poi il mondo intorno a loro sarebbe cambiato. Dopotutto, poche pagine dopo vi sarà il primo incontro con un Cavaliere Nero, e la fuga notturna verso Brea.
E ci piace pensare che il passaggio della volpe e il suo pensiero siano state un’interpolazione tardiva, forse di Sam o forse di qualche successivo custode del Libro Rosso, messo lì per segnalare ai lettori che il tono della storia – e con essa la Storia – stava per cambiare.