«E pensare che a momenti è giugno!» borbottò Bilbo, mentre sguazzava dietro agli altri in un sentiero fangosissimo. L’ora del tè era passata; pioveva a dirotto, come non aveva smesso di fare per tutta la giornata; il cappuccio gli sgocciolava negli occhi, il mantello era pieno d’acqua; il pony era stanco e inciampava sui sassi, e gli altri erano troppo di cattivo umore per parlare.
nani
All’inizio erano passati attraverso le terre abitate dagli Hobbit, una vasta e rispettabile contrada abitata da gente per bene, con strade buone, una o due locande e di quando in quando un Nano o un fattore in giro per affari. Poi arrivarono a terre dove la gente parlava in modo strano, e cantava canzoni che Bilbo non aveva mai sentito prima.
Cavalcavano da poco, quando arrivò Gandalf, veramente superbo su un cavallo bianco. Recava con sé molti fazzoletti, e la pipa e il tabacco di Bilbo. Dopo di ciò, dunque, la brigata andò avanti molto allegramente, ed essi raccontarono storie o cantarono canzoni tutto il giorno mentre cavalcavano, eccetto naturalmente quando si fermavano per i pasti.
Proprio allora tutti gli altri sbucarono da dietro l’angolo della strada proveniente dal villaggio. Montavano dei pony, e da entrambi i fianchi di ogni pony pendevano i bagagli più disparati: casse, pacchi ed effetti personali. C’era anche un pony piccolo piccolo, a quanto pareva destinato a Bilbo.…
«Hai solo dieci minuti di tempo. Ti toccherà correre» disse Gandalf.
«Ma…» disse Bilbo.
«Non c’è tempo» disse lo stregone.
«Ma…» disse ancora Bilbo.
«Non c’è tempo neanche per questo! Sbrigati!».
Fino alla fine dei suoi giorni Bilbo non riuscì mai a ricordare come fece a trovarsi fuori casa, senza cappello, bastone, un po’ di denaro, o una qualsiasi di quelle cose che di solito portava con sé quando usciva, lasciando a metà la sua seconda colazione e senza sparecchiare, ficcando le chiavi in mano a Gandalf e correndo alla massima velocità consentitagli dai piedi lanosi giù per il viottolo, oltre il grande Mulino, al di là dell’Acqua e poi per un miglio e più.
Bilbo saltò su, e mettendosi la vestaglia andò in sala da pranzo. Non ci trovò nessuno, ma ben visibili erano i segni di una colazione abbondante e frettolosa. C’era un disordine spaventoso nella stanza, e pile di vasellame da lavare in cucina.
«Senti senti!» disse Bilbo, e per caso lo disse ad alta voce.
«Senti che cosa?» dissero tutti volgendosi improvvisamente verso di lui, ed egli ne fu così confuso che rispose: «Senti che cosa ho da dire!».
«Che cosa?» chiesero.
«Be’, direi che dovreste andare a Est a dare un’occhiata in giro.
«Non capisco» disse Thorin, e Bilbo pensò che gli sarebbe piaciuto dire lo stesso. La spiegazione non sembrava spiegare niente.
«Tuo nonno» disse lo stregone con voce lenta e severa «dette la mappa a suo figlio prima di recarsi nelle miniere di Moria.
«Non è che io me ne sia impossessato; essa mi è stata data» disse lo stregone. «Tuo nonno Thror fu ucciso, come ben ricordi, nelle miniere di Moria da Azog l’Orco*».
«Maledetto il suo nome, sì» disse Thorin.
«E Thrain, tuo padre, scomparve il ventun aprile, che giovedì scorso faceva cent’anni, e tu non l’hai più visto da allora…».
«Quei pochi tra noi che erano fuori al sicuro si sedettero e piansero, tenendosi nascosti, e maledissero Smog; poi, inaspettatamente, fummo raggiunti da mio padre e da mio nonno con le barbe bruciate. Avevano un aspetto torvo ed ebbero pochissime parole.