Trenta bianchi destrier
su un colle rosso
battono e mordono,
ma nessun si è mosso*.
 Questo fu tutto quello che gli venne in mente di chiedere – non riusciva a pensare ad altro che a mangiare. Era per giunta un indovinello vecchio, e Gollum.
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 Così Gollum sibilò:
Radici invisibili ha,
più in alto degli alberi sta,
lassù fra le nuvole va
e mai tuttavia crescerà.
 «Facile!» disse Bilbo. «È la montagna, penso».
 «Indovina cosssì facilmente? Deve fare a gara con noi, tesssoro mio! Se il tesoro domanda e lui non risponde, lo mangiamo, tesssoro mio.
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 Era ansioso di mostrarsi amichevole, almeno per il momento e fintantoché non ne sapesse di più sulla spada e sullo Hobbit: se fosse veramente tutto solo, se fosse buono da mangiare, e se lui, Gollum, avesse veramente fame. Gli enigmi erano la sola cosa che gli fosse venuta in mente.
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 Lo Hobbit schizzò quasi fuori dalla pelle quando il sibilo gli giunse alle orecchie, e improvvisamente vide quegli occhi pallidi che sporgevano verso di lui. «Chi sei?» disse, piantandogli la spada davanti.
 «Che cosa sssarà tesssoro mio?» sussurrò Gollum (che si rivolgeva sempre a se stesso, non avendo mai nessun altro con cui parlare).
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 Gollum viveva, per la precisione, sopra un isolotto roccioso e sdrucciolevole in mezzo al lago. Ora stava osservando Bilbo di lontano coi suoi pallidi occhi telescopici. Bilbo non poteva vederlo, ma lui era molto incuriosito da Bilbo, perché poteva facilmente constatare che non aveva niente a che fare con un Orco.
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 Qui, nel profondo, presso l’acqua scura*, viveva il vecchio Gollum, un essere piccolo e viscido. Non so da dove venisse, né chi o che cosa fosse. Era Gollum, scuro come l’oscurità stessa, eccezion fatta per due grandi occhi rotondi e pallidi nel viso scarno**.
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Racconti di Tolkien