Il Re della Montagna, poi Re dei Morti
Dimholt, c.a. 3.400 S.E. – Pelargir (?), 3.019 T.E.
Molti erano i Regni degli Uomini che sorsero nella Terra di Mezzo tra la fine della Prima e l’inizio della Terza Era, che fossero entità autonome di popoli dotati di usi e costumi simili, o imperi di grandi conquistatori, che si giovavano del vuoto di potere dovuto all’assenza dei Nùmenoreani o delle mire di Sauron, sempre puntate verso Ovest e verso le terre degli Eldar nell’Eriador e nel Lindon.
E molto spesso questi Regni degli Uomini erano così deboli da essere inevitabilmente soggiogati al passaggio dell’Una o dell’Altra Potenza della Seconda Era.
Uno di essi era il Regno degli Uomini delle Montagne, discendenti di coloro che, separatisi dalle schiere che oltrepassarono i Monti Azzurri e giocarono un ruolo, nel bene e nel male, durante le battaglie contro Morgoth, si fermarono nelle vastità della Valle del Grande Fiume e del Calenardhon, ove il territorio ricco permetteva di adottare uno stile di vita sedentario.
Inevitabilmente, il Regno che essi fondarono nelle valli settentrionali dei Monti Bianchi cadde sotto il potere di Sauron quando questi raccolse un grande esercito per muovere guerra agli Eldar, prima nell’Eregion e poi nel Lindon stesso. Ed essi giurarono fedeltà al Nemico, e lo adorarono come Re e come Signore del loro Destino, fino a che egli non fu sfidato da Ar-Pharazôn il Dorato, ultimo Re di Nùmenor, e condotto alla Terra della Stella come ostaggio, in un primo momento, e poi assurto alle grazie del monarca grazie alle sue arti persuasive e alla promessa di una vita lunga quanto quella degli Eldar.
Negli anni di assenza di Sauron, gli Uomini delle Montagne si autogovernarono, convincendosi, forse, che l’Ombra fosse definitivamente scomparsa. Ma una voce giunse a loro di una grande onda a Ovest, e del fatto che il mondo stava cambiando. Pochi anni dopo, un’avanguardia giunse a loro da Isildur e Anàrion, Re del nuovo Regno in Esilio creato dagli esuli di Nùmenor che aveva preso nome Gondor.
Ed essi chiesero il loro servizio nella guerra che stava per ricominciare contro Sauron, il quale era fuggito su un nero vento dalla rovina di Nùmenor e aveva ripreso il proprio posto a Mordor, al comando di un forte esercito che, durante la sua assenza, era stato accresciuto e addestrato per sferrare il colpo decisivo ai Figli di Ilùvatar.
E il Re della Montagna si incontrò con Isildur in persona alla Roccia di Erech, e qui si inginocchiò ai suoi piedi e giurò che lui e il suo popolo avrebbero combattuto insieme ai Nùmenoreani la guerra contro Mordor.
Eppure molti non erano convinti di questa decisione: per decenni i loro padri avevano venerato Sauron come Signore del loro Destino, e ora proprio i Nùmenoreani, che si erano sempre presentati a loro come dominatori e conquistatori, chiedevano il loro aiuto nello scontro contro chi avevano ritenuto una divinità.
Vi fu chi disse che fosse la paura a serpeggiare nelle loro schiere, e altri che ne parlarono come di un popolo vile, poco esperto nell’arte della guerra e più a proprio agio nel chinare la testa e nascondersi tra le montagne. Altri ipotizzarono una loro volontà di tradimento, ma è altresì possibile che sapessero che mai Sauron avrebbe perdonato il loro passaggio tra le schiere dei Nemici di Mordor, e che quindi fossero destinati in ogni caso ad essere cacciati e sterminati.
Quale che fosse la ragione della loro scelta, quando giunse la chiamata, e le schiere di Gondor e di Arnor furono raccolte insieme all’esercito degli Eldar sulla piana di Dagorlad, essi non si presentarono, tradendo il giuramento pronunciato con tanta solennità dal proprio Re.
Lunga fu la battaglia e l’assedio della Torre Oscura che ne seguirono. Ed Anàrion fu ucciso da un proiettile di Barad-Dûr che lo colpì all’occhio, ed Elendil morì al fianco di Gil-Galad quando insieme sconfissero Sauron, fino a quando Isildur non raccolse un moncone di Narsil, la spada del padre, e recise l’anello dal dito dell’Oscuro Signore, che fu momentaneamente costretto all’impotenza.
E dopo essersi proclamato Re, come sovrano Isildur dispensò onori e punizioni. E un giorno si recò alla Valle di Erech ove anni prima il Re sotto la Montagna aveva giurato di combattere al suo fianco, e pronunciò una grave maledizione: per non aver soddisfatto il proprio giuramento, e dichiarò che nessun Re avrebbero avuto dopo colui che li guidava, e che aveva scelto il tradimento al coraggio. E che essi non avrebbero trovato pace fino a che lui o un suo discendente non li avrebbe nuovamente chiamati in battaglia.
Gli anni passarono, e anno dopo anno il popolo delle Montagne svaní. Ma essi non morirono: lentamente si trasformarono in spettri e ombre, che per quasi tremila anni infestarono le Montagne tra Dunclivo e Erech. Ed egli fu chiamato il Re dei Morti terrorizzando la popolazione e uccidendo chiunque osasse entrare nei loro domini senza avere il diritto di richiamarli in battaglia. Questa fu la sorte di Baldor figlio di Brego di Rohan, i cui resti furono ritrovati molti anni dopo, quando infine l’attesa del Re terminó.
Infatti, durante la Guerra dell’Anello, giunse nelle terre sotto il Dwimorbeg Aragorn figlio di Arathorn, erede di Isildur, spinto dalla fretta e dal bisogno. Ed egli convocò le armate dei Morti a Erech, e qui parlò al loro Re chiedendo il loro supporto nella liberazione di Pelargir, che era assediata dai Corsari di Umbar e rappresentava l’ultima protezione da un’invasione navale di Minas Tirith.
E i Morti risposero all’appello, seguendo Aragorn e la Grigia Compagnia attraverso il Lamedon fino alla foce del Grande Fiume, dove schiacciarono le forze dei Corsari e ne requisirono le navi, consegnandole a colui che li aveva convocati.
E Aragorn parlò a loro e al loro Re, dichiarando il loro giuramento soddisfatto, e concedendo loro la Pace tanto agognata.
E l’ultimo suono che la Grigia Compagnia udì, prima che il Re e il suo esercito scomparissero nel vento che giungeva dal Mare, fu solo un lungo, profondo sospiro di liberazione.