LINGUE ELFICHE/25 IL CORPUS QUENYA (POESIA) - PARTE IV ~ Il poema Markirya

Nella lecture che abbiamo citato nel primo post di questa rubrica, A Secret Vice (1931), Tolkien racconta al suo uditorio come è nata e si è sviluppata la sua passione per l’invenzione di lingue artificiali. Alla fine del saggio propone come esempio di ciò che il suo “vizio segreto” ha prodotto quattro poesie: tre frammenti in Q(u)enya e uno in Noldorin. Delle tre poesie Quenya (Oilima Markyria, Nieninque ed Earendel) vorrei qui presentare la versione finale della prima, come esempio di Quenya maturo, scritta non ai tempi di A Secret Vice, bensì negli anni ’60, ovvero nell’ultimo decennio della sua vita.

Per la traduzione mi avvarrò della versione di Gianluca Comastri (dalla traduzione della pagina dedicata al poema sul portale di Ardalambion), e non di quella proposta nell’Antologia di J. R. R. Tolkien (Rusconi) o in Il Medioevo e il Fantastico (Luni), che, come Comastri stesso puntualizza, fu realizzata con grosse licenze interpretative dal testo inglese.

 

Oilima Markirya

L’ultima Arca

.

Men [man] cenuva fánë cirya

métima hrestallo círa,

i fairi nécë

ringa súmaryassë

5       ve maiwi yaimië?

.

Man tiruva fána cirya,

wilwarin wilwa,

ëar-celumessen

rámainen elvië

10     ëar falastala,

winga hlápula

rámar sisílala,

cálë fifírula?

.

Man hlaruva rávëa súrë

15     ve tauri lillassië,

ninqui carcar yarra

isilmë ilcalassë,

isilmë pícalassë,

isilmë lantalassë

20     ve loicolícuma;

raumo nurrua,

undumë rúma?

.

Man cenuva lumbor ahosta

Menel acúna

25     ruxal’ ambonnar,

ëar amortala,

undumë hácala,

enwina lúmë

elenillor pella

30     talta-taltala

atalantië mindonnar?

.

Man tiruva rácina cirya

ondolissë mornë

nu fanyarë rúcina,

35     anar púrëa tihta

axor ilcalannar

métim’ auressë?

Man cenuva métim’ andúnë?

.

Chi vedrà una nave bianca

lasciare l’ultima sponda,

i pallidi fantasmi

nel suo freddo petto

simili al lamento dei gabbiani?

.

Chi si accorgerà di una nave bianca,

vaga come una farfalla,

fra le correnti marine

su ali come di stelle,

quando il mare si gonfia,

la spuma irrompe,

le ali scintillano,

la luce scema?

.

Chi udrà il fragore del vento

come il fogliame nei boschi;

le bianche rocce rimbombare

al bagliore della luna,

al calar della luna,

al cader della luna

la candela di un morto;

il romorìo della tempesta,

l’abisso che si muove?

.

Chi vedrà le nuvole radunarsi,

i cieli incurvarsi

sopra colli che si sgretolano,

il mare sollevarsi,

gli abissi spalancarsi,

l’antica oscurità

oltre le stelle

cadere

sopra torri cadute?

.

Chi si accorgerà di una nave spezzata

sulle nere rocce

sotto cieli squarciati,

un sole offuscato che luccica

su ossa scintillanti

nell’ultima mattina?

Chi vedrà l’ultima sera?

 

Sarebbe molto impegnativo, e poco adatto alla natura di questi post, compiere una dettagliata analisi linguistica di questo testo, il più lungo elemento di corpus Quenya mai pubblicato.
Tra gli elementi grammaticali di rilievo ancora mai citati in questa rubrica, che questo poema porta alla nostra attenzione, vi sono ad esempio la formazione dei participi e le loro forme frequentative (es. sisílala, fifírula), o la flessione degli aggettivi, che in rari casi prendono la desinenza del caso al posto del sostantivo, a causa dell’ordine poetico della frase (es. isilmë ilcalassë, lett. “la luna alla luminescente”).
Per qualsiasi approfondimento ulteriore vi rimando al commentario e glossario che fa da chiosa al Vizio segreto, nonché al già citato articolo di Helge Fauskanger su Ardalambion, in cui viene fatta un analisi testuale completa.

Come per gli altri testi analizzati, vi lascio di seguito il poema Markirya trascritto in Tengwar:

[font: Tengwar Annatar]

 

¬ `N`Bj%t# t#6aG7ÏE ¬

t#5 aF5^^yE e~C5$ ahÎ7G`C
t~V1Gt# ½7R81Ej°^ a~B7D
`B elE7G 5~VaF
7Ts# 8~Mt#7ÏE,F
yR tlEnT hEÍ`Bt%`V À

t#5 1G7JyD e~C5# aG7ÏE =
nTjnE7G5 nTjnE =
`V`C6\aFj&t$,R5
7~CtlE5$5 `VjyT`V
`V`C6 eDj#81Ej# =
nTs# ½j~CqJJj#
7~Ct#6 IG*~Bj#j# =
a~Cj$ eGe~B7Uj# À

t#5 ½j#7UyE 7~CyR`C G*~M7R
yR 1.E7G j%j°#,T`V =
5%v% aD6aD6 hÎE7’E
`BIGjt$ `BjaDj#,F =
`BIGjt$ q~BaDj#,F =
`BIGjt$ j#4#j#,F
yF jlHaHj~BaJt#Â
7.Dt^ 5&7’J`C =
`M2&t$ 7~Mt# À

t#5 aF5&yE j&w^6 `C9H81E
t$5$j `Ca~M5#
7Ua|Dj `Cw^5:#6 =
`V`C6 `Ct^61Ej# =
`M2&t$ 9~CaDj# =
`V5nT5# j~Mt$
`Vj$5%j°^6 qFj°#
1Ej1E\1Ej1Ej#
`C1Ej#4%`V t%2^5:#6 À

t#5 1T7UyE 7~CaG5# aG7ÏE
`N2^j%,R t^65$
5& eD5Ì#7R 7~MaG5# =
`C5#6 q~M7`C 1Td1E
`Ca|H6 `BjaDj#5:#6
t~V1Tt .E7R,R À
t#5 aF5&yE t~V1Tt `C2~M5$ À

 

The Last of the Fellowship by Darrell K. Sweet

In ultimo vorrei attirare brevemente l’attenzione su alcuni degli aspetti più strettamente “letterari”, dato che, avendo potuto osservare più di un esempio di poesia elfica, possiamo ormai spingerci a tracciare qualche comune denominatore di “stile”.
Dal punto di vista formale, questa poesia, divisa in cinque stanze dal metro variabile (soprattutto trimetri nella prima parte e tetrametri nella seconda), è ancora più densamente allitterativa del Namárië, e fa ampio ricorso a figure retoriche come l’anafora (per esempio di isilmë ai versi 17-19), l’assonanza (vv. 1-2; 6-7; 20-22.24; 32.34-35) e l’omoteleuto (17-19; 26.30). Pur non avendo uno schema di rime regolare, presenta diverse rime alternate (10-13; 20.22; 25.31; 26-27.30).
È evidente, da tutto questo, l’arduo studio formale e il labor limae profuso da Tolkien per arrivare a un livello di sofisticazione così alta, mantenendo sempre alto anche il livello di ricerca lessicale e riuscendo ormai a conseguire un’indubbia riconoscibilità dello “stile Quenya”.
In Parma Eldalamberon #16 si afferma che di questo poema esisterebbero ben 12 versioni, e solo tre di queste sono state pubblicate in A Secret Vice. Da un confronto tra tutte queste versioni, come viene osservato dai curatori della rivista nell’articolo dedicato alla Early Elvish Poetry, ne deriva una rappresentazione piuttosto evidente dell’evoluzione del Quenya nel corso dei decenni, man mano che la concezione di Tolkien andava perfezionandosi.

Vi sarebbero diversi altri esempi di corpus Quenya da prendere in esame, tanto in prosa quanto in poesia (alcuni li abbiamo citati in questo post): di questi diversi sono tratti dal Signore degli Anelli, dal Silmarillion o dai volumi della History of Middle-earth, ma per il momento ho voluto soffermarmi su questi, tra i più famosi e più spesso “dissezionati” dagli studiosi di linguistica tolkieniana, a causa della quantità non banale di riflessioni che riescono a suscitare.

Dalla prossima volta vedremo qualche esempio di Sindarin.

Bibliografia essenziale di riferimento:

  • A Secret Vice (1931), tratto da The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983). Traduzione italiana: Un vizio segreto, tratto da Il Medioevo e il Fantastico (2000) e edizioni successive.
  • Early Elvish Poetry tratto da Parma Eldalamberon #16 – ed. Gilson – Welden – Hostetter.
  • Le Lingue degli Elfi della Terra di Mezzo, Vol. I: storia e sviluppo delle lingue elfiche di Arda (2016) di Gianluca Comastri.

Sitografia:

 

-Rúmil

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