Nella lecture che abbiamo citato nel primo post di questa rubrica, A Secret Vice (1931), Tolkien racconta al suo uditorio come è nata e si è sviluppata la sua passione per l’invenzione di lingue artificiali. Alla fine del saggio propone come esempio di ciò che il suo “vizio segreto” ha prodotto quattro poesie: tre frammenti in Q(u)enya e uno in Noldorin. Delle tre poesie Quenya (Oilima Markyria, Nieninque ed Earendel) vorrei qui presentare la versione finale della prima, come esempio di Quenya maturo, scritta non ai tempi di A Secret Vice, bensì negli anni ’60, ovvero nell’ultimo decennio della sua vita.
Per la traduzione mi avvarrò della versione di Gianluca Comastri (dalla traduzione della pagina dedicata al poema sul portale di Ardalambion), e non di quella proposta nell’Antologia di J. R. R. Tolkien (Rusconi) o in Il Medioevo e il Fantastico (Luni), che, come Comastri stesso puntualizza, fu realizzata con grosse licenze interpretative dal testo inglese.
Oilima Markirya |
L’ultima Arca |
. Men [man] cenuva fánë cirya métima hrestallo círa, i fairi nécë ringa súmaryassë 5 ve maiwi yaimië? . Man tiruva fána cirya, wilwarin wilwa, ëar-celumessen rámainen elvië 10 ëar falastala, winga hlápula rámar sisílala, cálë fifírula? . Man hlaruva rávëa súrë 15 ve tauri lillassië, ninqui carcar yarra isilmë ilcalassë, isilmë pícalassë, isilmë lantalassë 20 ve loicolícuma; raumo nurrua, undumë rúma? . Man cenuva lumbor ahosta Menel acúna 25 ruxal’ ambonnar, ëar amortala, undumë hácala, enwina lúmë elenillor pella 30 talta-taltala atalantië mindonnar? . Man tiruva rácina cirya ondolissë mornë nu fanyarë rúcina, 35 anar púrëa tihta axor ilcalannar métim’ auressë? Man cenuva métim’ andúnë? |
. Chi vedrà una nave bianca lasciare l’ultima sponda, i pallidi fantasmi nel suo freddo petto simili al lamento dei gabbiani? . Chi si accorgerà di una nave bianca, vaga come una farfalla, fra le correnti marine su ali come di stelle, quando il mare si gonfia, la spuma irrompe, le ali scintillano, la luce scema? . Chi udrà il fragore del vento come il fogliame nei boschi; le bianche rocce rimbombare al bagliore della luna, al calar della luna, al cader della luna la candela di un morto; il romorìo della tempesta, l’abisso che si muove? . Chi vedrà le nuvole radunarsi, i cieli incurvarsi sopra colli che si sgretolano, il mare sollevarsi, gli abissi spalancarsi, l’antica oscurità oltre le stelle cadere sopra torri cadute? . Chi si accorgerà di una nave spezzata sulle nere rocce sotto cieli squarciati, un sole offuscato che luccica su ossa scintillanti nell’ultima mattina? Chi vedrà l’ultima sera? |
Sarebbe molto impegnativo, e poco adatto alla natura di questi post, compiere una dettagliata analisi linguistica di questo testo, il più lungo elemento di corpus Quenya mai pubblicato.
Tra gli elementi grammaticali di rilievo ancora mai citati in questa rubrica, che questo poema porta alla nostra attenzione, vi sono ad esempio la formazione dei participi e le loro forme frequentative (es. sisílala, fifírula), o la flessione degli aggettivi, che in rari casi prendono la desinenza del caso al posto del sostantivo, a causa dell’ordine poetico della frase (es. isilmë ilcalassë, lett. “la luna alla luminescente”).
Per qualsiasi approfondimento ulteriore vi rimando al commentario e glossario che fa da chiosa al Vizio segreto, nonché al già citato articolo di Helge Fauskanger su Ardalambion, in cui viene fatta un analisi testuale completa.
Come per gli altri testi analizzati, vi lascio di seguito il poema Markirya trascritto in Tengwar:
[font: Tengwar Annatar]
¬ `N`Bj%t# t#6aG7ÏE ¬
t#5 aF5^^yE e~C5$ ahÎ7G`C
t~V1Gt# ½7R81Ej°^ a~B7D
`B elE7G 5~VaF
7Ts# 8~Mt#7ÏE,F
yR tlEnT hEÍ`Bt%`V À
t#5 1G7JyD e~C5# aG7ÏE =
nTjnE7G5 nTjnE =
`V`C6\aFj&t$,R5
7~CtlE5$5 `VjyT`V
`V`C6 eDj#81Ej# =
nTs# ½j~CqJJj#
7~Ct#6 IG*~Bj#j# =
a~Cj$ eGe~B7Uj# À
t#5 ½j#7UyE 7~CyR`C G*~M7R
yR 1.E7G j%j°#,T`V =
5%v% aD6aD6 hÎE7’E
`BIGjt$ `BjaDj#,F =
`BIGjt$ q~BaDj#,F =
`BIGjt$ j#4#j#,F
yF jlHaHj~BaJt#Â
7.Dt^ 5&7’J`C =
`M2&t$ 7~Mt# À
t#5 aF5&yE j&w^6 `C9H81E
t$5$j `Ca~M5#
7Ua|Dj `Cw^5:#6 =
`V`C6 `Ct^61Ej# =
`M2&t$ 9~CaDj# =
`V5nT5# j~Mt$
`Vj$5%j°^6 qFj°#
1Ej1E\1Ej1Ej#
`C1Ej#4%`V t%2^5:#6 À
t#5 1T7UyE 7~CaG5# aG7ÏE
`N2^j%,R t^65$
5& eD5Ì#7R 7~MaG5# =
`C5#6 q~M7`C 1Td1E
`Ca|H6 `BjaDj#5:#6
t~V1Tt .E7R,R À
t#5 aF5&yE t~V1Tt `C2~M5$ À

In ultimo vorrei attirare brevemente l’attenzione su alcuni degli aspetti più strettamente “letterari”, dato che, avendo potuto osservare più di un esempio di poesia elfica, possiamo ormai spingerci a tracciare qualche comune denominatore di “stile”.
Dal punto di vista formale, questa poesia, divisa in cinque stanze dal metro variabile (soprattutto trimetri nella prima parte e tetrametri nella seconda), è ancora più densamente allitterativa del Namárië, e fa ampio ricorso a figure retoriche come l’anafora (per esempio di isilmë ai versi 17-19), l’assonanza (vv. 1-2; 6-7; 20-22.24; 32.34-35) e l’omoteleuto (17-19; 26.30). Pur non avendo uno schema di rime regolare, presenta diverse rime alternate (10-13; 20.22; 25.31; 26-27.30).
È evidente, da tutto questo, l’arduo studio formale e il labor limae profuso da Tolkien per arrivare a un livello di sofisticazione così alta, mantenendo sempre alto anche il livello di ricerca lessicale e riuscendo ormai a conseguire un’indubbia riconoscibilità dello “stile Quenya”.
In Parma Eldalamberon #16 si afferma che di questo poema esisterebbero ben 12 versioni, e solo tre di queste sono state pubblicate in A Secret Vice. Da un confronto tra tutte queste versioni, come viene osservato dai curatori della rivista nell’articolo dedicato alla Early Elvish Poetry, ne deriva una rappresentazione piuttosto evidente dell’evoluzione del Quenya nel corso dei decenni, man mano che la concezione di Tolkien andava perfezionandosi.
Vi sarebbero diversi altri esempi di corpus Quenya da prendere in esame, tanto in prosa quanto in poesia (alcuni li abbiamo citati in questo post): di questi diversi sono tratti dal Signore degli Anelli, dal Silmarillion o dai volumi della History of Middle-earth, ma per il momento ho voluto soffermarmi su questi, tra i più famosi e più spesso “dissezionati” dagli studiosi di linguistica tolkieniana, a causa della quantità non banale di riflessioni che riescono a suscitare.
Dalla prossima volta vedremo qualche esempio di Sindarin.
Bibliografia essenziale di riferimento:
- A Secret Vice (1931), tratto da The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983). Traduzione italiana: Un vizio segreto, tratto da Il Medioevo e il Fantastico (2000) e edizioni successive.
- Early Elvish Poetry tratto da Parma Eldalamberon #16 – ed. Gilson – Welden – Hostetter.
- Le Lingue degli Elfi della Terra di Mezzo, Vol. I: storia e sviluppo delle lingue elfiche di Arda (2016) di Gianluca Comastri.
Sitografia:
- Ardalambion/Markirya https://ardalambion.net/markirya.htm
/vers. Ita by G. Comastri: http://ardalambion.immaginario.net/ardalambion/markirya.htm
-Rúmil