LINGUE ELFICHE/23 IL CORPUS QUENYA (POESIA) - PARTE II ~ Namárië, il Lamento di Galadriel (2/3)

Facendo seguito alla presentazione del brano Namárië della volta scorsa, propongo di seguito l’analisi linguistica dei primi due versi della poesia, a titolo di esempio. Come al solito (per i brani di corpus tratti dal Signore degli Anelli) traggo le note etimologiche dalle relative voci in Words, Phrases and Passages (Parma Eldalamberon #17).

Sarebbe stucchevolmente lungo allegare a questa serie di post l’intero estratto, considerando che, come abbiamo visto in altre istanze, sotto ciascun lemma Tolkien si lascia andare a digressioni sui più svariati argomenti: dalla formazione del plurale – e la differenza tra plurale parziale e plurale generale – al caso strumentale; dai deittici ai suffissi pronominali; dai suffissi derivazionali nei sostantivi all’evoluzione storica delle congiunzioni; dalla declinazione dei pronomi possessivi a dissertazioni sul metro utilizzato (per la cronaca, lui lo definisce “giambo accentuativo”, in versi da 5-6 piedi l’uno).

Non sto scherzando: ciascuno degli argomenti che ho qui elencato è sviscerato in maniera più che esaustiva (e comprensiva di schemi e tabelle) nell’arco della sezione dedicata alla poesia del Namárië.

È molto affascinante leggere queste note, sia per toccare con mano il processo creativo di Tolkien, sia per apprezzare alcune sue sottigliezze da filologo; tuttavia, essendo questa una rubrica di carattere divulgativo, mi limiterò a darne un esempio, per giunta in estrema sintesi (traduzione mia):

Q ai! ahimè [ingl. alas].

Q laurië: laure, †oro (poetico: non il metallo, piuttosto la “luce dorata”, propriamente o nell’accezione mitologica la luce di Laurelin, uno dei Due Alberi di Valinor. S glawar come in Glewellin (< glawar-lin) = Laurelin.) laurëa, aggettivo “dorato”; laurië, doratura e anche in Quenya avverbio = “doratamente”. […]

Q lantar, pl. di lanta- “cadere”; S danna (base DAN-TA). […]

Q lasse “foglia” (S las); pl. lassi (S lais). Si applica soltanto a certi tipi di foglie, specialmente quelle degli alberi, e non sarebbe adoperato p.e. per la foglia di un giacinto (linque). È perciò probabilmente correlato a √LAS “ascoltare”, e al ceppo S-LAS delle parole elfiche per “orecchie”: Q hlas, duale hlaru. Il duale Sindarin lhaw, al singolare lheweg. [cfr. Amon Lhaw.] […]

Q súrinen: ceppi , e SUR(U) “rumore del vento”. sūrĭ- “vento”: nominativo sūrĕ. súrinen è strumentale singolare “nel (per azione del) vento”. […]

Q yéni, pl. di yén “lungo anno” [vedi l’Appendice sui Calendari]. […]

Q yēn, grande anno (degli Elfi = 144 anni solari), al pl. yéni.

Q únótime, pl. dell’aggettivo únótima “difficile da contare”. √NOT-, conta, calcolo; nōtima “numerabile”; il prefisso ū- in Quenya conferisce un senso di fatica, difficoltà (come il Greco δυς-) ⸻ in Sindarin come pura negazione con i verbi come nel linnod: úchebim “non conservo”. […]

Q ve, quale, come. […]

Q rámar, pl. di rāma “ala”, S raw, rov-, roval come in Landroval “dalle ampie ali”. […]

Q alda, “albero” < galadā = S galadh. aldăron è il genitivo plurale del plurale generale Quenya. [Il plurale particolare o parziale sarebbe aldali = “alcuni / parecchi / un certo numero di alberi”, il cui genitivo è aldalion.] […]

Riporto solo una nota, che si trova verso la fine di questa sezione, di carattere generale sullo stile della poesia/canzone, e sulla commistione di stili antichi e moderni, tra antico Alto-Elfico parlato in Valinor e forme più tarde parlate nella Terra di Mezzo:

¶ Il canto di Galadriel è in Quenya; “Tarquesta”, ovvero la forma “colloquiale” del linguaggio, sebbene con alcuni arcaismi (il duale) e parole poetiche, e un ordine metrico poetico delle parole non comune.

I segni di “maturità” sono þ > s: súrinen, hísie; w > v (ve, come, quale) tranne dopo le consonanti; (s >) z > r, miruvoreva, ómaryo, genitivo di *óma-syā “la sua voce”. L’abbreviamento di tutte le vocali nelle sillabe finali, e l’ -ai finale nel plurale degli aggettivi > e, linte, unótime etc.

Sintatticamente la perdita di distinzione del nominativo/accusativo, lassi accusativo come nominativo (per lassin), fanyar, (ilye) tier sono nominativi per accusativi. Inoltre, l’uso del genitivo ablativale come genitivo possessivo o aggettivale in ómaryo, Vardo mentre miruvóreva è aggettivale, laddove l’uso partitivo del [genitivo] ablativale vóreo sarebbe stato più classico. Arcaico è il possessivo agglutinato óma-rya; e il duale má-rya-t, le sue due mani, met “lei e io” (“noi” esclusivo di coloro cui ci si rivolge). Inoltre l’antica parola mitica laure che non sta per “oro” in quanto metallo, ma la luce dell’Albero d’Oro di Valmar; e la parola composta sciolta airetári-lírinen, per canzone-regina-santa (caso strumentale): in prosa [si potrebbe rendere] lírinen ómo i·aire táriva (o tário), dalla canzone della voce della santa regina.

Il poema Namárie in scrittura calligrafica, by J.R.R. Tolkien, tratto da The Road Goes Ever On (1967, Houghton Mifflin)

Ho voluto riferire questa nota perché ci ricorda una cosa molto importante, tanto per Tolkien quanto per noi che ci approcciamo a questa sua sub-creazione: la lingua è un fatto vivo, diacronico, in continua evoluzione.

E la poesia può massimamente rendere plastica questa evoluzione, facendo coesistere e confluire in un unico testo diversi registri e influssi linguistici; un po’ come nel Greco di Omero, che a una base di dialetto ionico mescola apporti dell’attico, dell’eolico e addirittura del miceneo.

Il fatto che il Namárië rappresenti un esempio di Quenya in un’epoca (il finire della Terza Era) in cui questa lingua non ha più una comunità regolare di parlanti nella Terra di Mezzo, fa sì che un registro sostanzialmente colloquiale sia punteggiato da arcaismi, parole poetiche, espressioni idiomatiche, accezioni insolite, etc.

Contemporaneamente Tolkien ci informa che vi sono alcune caratteristiche del Quenya classico che sono man mano decadute: ad esempio la distinzione morfologica tra i due casi retti (nominativo e accusativo) non è più così netta; il suffisso aggettivale/partitivo -va (in miruvóre-va) ha preso il posto di una più classica desinenza genitiva ablativale (miruvóre-o); per non parlare del suono þ (“thorn”, th) che ha lasciato il passo a s, trasformazione della lingua che è anche al centro di una disputa tra i diversi clan Noldor, come riferisce la vicenda dello Shibboleth di Fëanor.

Insomma, come si può arguire, lo spazio per l’approfondimento sarebbe pressoché infinito. E ognuna delle sottigliezze presenti nelle note di Tolkien conferisce a queste composizioni una incredibile tridimensionalità, al punto che è possibile “studiarle” come si farebbe con un carme di Callimaco o un drápa scaldico del XII secolo, ed è altresì possibile apprezzare il background storico fittizio (ma estremamente verosimile) che Tolkien ha costruito per ciascun lemma, ciascun fenomeno fonologico, ciascuna traslazione di significato, ciascuna usanza storicamente attestata nella performance dei cantori elfici.

Bibliografia essenziale di riferimento:

  • The Lord of the Rings (1955; 1966) by J. R. R. Tolkien.

  • The Road Goes Ever On: a Song Cycle (1967) registrazione audio, partiture e testi. Musiche di Donald Swann, testi di J. R. R. Tolkien.

  • Words, Phrases & Passages in The Lord of the Rings, tratto da Parma Eldalamberon #17 (2007) ed. Christopher Gilson.

-Rúmil

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien