I Palantìri
Valinor, ? A.A. – In parte conservati nella Terra di Mezzo
“Alte navi e alti re Tre volte tre, Che portaron da terre sommerse Oltre il mare in tempesta? Sette stelle e sette pietre e un albero bianco”
Una delle più celebri strofe dedicate all’arrivo dei Fidi Numenoreani in fuga dalla distruzione di Nùmenor cita, tra i simboli della casa reale di Gondor, gli oggetti protagonisti di questo approfondimento.
E molto si favoleggia, nelle antiche cronache, riguardo le sette pietre veggenti salvate dal tumulto del mare: perché nella Terra di Mezzo esse rappresentavano oggetti di grande valore e dotati agli occhi degli Uomini di potente magia; ed erano conservate in castelli e alte torri ove pochi avevano il diritto di accedere, e ancora meno di gettarvi uno sguardo.

Quale fosse l’origine dei Palantiri lo dice il fatto stesso che il loro nome sia scritto in Quenya, dal significato di ‘coloro che guardano cose lontane’: erano state create dagli artigiani Noldor a Valinor, che in esse avevano profuso molta della propria arte e della propria destrezza.
Alcuni credono, in verità, che il loro creatore non fosse altri che Fëanor in persona. E certo si tratterebbe di una delle opere più mirabili del figlio di Finwë, seconde forse solo ai Silmaril.
Altri sostengono che la creazione delle Pietre sia avvenuta dopo la liberazione di Melkor dalla propria prigionia, e che il Vala Oscuro abbia avuto un ruolo nella loro creazione, quando, nel tentativo di accattivarsi la fiducia dei Noldor, condivise con loro molte delle sue conoscenze nella lavorazione di pietre e metalli.
E certo la fattura dei Palantíri rappresenta un affascinante mistero: essi apparivano come sfere di nero cristallo, ma resistenti alle scalfitture e dure come pietra, inattaccate da polveri e danneggiamenti.
I Palantíri erano pietre che permettevano di comunicare l’una con l’altra a prescindere dalla distanza che le separava, permettendo di scorgere, ‘con sicura vista’ ciò che si trovava vicino all’altra.
Ma ciò di cui i Palantíri erano capaci dipendeva dalla forza interiore di coloro che vi scrutavano. Si racconta infatti che le Pietre erano collegate una all’altra, ma che chi ne avesse le capacità potesse dirigere il proprio sguardo ovunque, sia nello spazio che nel tempo passato. E chi possedesse mente, potere e carisma sufficienti, poteva utilizzarle per trasmettere all’altra pietra ciò che egli voleva, che fossero immagini reali o storpiature dell’esistente narrate sotto una distorta luce. In questo modo, chi ne era in grado poteva avvincere la mente dell’interlocutore e utilizzare le Pietre per sottometterlo al suo volere.
Il loro funzionamento era tutto sommato semplice. L’utente o “osservatore” di un palantír doveva prima assicurarsi che la pietra fosse orientata correttamente. Di solito le pietre erano tenute fermamente in modo che ciò non dovesse avvenire ad ogni visione. Poi l’osservatore si posizionava di fronte alla direzione in cui voleva guardare; per esempio, se desiderava guardare a ovest, si sarebbe posizionato sul lato orientale della pietra. Le pietre principali, tuttavia, potevano essere ruotate e quindi non richiedevano di muoversi. Le pietre erano apparentemente controllate dalla forza di volontà; anche se il caso in gran parte determinava esattamente su cosa si posava lo sguardo delle pietre, l’osservatore poteva manipolare e spostare lo sguardo semplicemente concentrandosi, anche quando non toccava la pietra. Questa concentrazione, tuttavia, era piuttosto faticosa, e quindi non veniva generalmente utilizzata tranne che in situazioni urgenti. L’immagine poteva essere avvicinata o allontanata con gli stessi metodi. Ma stare a tre piedi di distanza dalla pietra offriva la migliore chiarezza e il campo visivo più ampio. Anche in questo caso, gli osservatori più forti e più abili generalmente vedevano più facilmente e con meno difficoltà di altri.
Per comunicare con un’altra pietra, l’osservatore si orientava e guardava verso la posizione di quella pietra, e le due pietre si connettevano automaticamente l’una con l’altra a meno che una non fosse utilizzata in un’altra conversazione. L’osservatore trasmetteva i suoi pensieri all’altra pietra pensando, ma la persona dall’altra parte lo sentiva nella sua testa. L’osservatore e il suo contatto si vedevano l’un l’altro, ma i suoni non potevano essere trasmessi se non attraverso il suddetto metodo del pensiero.
Non si conosce il numero dei Palantìri esistenti, e si ignora se in Valinor ve ne siano altri, ancora utilizzati oggi. Quel che sappiamo per certo è che esistevano 8 pietre, 7 delle quali furono riportate dai Nùmenoreani nella Terra di Mezzo e dislocate tra i due Regni di Gondor e di Arnor da Elendil e i suoi figli. Durante la Seconda Era, esse si trovavano nelle principali sedi del potere dei Dùnedain: una pietra a Osgiliath sede del trono condiviso del Sud, una a Minor Anor e una a Minas Ithil, e una nella grande torre di Orthanc. Come sappiamo, la prima andò perduta nell’Anduin, mentre la terza venne catturata da Sauron che se ne servì per controllare le mosse dei suoi nemici, e per soggiogare Saruman che era entrato in possesso della quarta quando si trasferì a Orthanc durante la Terza Era. Diverso fu il destino della seconda, che passò di Sovrintendente in Sovrintendente fino ai tempi di Denethor II.
Vivendo in tempi oscuri, il Sovrintendente se ne servì più volte, entrando in contatto con la pietra di Ithil (alcuni vogliono che fossero gemelle) in mano a Sauron. E a lungo le loro menti battagliarono attraverso le sfere. E se Denethor fu forte a sufficienza per non essere irretito – forse perché non corrotto dalla volontà di possedere l’anello, o perché il Sangue di Nùmenor era ancora forte in lui e nulla avrebbe desiderato più che la sconfitta del suo peggior nemico – pure questa continua sfida a un essere di estrema potenza come un Maiar lo affievolì nel corpo e accelerò il suo invecchiamento. Inoltre, Sauron fu astuto nel presentare a Denethor solo gli aspetti più negativi e preoccupanti di quanto stava avvenendo, e della guerra che incombeva. E così, se Denethor non si arrese a Sauron, sviluppò comunque una qualche forma di rassegnazione nei confronti del destino che attendeva lui e il suo popolo. Come se si trovasse anche lui ad Armenelos e osservasse la Tempesta dei Valar giungere dal mare su ali d’aquila, senza poter fare nulla per arginarla.
E così, quando Denethor scelse il suicidio, non potendo reggere al disastro che Mordor aveva portato fin dentro la sua città e alla morte presunta di entrambi i suoi figli, egli si diede fuoco tenendo in mano il Palantìr di Anor. E da allora solo coloro che disponessero di una grandissima forza interiore erano in grado di vedervi altro che due mani in fiamme che parevano stringerla.
Nel regno del Nord erano conservati tre Palantìri: uno posto sulla grande torre di Amon Sûl, a Colle Vento. E si ritiene che questa pietra fosse la più grande tra quelle portate da Elendil. Tale era la sua importanza che a lungo Rhudaur, Arthedain e Cardolan se la contesero, fino a quando, durante le guerre contro Angmar, Arvedui non la portò con sé quando fuggì dai Lossoth. E la pietra andò perduta quando la sua nave affondò al largo della baia di Forochel. Lo stesso destino toccò alla pietra di Annùminas, conservata dai Re del Nord nel proprio palazzo.
L’ultima pietra, chiamata pietra di Elendil, era parzialmente diversa dalle altre. Essa era infatti la gemella dell’ottavo Palantìr conosciuto, posto sulla torre di Avallónë, all’estremità orientale di Tol Eressëa al di là delle cerchie del mondo. Ed Elendil la pose in alto nella torre di Elostirion, sugli Emyn Beraid a ovest della Contea. E si racconta che i Nùmenoreani più forti, il Re e i suoi eredi, fossero in grado con essa di vedere la Diritta Via di là dal Mare e scorgere tra le nebbie il Reame Immortale e l’Isola degli Elfi. Tramite la Pietra di Elostirion Elendil cercò anche di vedere Nùmenor – si dice infatti che la punta del Meneltarma con il suo santuario ancora rimanesse sopra le onde come un’isola in mezzo al mare, per intercessione di Eru – ma non ne fu mai in grado.
Questa pietra ancora attende nelle Terre del Nord del Reame Riunito, e lì rimarrà fino a che il mondo non sarà nuovamente sconvolto. Delle altre, solo la pietra di Orthanc rimase tra i tesori del Regno di Gondor, e servì la stirpe dei Telcontar inaugurata da Re Elessar per lunghi anni, prima che il suo destino si perdesse nelle sabbie del tempo.