LINGUE ELFICHE/44 - Lo Shibboleth di Fëanor

Uno degli aspetti più affascinanti del costrutto linguistico tolkieniano è la sua profonda integrazione con la componente più strettamente narrativa del Legendarium. Linguistica, storia interna, racconto, delineazione di personaggi, tutti questi elementi interagiscono in maniera viva e palpitante.

Il livello di meticolosità con cui fattori così distanti vengono conciliati (a volte retroattivamente, magari in seguito a retcon o cambi di concezione) è tale che risulta perfino ingeneroso definire tutto ciò un mero “costrutto”.

Un esempio mirabile di questo è lo shibboleth di Fëanor.

Pubblicato da Christopher Tolkien in The Peoples of Middle-earth (1996), The Shibboleth of Fëanor è un testo scritto all’incirca nel 1968, che compie un excursus sulla storia dei principi Noldor, figli di Finwë (Fëanor – Fingolfin – Finarfin) e sul rapporto conflittuale del primogenito, figlio di Míriel Serinde (o Þerinde?), con gli altri due, figli di Indis dei Vanyar, indagandone le concause e le implicazioni sul piano della storia linguistica del Quenya.

Tolkien inizia il saggio facendo un ragionamento filologico “deduttivo”: nella storia dell’evoluzione del Quenya Noldorin si dà che a un certo punto il suono þ (th) è stato sostituito dal suono s.

Dal momento che il Sindarin, idioma progressivamente adottato dai Noldor una volta giunti nel Beleriand, presenta estensivamente il suono þ, questo fenomeno deve essere collocato temporalmente come successivo al distacco tra Calaquendi e Moriquendi, ma precedente alla fuga dei Noldor, e dunque avvenuto a Valinor durante il suo Meriggio, in piena Era degli Alberi.*

Pertanto Tolkien “ipotizza” che questo shift sia avvenuto a causa di una deliberata (e dunque “artificiale”, in quanto stabilita convenzionalmente) modifica fonologica, portata avanti da una fetta della comunità di parlanti.

Non solo: questa nuova convenzione diventa il fulcro di un conflitto identitario tra due fazioni Noldor, ed è qui che Fëanor, rifiutando la sua adozione, per motivi personali e in seguito anche politici, dà origine allo shibboleth.

Tolkien ricostruisce il pregresso di questo conflitto, raccontando questi motivi personali, e compiendo un’analisi quasi “psicologica” di Fëanor e del suo rapporto con i fratellastri.

Questa vicenda avrebbe esercitato un impatto non indifferente sulla storia linguistica degli Elfi, al punto che la scelta se pronunciare o meno il suono þ è significativa ancora nella Terza Era (vedi il Namárië di Galadriel: sindanóriello e non *thindanóriello; hísië e non *híthië; cfr. Sindarin thind “grigio” e hîth “nebbia”).

In questo modo si dimostra “plasticamente” come la lingua rappresenti per gli Elfi un fatto estremamente concreto, inestricabilmente legato alla loro storia e alle loro scelte. Una presa di posizione linguistica può diventare un simbolo potentissimo, una bandiera identitaria, il nocciolo di uno scontro ideologico tra casate avversarie, e infine uno dei fattori scatenanti di un malessere che è profondamente embricato con la storia dei Silmaril e con il destino dei Tempi Remoti.

Ma andiamo con ordine.

Che cos’è uno shibbòleth?

Si tratta di un termine ebraico, mutuato dall’Antico Testamento. L’episodio biblico si trova nel Libro dei Giudici (12, 5-6), dove viene raccontata della guerra fratricida tra le tribù di Gàlaad e di Efraim. Dopo aver vinto la battaglia

5I Galaaditi occuparono i guadi del Giordano, attraverso i quali si poteva raggiungere il territorio di Efraim. Quando i fuggiaschi dell’esercito efraimita chiedevano di passare, i Galaaditi domandavano loro, uno per uno, se erano Efraimiti, e quelli rispondevano di no. 6Ma i Galaaditi imponevano loro di dire «scibbòlet», ed essi rispondevano «sibbòlet», perché non sapevano pronunciare correttamente la parola. Allora li afferravano e li sgozzavano sui guadi del Giordano. Degli Efraimiti, in quell’occasione, ne morirono quarantaduemila.

La caratteristica “sociolinguistica” di questo racconto è la diretta ispirazione per la vicenda Tolkieniana. Cercherò adesso sia di esporre la fattispecie linguistica sia di riassumere per sommi capi la storia che questa scatenò:

Il cambio þ > s avvenne dopo la nascita di Míriel, ma probabilmente prima della nascita di Fëanor.**

I Noldor erano più “sperimentatori” e aperti al cambiamento dei Vanyar; questa novità permise loro di introdurre molte nuove parole e funzioni grammaticali senza dover più ottenere l’assenso dei loro “cugini”, decisamente più conservatori riguardo al genuino Quenya. È da questo momento in poi che Vanyarin e Noldorin cominciano a distanziarsi sensibilmente.

La modifica era stata proposta seguendo una “teoria fonologica”, di cui Tolkien parla nel dettaglio in alcune note, più tecniche del testo principale del saggio, e che pertanto Christopher escluse da Peoples.

[Queste sono state pubblicate in Vinyar Tengwar #41. In queste stesse note Tolkien argomenta come le lingue Elfiche fossero anche all’interno dell’universo narrativo, in un certo senso, “lingue inventate”, forme d’arte, dunque non solo strumenti ereditari di comunicazione ma anche un “materiale” che coinvolgeva l’interesse attivo dei suoi utilizzatori, i quali erano consapevolmente spinti alla glossopoiesi dal loro spirito di sfida, dal loro gusto e dalla loro inventiva. Questo era specialmente vero a Valinor; meno nella Terra di Mezzo, dove il Sindarin si evolvette in maniera più spontanea (e più simile alle lingue degli Uomini), senza una particolare tendenza a controllarne artificialmente i processi.]

In buona sostanza questa teoria verteva su una confusione fonologica preesistente: una nutrita fetta di Noldor, accusando i Vanyar di confondere i suoni hw (w sorda) e f (labiale fricativa bilabiale), propose di modificare quest’ultima in una labio-dentale, ispirandosi alla pronuncia Telerin. A questo punto però i suoni f e þ (la fricativa dentale, o per meglio dire “alveolare”) risultavano troppo simili. Complice l’anomalia secondo cui la serie-t avesse due consonanti fricative sorde (þ e s) anziché una sola, il suono þ era visto con sempre maggiore insoddisfazione, e alla fine si decise di unificarli a vantaggio del secondo.

Nonostante tutto ciò, ovvero le ragioni oggettive che portarono a proporre questo cambiamento, esso non fu adottato universalmente, in quanto molto avversato dal gruppo dei loremasters (i lambengolmor, di cui Fëanor sarebbe presto diventato il leader), i quali erano ben consci del danno potenziale di una tale “fusione” fonetica, motivata più da un approccio teorico e da un particolare gusto estetico che da una naturale evoluzione dell’idioma o dalla reale necessità di smarcarsi dal Quenya Vanyarin. Avrebbe senza dubbio portato confusione tra radici verbali e rispettive parole derivate, fino ad allora distinte tanto a livello di suono quanto di senso. E questo rischio non era stato considerato a sufficienza, secondo il parere dei sapienti.

Quando Fëanor divenne il capo dei lambengolmor, cominciò a sostenere che þ era da considerare l’unica autentica pronuncia per tutti coloro che avessero a cuore e comprendessero pienamente la lingua dei Noldor.

Questa “polarizzazione” del dibattito diede di fatto origine allo shibboleth, alla creazione di due fazioni: una conservatrice, avversa al cambiamento, e l’altra promotrice, favorevole al cambiamento. La prima, capeggiata da Fëanor, prese a considerare l’uso di s come un “tradimento della lingua” e della cultura Noldor. Come abbiamo accennato, nel caso di Fëanor questa avversione aveva, oltre a gusto e saggezza, anche ragioni personali.

Infatti egli era molto legato alla figura materna, Míriel, il cui mother-name era “Þerinde” (letteralmente “donna-ago”: la “Ricamatrice”). Era un riferimento alla sua abilità fuori dal comune nel tessere e nel cucire, ma probabilmente anche un epiteto riservato al suo acume e alla sua estrema intelligenza.

Oltretutto Míriel

aveva una splendida voce e un’enunciazione delicata e chiara, nonostante ella parlasse rapidamente e traesse orgoglio da questa sua abilità.

Anche a causa di questa sua particolare disposizione e padronanza della lingua Quenya, Míriel si attenne sempre all’utilizzo di þ, e desiderava che i suoi cari facessero altrettanto, se non altro nel pronunciare il suo nome correttamente.

Fëanor amava profondamente la madre, e rispettava e condivideva la sua visione. Tuttavia, eccetto che per il carattere ostinato, madre e figlio avevano temperamenti molto diversi: Fëanor non era di animo gentile, ma orgoglioso e suscettibile. Opporsi al suo volere significava scatenare non la pacata fermezza di sua madre, ma feroce risentimento.

Si dà il caso che Míriel, poco dopo la nascita del figlio, avesse perso la voglia di vivere. La gravidanza di Fëanor l’aveva spossata, essendo questi così grande di mente e di corpo. Nel Silmarillion ella afferma «Mai più partorirò un figlio, ché la forza che avrebbe potuto nutrire la vita di molti è tutta fluita in Fëanor» [al quale diede infatti questo mother-name, che significa “Spirito di Fuoco”].

Non potendo più sopportare stanchezza e languore, si lasciò “morire”:

si recò ai giardini di Lórien e si distese per dormire; ma, benché sembrasse in preda al sonno, in effetti il suo spirito si dipartì dal corpo e in silenzio passò nelle aule di Mandos. Le ancelle di Estë si presero cura del corpo di Míriel, che restò intatto; essa però non fece ritorno.

Da allora il marito Finwë fu straziato dal dolore: l’ostinazione di Míriel fece sì che ella non desiderasse più reincarnarsi, neanche dopo un tempo di riposo e guarigione spirituale.

Pertanto, quando Finwë, derelitto e bisognoso di qualcuno che lenisse la sua solitudine, conobbe Indis dei Vanyar e se ne innamorò, Manwë, dopo aver tenuto a lungo concilio con i Valar, deliberò che il lutto di Finwë dovesse essere accantonato: nessun Elda poteva avere più di una moglie, pertanto Míriel, rifiutandosi di ritornare tra i vivi, aveva rinunciato a qualsiasi diritto coniugale; il suo corpo si sarebbe presto dissolto e non sarebbe stato ricostituito dai Valar, ed ella sarebbe stata la prima Elda a “morire” definitivamente, o per meglio dire a perdurare solo come fëa, come spirito, senza più far parte del consorzio degli Eldar viventi.

Thus Spake Fëanor, art & callygraphy by Tom Loback. L’iscrizione recita: Yé ea ve inye intyane. Pertorninya mere soi esta nin, sinanen ve ilqainen. Etvanyo-tye ar envanyo mentyanna. Tíro, per-toron! Sina ná aika ala lambetya. Kose er lú atta mapa haryanya ar i meles atarinyo ar nai metyava Noldoron mine man mere ná mólaturo. Si tratta di un tentativo di traduzione attiva dell’artista da una citazione del capitolo VII del Silmarillion “I Silmaril e le agitazioni dei Noldor”, quando Fëanor aggredisce Fingolfin: “Dunque, è proprio come sospettavo. Il mio fratellastro vorrebbe scavalcarmi, in questa e in ogni altra faccenda. Fuori di qui e statti al tuo posto! Guardala bene, fratellastro. Questa è più tagliente della tua lingua. Provati ancora una volta a usurpare il mio posto e l’amore di mio padre e può darsi che essa sbarazzi i Noldor di uno il quale vorrebbe essere signore di schiavi”. (per un’analisi di questa illustrazione, vd. Mythlore #64 [1990])

È in questo contesto che Fëanor sviluppò un odio profondo per le seconde nozze del padre e per i figli di quel nuovo matrimonio.

Per di più Indis, congiungendosi con Finwë ne aveva adottato anche la parlata in segno di rispetto e amore, e quindi pur essendo lei Vanya e utilizzando originariamente þ, assunse la s secondo il nuovo costume Noldorin.

Questa sembrò a Fëanor un’estrema mancanza di rispetto (anche se in realtà involontaria, il gesto era stato fatto con buone intenzioni) nei confronti della madre, e questo fu uno dei fattori che lo portò a irrigidirsi sulla posizione conservatrice.

[Nel Silmarillion del 1977 e in Morgoth’s Ring la narrazione è leggermente più compressa, e tutta la vicenda della morte di Míriel e del Giudizio dei Valar sul “divorzio” di Finwë si svolge che Fëanor è ancora piccolo, mentre in Peoples Míriel rinuncia a vivere che Fëanor è già adulto, anzi è lui che veglia il corpo della madre, destinato a non ricevere mai più il suo spirito reincarnato.]

Da questo momento in poi infatti la situazione degenera: dopo la liberazione di Melkor e l’Ottenebramento di Valinor, le azioni discutibili di Fëanor, il bando, il terribile giuramento tra lui e i suoi figli, il ripudio del consiglio dei Valar, il fratricidio di Alqualondë, fecero sì che aderire allo shibboleth prendesse a significare un supporto pieno alla sua linea di direzione del popolo Noldor, così come rigettarlo implicava ormai un rifiuto delle sue posizioni anti-Valar e una condanna delle sue azioni violente, più che una convinta adesione a un principio linguistico per se.

Se si fosse mantenuta la pace probabilmente l’opinione linguistica di Fëanor avrebbe prevalso. Invece l’“ideologizzazione” del conflitto e la trasformazione e l’incancrenirsi di una questione squisitamente accademica ed estetica in una serie di motivi familiari e poi politici avrebbe portato a una frattura ancora più profonda tra le varie casate dei principi Noldor, con tutte le conseguenze che conosciamo dal Silmarillion. Ma evidentemente anche questo faceva parte del Destino di Mandos.

* È poi il motivo per cui il nome Sindar (o forse bisognerebbe dire *Thindar?) Elu Thingol ha come corrispettivo Quenya Elwë Singollo (Thingol, Singollo = “Grigiomanto”). Trattandosi di un calco Quenya successivo al nome originariamente espresso in Sindarin, esso risente già del cambio di pronuncia e della sostituizione del thorn con la s. In questo senso il Sindarin mantenne, come Fëanor avrebbe apprezzato, più del Quenya la “purezza” fonologica delle origini Eldarin comuni.

** Sia detto che i Noldor non persero mai la familiarità con il suono þ, continuarono a distinguerlo e a utilizzarlo nella lingua scritta (book-Quenya), facendone un uso congruo anche nell’epoca post-Esilio, all’interno di testi storici e di folklore, di grammatiche, dizionari, trascrizioni di opere antiche… Insomma la memoria di þ non andò mai perduta, complice il fatto che i Noldor erano linguisti talentuosi persino per la media degli Eldar. Inoltre, già a Valinor con Vanyar (che parlavano virtualmente lo stesso idioma, ma preservarono il suono þ) e Teleri (che lo avevano nella loro lingua), l’abitudine a sentirlo e distinguerlo non venne mai meno. Nella Terra di Mezzo poi, adottando il Sindarin, ne ripristinarono l’uso, abbandonando addirittura il Quenya parlato, in cui esso era decaduto. Divenne insomma soltanto un indicatore di avversione politica nei confronti dei fëanoriani.

Artwork di Fëanor che insegna a Maedhros e Maglor la pronuncia corretta. Art di @cirrdan su Tumblr

Bibliografia di riferimento:

  • The Silmarillion (1977), ed. by Christopher Tolkien.

  • The Earliest Version of the Story of Finwë and Míriel; Later Versions of the Story of Finwë and Míriel, tratti da Morgoth’s Ring (1993), X volume della History of Middle-earth, ed. by Christopher Tolkien.

  • The Shibboleth of Fëanor, tratto da The Peoples of Middle-earth (1996), XII volume della History of Middle-earth, ed. by Christopher Tolkien.

  • Vinyar Tengwar #41, From The Shibboleth of Feanor: “The change in Noldorin Quenya from þ to s”, pagg. 7-8. Ed. by Carl F. Hostetter.

  • Bibbia, Edizioni San Paolo (versione del Libro dei Giudici di Paolo Sacchi).

-Rúmil

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