LINGUE ELFICHE/2 - SINDARIN. UNA PANORAMICA

Abbiamo dato un primo sguardo al Quenya, la lingua degli Alti Elfi (o Calaquendi, vale a dire “Elfi della Luce”, coloro che videro la luce degli Alberi di Valinor prima della loro scomparsa).

Forniamo adesso un veloce sommario sul Sindarin, la lingua degli Elfi Grigi, ovvero parte di coloro che, pur avendo intrapreso la Grande Marcia che gli Elfi furono invitati a compiere per raggiungere i Valar in Aman, non riuscirono mai ad attraversare il Mare, ma si dispersero in molte tribù e gruppi (che subirono a loro volta un’evoluzione linguistica e una “frammentazione” delle caratteristiche dell’idioma originario, ovvero l’Eldarin Comune).

Ancora una volta, rimando una trattazione più dettagliata di questo excursus di storia interna a quando parleremo della scissione degli Elfi e delle sue conseguenze linguistiche.

Elu Thingol in un’illustrazione di Kimberley80, su deviantART

Per ora basti sapere che il Sindarin era parlato da quegli Elfi che nel corso della Prima Era abitavano nel Beleriand, il principale gruppo dei quali si raccolse intorno a Elu Thingol, capo della schiera dei Teleri (“Thingol” significa “Grigiomanto” in Sindarin – “Thin-eldar” > “Thindar”.* Gli Elfi Grigi prendono dunque nome da lui), e unico tra loro ad aver contemplato la luce degli Alberi – essendo stato, insieme a Ingwë dei Vanyar e a Finwë dei Noldor, uno degli emissari degli Elfi che i Valar condussero in Aman perché convincessero le loro genti a intraprendere il viaggio – e quindi annoverabile tra i Calaquendi.

Thingol, rimasto a sua volta indietro nella Terra-di-Mezzo (per amore, come ricorderete), divenne Re presso il gruppo di Teleri mai partiti alle volte di Valinor, e fondò il Doriath, il Regno della Cintura (dal nome della protezione magica applicata alla regione dalla Regina Melian la Maia).

Diamo il nome “Sindarin” a tutte le successive evoluzioni o varianti del “Sindarin Antico”: il Sindarin Occidentale o Falathrin (parlato dagli Elfi delle coste, “falas”); il Doriathrin, appunto, la lingua parlata nel Regno di Elu Thingol; il Sindarin Settentrionale o Mithrimin, parlato dagli Elfi che vivevano nella regione del lago Mithrim (dove in seguito si insediarono i Noldor Esuli); tutte queste costituiscono varianti più o meno correlate di Sindarin della Prima Era.

Essendo, come accennavamo, anche la lingua adottata – con delle varianti – dagli Elfi in Esilio, il Sindarin divenne, col susseguirsi delle Ere, la principale lingua Elfica in uso nella Terra-di-Mezzo, ed è infatti questo il suo status quando la ritroviamo alla fine della Terza Era, nel periodo del Signore degli Anelli.

Se il Quenya era dunque, nella nostra metafora, il “Latino” degli Elfi, il Sindarin potrebbe essere il “Middle English” (non dal punto di vista formale né strutturale; in effetti il Sindarin condivide molte caratteristiche fonetiche con il Gallese, ma le somiglianze finiscono qui). Secondo solo all’Ovestron [Westron in originale] come lingua comune (“Sôval phârë”) nella Terra-di-Mezzo, è utilizzato anche dai Gondoriani più colti per rapportarsi (sempre più raramente) alle popolazioni elfiche rimaste in circolazione.

Aerlinn in Edhil o Imladris (“Inno degli Elfi di Gran Burrone”), ovvero la poesia “A Elbereth Gilthoniel” scritta in caratteri tengwar (in Sindarin si chiamano “tîw“) secondo il modo degli Elfi Noldor in esilio, ovvero modo “Quantasarme Beleriandico

Per dare un assaggio di come suona il Sindarin, ecco alcuni celebri elementi del corpus presenti nel Signore degli Anelli.

Il canto che Frodo ode a Gran Burrone (SdA, Libro II, Cap. I), di cui Tolkien ha anche lasciato una registrazione. Si tratta di un’invocazione a Varda, regina dei Valar (riporto solo i primi versi):

A Elbereth Gilthoniel,

Silivren penna míriel

O menel aglar elenath!

Il linnod di Gilraen ad Aragorn (Appendice A, V). Questo frammento segue precise regole metriche, essendo un componimento poetico:

Ónen i-Estel Edain, ú-chebim estel anim.

L’iscrizione sulla Porta di Durin, all’ingresso occidentale di Moria (riportata in figura in SdA, Libro II, Cap. IV):

Ennyn Durin Aran Moria: pedo mellon a minno.

Im Narvi hain echant: Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin.

Già da questi pochi esempi è possibile registrare le differenze estetiche e strutturali tra Quenya e Sindarin, e notare come Tolkien sia riuscito a imprimere loro caratteri fortemente identificabili. Queste lingue “suonano” vere, tanta e tale la cura profusa per renderle verosimili, non soltanto nella loro forma “matura”, così come le possiamo apprezzare appunto nel Signore degli Anelli, ma anche nel laborioso processo evolutivo (interno ed esterno, e questi due filoni costantemente intrecciati tra loro) attraverso il quale si sono configurate.

Ecco perché non è esagerato ciò che Tolkien affermava in una lettera al figlio del 1958:

“Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo nel quale una forma di linguaggio che vada d’accordo con i miei principi estetici sembri reale. Ma è vero.”

Non possiamo che esprimere il nostro plauso verso questo ossequio alla verosimiglianza per una finalità, tuttavia, completamente fantasiosa ed “evasiva”. Anche questo concetto, peculiare come ogni cosa quando si tratta Tolkien, spero potrà essere approfondito in futuro.

*Tra i fonemi Þ e S esiste una relazione storico-linguistica piuttosto complessa. Nel Quenya degli Esuli il fonema Þ fu a un certo punto sostituito dal fonema S, mentre il Sindarin mantiene Þ [utilizzo, come fa Tolkien, la lettera anglosassone þ,Þ “thorn” per significare il suono che nell’inglese moderno è trascritto con il digramma “th” e che nell’IPA – Alfabeto Fonetico Internazionale – si rende con il valore fonetico [θ] “theta”]. La disputa, interna al Quenya, tra Þ e S fu al centro di un vero e proprio scontro tra fazioni: la fazione fëanoriana voleva preservare il þ, mentre i Vanyar e i Noldor oppositori di Fëanor erano per deporne l’uso. Cfr. The Shibboleth of Fëanor. Per approfondire vedi qui.

Bibliografia essenziale di riferimento e opere citate:

  • The Lord of the Rings (1955; 1966).

  • The Silmarillion (1977), ed. Christopher Tolkien.

  • The Letters of J.R.R. Tolkien (1981). Traduzione italiana: La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973 (2001) e edizioni successive.

  • The Shibboleth of Fëanor (post 1968) tratto da The Peoples of Middle-earth (1996) ed. Christopher Tolkien.

  • Le lingue degli Elfi della Terra di Mezzo. Vol. I: storia e sviluppo delle lingue elfiche di Arda (2016) di Gianluca Comastri.

  • Parma Eldalamberon #17 (2007). ed. Christopher Gilson.

Documenti audio-visivi:

  • Tolkien’s Imaginary Languages (2012). Lecture del Prof. Edward Vajda alla classe di linguistica della Western Washington University.

    Reperibile interamente su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=5NKlr0vRX34

– Rúmil

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