
Nell’intestazione al Lessico Gnomico che abbiamo esaminato la scorsa volta è presente l’indicazione dell’autore: ERIOL.
Chi conosce Tolkien sa benissimo che il meccanismo letterario dello pseudobiblion è uno dei preferiti dallo scrittore inglese per conferire profondità e credibilità al suo mondo.
Nelle intestazioni in Tengwar e Cirth a Lo Hobbit e al Signore degli Anelli, versioni originali, Tolkien stesso si identifica come il traduttore in inglese del Libro Rosso (cosa accennata anche nell’Appendice F del SdA), probabilmente dall’Old English (l’anglo-sassone, che Tolkien insegnò a Leeds e Oxford tra il 1920 e il 1959).
Forse che il testo in Old English, sempre nella finzione di Tolkien ovviamente, sia stato tradotto a sua volta dall’Ovestron di Bilbo e co. da qualche copista medievale? È l’ipotesi più probabile, se decidiamo di “stare al gioco” del Professore. Del resto anche nella Nota sulla documentazione della Contea, inserita in calce al prologo del SdA nella riedizione del 1966, Findegil è un copista del Re di Gondor nel II sec. della Quarta Era. Possiamo immaginarci, per ciascuno di questi testi, una tradizione scritta, di cui Tolkien non è che l’ultimo esponente nella ricostruzione filologica. Un “lettore moderno” che tramanda il classico “manoscritto ritrovato”: topos narrativo che noi lettori italiani conosciamo bene grazie ad Alessandro Manzoni, ma che Tolkien porta a un livello complessissimo e raffinatissimo di pluristratificazione e multidisciplinarità.
Anche in questo caso, anche se a una fase ancora primitiva nella concezione del Legendarium, siamo di fronte a una “doppia traduzione”: Eriol ha trasmesso una nutrita lista di vocaboli gnomici, tratta dalla sapienza degli Elfi di Tol Eressëa, Rúmil su tutti, apponendo delle didascalie esplicative nella propria lingua, l’anglo-sassone o Old English, e Tolkien, in quel di Withernsea nel 1917 ha tradotto in inglese il lemmario anglo-sassone di Eriol.
Sulla storia di Eriol, affascinante quanto complessa, rimando al Libro dei Racconti Perduti, di cui è il principale punto di vista, e che, a proposito di pseudobiblia, riferirà nel Libro d’Oro (di cui i Racconti Perduti stessi non sono che una “traduzione” riadattata, come abbiamo appena discusso).
Siccome questa è una rubrica sugli argomenti linguistici, vorrei soffermarmi un attimo sui nomi e soprannomi di Eriol, così come compaiono nell’intestazione del GL.
Riporto pertanto la loro traduzione etimologica, e farò poi qualche appunto:
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Eriol [= (Qenya/Quenya) “Colui che sogna da solo”]. Soprannome elfico.
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Sarothron [= il Navigatore, o il Viaggiatore] (Gnomico: da sarothod o sarothwad “viaggiatore, navigatore” o più propriamente “straniero (venuto) da oltreoceano”).
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Angol [= “terra tra i due mari”, oppure “scogliere di ferro”]. Soprannome datogli dagli Elfi di Tol Eressëa in lingua Gnomica.
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Ottor [= (anglo-sassone) “lontra”]. Nome proprio di Eriol nella sua patria natìa.
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Wǽfre [= (anglo-sassone) “irrequieto, vagabondo”]. Soprannome autoattribuito da Eriol nella propria lingua.
Analizziamo un attimo queste traduzioni facendo uso delle informazioni stesse riportate nel GL (e anche nel Lessico Qenya, QL).
Che questo sia un assaggio di ciò che prima o poi affronteremo con delle traduzioni complete di frasi del corpus Quenya o Sindarin.
Nel GL, s.v. Angol, viene detto che Eriollo in Qenya ha lo stesso significato di Angol in Goldogrin, e si riferisce a una regione continentale delle Grandi Terre settentrionali. È molto complicato qui anche solo accennare alla storia di questo enigmatico personaggio, ma limitiamoci a dire che in questa fase della mitologia Eriol proveniva probabilmente dall’odierna Danimarca (cfr. Angeln nella penisola danese, la terra da cui gli Angli giunsero in Inghilterra nel V sec. d.C.).
Il soprannome dato al marinaio Ottor dagli Elfi, Eriol/Angol, fa riferimento sia alla “terra tra i mari” del nord, sia alle nere “scogliere di ferro” tipiche della sua patria. Il significato di “colui che sogna da solo”, coerente con l’etimologia anche del Quenya posteriore, è così tradotto nel testo de La Casetta del Gioco Perduto, il racconto introduttivo della raccolta, in cui facciamo la conoscenza di Eriol, appena giunto a Tol Eressëa, e dei suoi ospiti.
Ma com’è possibile questa doppia etimo per il Qenya?
Si dà il caso che in Qenya, come riportato in QL, esistano due radici distinte, ERE-(1) “restare solo” ed ERE(N)(2) “ferro o acciaio”. Combinate rispettivamente con OLOR “sogno, sognare” e ollŏ, oldō (GL, s.v. ol [< ôl], ôla, ovvero le parole Qenya corrispondenti per “scogliera”), formano due nomi congruenti, ma dai diversi significati. Non è l’unico caso in cui una cosa del genere succeda, evidentemente gli Elfi (e quindi Tolkien) amavano particolarmente giocare non solo con i “nomi paranti”, ma con gli stessi significati delle parole, associandone diversi quando riuscissero a combinarli con le qualifiche del soggetto designato.
Bibliografia di riferimento:
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The Lord of the Rings (1955; 1966).
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The Book of Lost Tales. Part I (1983) e Part II (1984), ed. Christopher Tolkien.
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i·Lam na·Ngoldathon. The Grammar and Lexicon of The Gnomish Tongue tratto da Parma Eldalamberon 11 (1995) ed. Gilson – Wynne – Smith – Hostetter.
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Qenyaqetsa. The Qenya Phonology & Lexicon tratto da Parma Eldalamberon 12 (1998) ed. Gilson – Hostetter – Wynne – Smith.
-Rúmil