Le Lampade Fëanoriane
Valinor, Anni degli Alberi – Sparite dalla Terra di Mezzo alla fine della Prima Era
Tra le molte mirabili creazioni della mano e dell’ingegno che Fëanor figlio di Finwë ha realizzato nella propria irrequieta esistenza, molte sono quelle che hanno portato al suo nome e alla sua Casata un tale Prestigio da non essere offuscate dai grandi mali che il suo orgoglio e la sua ambizione hanno pur cagionato.
E a fianco dei Grandi Gioielli, dell’alfabeto Genwar e di molte altre straordinarie dimostrazioni di abilità tecnica e metallurgica, vi erano quei ritrovati che vennero poi chiamati dagli Uomini Lampade Elfiche, ma che i Noldor chiamavano per l’appunto fëanoriane.
In Valinor, durante gli anni della sua prima maturità, Fëanor concepì infatti l’idea di strumenti che potessero illuminare l’oscurità senza bisogno di fiamma o fuoco, per giungere laddove la luce degli Alberi non poteva arrivare. Molte ne furono costruite, e i Noldor le usavano comunemente sia in Valinor sia in esilio: molti infatti le portarono con sé nel Beleriand, dove non mancavano di suscitare stupore tra Sindar, Silvani, Uomini e Nani. E perfino il Nemico tentò più volte di carpirne il segreto dagli Elfi, non riuscendovi.
Erano esse costituite da cristalli fissati tra loro da una catena, il cui interno emetteva una luce blu proveniente da ciò che sembrava una fiamma, che non necessitava però di aria o di combustibile per avvampare e sprigionare il proprio fulgore, né era soggetta al rischio di spegnersi per vento o acqua come le fiamme tradizionali.
Così sono descritte nel Lai dei Figli di Hùrin:
Ma lanterne di lucente cristallo
E argenteo freddo, con sottile astuzia
costruivano, di strana foggia, e resistente fiamma
da esse bruciava pallida e blu
per sempre indisturbata. E l’arte che le illuminava
era il più celato segreto dei fabbricanti di gioielli
Né la potenza di Morgoth, né pegno o tormento
li poté spingere a rivelarne il mistero.
Eppure molte luci e lampade di vivente luce
essi per lui costruirono, magiche e belle
E nessuna oscurità le poteva offuscare, nelle profondità
ove il loro lucore raramente si perdeva
In grotte senza fondo, o in aride gole lontane.
Fëanor, come sempre per le proprie opere, si dimostrò molto geloso del metodo della loro fabbricazione e del tipo di arte che permetteva loro di bruciare, e solo in pochi furono messi a parte del loro segreto. Ma alcuni ve n’erano tra i Noldor che caddero nelle mani dei servi del nemico, e diversi tra loro possedevano queste lampade, e altre ne costruirono negli oscuri recessi di Angband.
Gwindor del Nargothrond era uno di loro, e in alcune versioni del grande lamento egli ha con sé la lampada quando incontra Tùrin figlio di Hùrin, ed è alla luce di essa che Turambar si accorge di aver ucciso il proprio amico Beleg, scambiandolo per un brigante o un orco di Morgoth.
Un altro caso in cui le lampade sono menzionate è l’incontro tra Tuor, Gelmir e Arminas alla Annon-in-Gelydh, dove gli Elfi diedero all’Uomo una lampada per attraversare le gallerie nella sua ricerca di segnali che dal Nevrast lo potessero condurre a Gondolin.
È possibile che alcune lampade siano sopravvissute alle grandi battaglie e alla rovina del Beleriand, ma al termine della Prima Era pochissimi restavano capaci di forgiarne, e quasi tutti tra loro presero il Mare per raggiungere le Terre Immortali dopo la Guerra d’Ira. Così si perse nel mondo questa conoscenza, e nessuno, nei secoli che seguirono, fu in grado di replicarne la grazia e la bellezza.
È tuttavia stato riportato che le argentee lampade di Lòrien, che illuminavano Caras Galadhon durante le scure notti, potessero basarsi su un potere simile. Ma nessuna fonte sottolinea questo collegamento, ed è possibile che Galadriel e gli artieri Noldor che vi abitavano avessero trovato un’altra tecnologia capace di un simile prodigio.