John Ronald Reuel Tolkien

John Ronald Reuel Tolkien, il traduttore

Bloemfontein, 3 gennaio 1892 E.V. – Bournemouth, 2 settembre 1973 E.V.

 

Oggi per la nostra rubrica sui personaggio creati da Tolkien, presentiamo lui stesso, in veste di personaggio delle proprie opere.

Ciò è possibile perché ai lettori più attenti non saranno sfuggite alcuni elementi presenti nell’edizione più recente di una parte del Libro Rosso dei Confini Occidentali che chiamiamo, come scelto da Frodo, “Il Signore degli Anelli”. E ci riferiamo, in particolare, ad alcune parole contenute nel prologo delle recenti edizioni.

Innanzitutto, leggiamo nelle appendici che il libro che ciascuno ha avuto in mano non è altro che la traduzione, nell’inglese contemporaneo, del Libro Rosso, scritto probabilmente in Ovestron alla maniera degli Hobbit. Scrive infatti il traduttore che “solo gli idiomi diversi dalla Lingua Corrente sono stati lasciati nella loro forma originale, ma essi appaiono per lo più in nomi di luoghi e di persone. La Lingua Corrente, essendo il linguaggio degli Hobbit e dei loro racconti, è stata trasposta in lingua moderna”.

Il personaggio Tolkien è cioè qualcuno che non solo è a conoscenza dell’esistenza del Libro Rosso, ma che è in grado di leggerlo correttamente nell’originale Ovestron e di capire il modo migliore per adattare il testo in lingua inglese. Ma non è l’unico elemento degno di nota. Per approfondimenti sui temi linguistici rimandiamo al grande lavoro di Rùmil su questa pagina, che potrete rintracciare cercando 𝐒Ô𝐕𝐀𝐋 𝐏𝐇Â𝐑Ë – (𝐋𝐚“𝐋𝐢𝐧𝐠𝐮𝐚 𝐂𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞”) su queste pagine.

 

A noi interessa sottolineare un altro aspetto. Recita infatti passim il prologo:

“Il popolo hobbit è discreto e modesto, ma di antica origine, meno numeroso oggi che nel passato;  amante della pace, della calma e della terra ben coltivata, il suo asilo preferito era una campagna scrupolosamente ordinata e curata.”

“Ora come allora, essi non capiscono e non amano macchinari più complessi del soffietto del fabbro, del mulino ad acqua o del telaio a mano”

“Sin dal principio possedevano l’arte di sparire veloci e silenziosi al sopraggiungere di genti che non desideravano incontrare, ma ora quest’arte l’hanno talmente perfezionata che agli Uomini può sembrare quasi magica.”

“La loro statura è variabile, e oscilla da un braccio a un braccio e mezzo; ma ormai è raro che qualcuno arrivi a quella misura, giacché pare che col tempo si siano rimpiccioliti e che in passato fossero più alti.”

Ciascuna di queste citazioni mette a paragone gli Hobbit “al tempo della Storia di seguito narrata” con un’epoca successiva, vicina, se non contemporanea, al momento in cui il Libro Rosso è stato tradotto: “Oggi”, “Ora come allora”, “ora quest’arte”, “ormai” sono tutte marche del traduttore che riportano l’attenzione all’oggi in confronto al lontano passato in cui gli Hobbit erano diversi da oggi.

 

A questo punto la domanda è lecita: il traduttore, come fa a saperlo? Quale informazione gli permette di confrontare Hobbit della Terza Era del Mondo con i loro lontani discendenti?

Ma c’è una domanda ancora più importante, che non trova risposta nelle altre antiche cronache. Dov’è stato trovato questo Libro Rosso nell’Inghilterra di inizio XX secolo? E come ha fatto un professore – per quanto esperto e certamente dotato nello studio delle lingue – a ricostruire interamente la lingua in cui era stato vergato?

 

A nostro avviso, ciò può significare solo una cosa: che il John Ronald Reuel Tolkien, che ha tradotto il Libro Rosso ne Lo Hobbit e nel Signore degli Anelli, è a tutti gli effetti un personaggio interno al Mondo raccontato in Arda, vivente nella “Sesta o Settima Era del Mondo”, come ebbe modo di dire – tradendosi? – in un’intervista.

E riteniamo che, all’interno della cornice delle opere, una sola ragione poteva spiegare le sue conoscenze: e cioè che egli avesse davvero incontrato degli Hobbit, durante una delle sue passeggiate nella campagna inglese, a Oxford, a Leeds o a Warwick. E che da loro abbia ottenuto non solo una copia del Libro Rosso – o le indicazioni su dove trovarlo – ma anche le chiavi linguistiche per comprende l’Ovestron e tradurlo in inglese. E che, nell’opera di traduzione, poté confrontare quanto scritto nel testo con quanto verificato di persona, asserendo quindi – e senz’altro a ragione – che oggi gli Hobbit sono più bassi di un tempo, che sono ancora più schivi, che hanno sviluppato qualche nuova abitudine.

Informazioni che, senza un confronto con gli Hobbit di oggi, non avrebbe potuto in alcun modo inserire nel prologo dell’opera, né a cui avrebbe potuto fare riferimento nelle appendici.

 

Ecco dunque come “Tolkien” diventi egli stesso un abitante del mondo del quale ci ha aperto le porte, lasciandoci credere – o forse credendovi egli stesso? – di esserne veramente parte, figli, nipoti, bisnipoti e lontani discendenti dei grandi eroi delle saghe della Terra di Mezzo.

 

E di sperare che forse, lontano a Occidente, nascosta da veli e ombre, oltre le cerchie del Mondo, ancora il mare s’infranga su una spiaggia di perle, tra Eldamar ed Eressëa, e lo sguardo si possa perdere nelle distese della Terra Beata, perfino a Valmar ove i Valar ancora osservano le vicende d’un mondo che più non riconoscono.

 

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