Il Libro di Mazarbul, "La Compagnia dell'Anello" di Peter Jackson

Il Libro di Mazarbul

Il Libro di Mazarbul

Moria, 2.989 T.E – Conservato in Erebor durante la Quarta Era

 

Non sono molti i libri nominati esplicitamente nelle antiche saghe, all’infuori dei grandi Lai della Prima Era e dei documenti scritti dagli Uomini di Nùmenor e di Gondor o dagli Hobbit della Contea. Ecco perché il Libro di Mazarbul, la cronaca del tragico tentativo di riconquista di Khazad-dûm guidato da Balin figlio di Fundin, è un oggetto degno di nota, e forse l’unico testo scritto da Nani di cui siamo a conoscenza.

 

Sotto questo aspetto, il libro è di estremo interesse per due ordini di ragioni: una documentale, perché ci permette di conoscere almeno parzialmente cosa avvenne durante i cinque anni della spedizione a Moria, e una linguistica, perché il modo in cui il libro fu scritto ci dice molto riguardo alle usanze dei Nani nella scrittura di una cronaca storica.

 

Si trattava di un libro grosso e pesante, in pergamena rilegata e con una copertina di pelle, ma al momento del ritrovamento era molto danneggiato, e mostrava il segno di un’arma orchesca con cui era stato probabilmente colpito mentre il possessore se ne faceva scudo, oltre a bruciature e varie macchie di sangue e umidità.

 

La storia è ben nota, sebbene per sommi capi, perché la lettura del libro che Gandalf diede nella Camera di Mazarbul (l’Archivio dei Nani di Moria, che dà il nome al tomo) è raccolta nel Libro Rosso dei Confini Occidentali. Il libro iniziò ad essere aggiornato nell’anno 2989 della Terza Era, in seguito al ritorno di Balin a Moria, ma è leggibile solo dalla Terza Pagina. Narra di una battaglia contro gli Orchi che popolavano le antiche sale di Khazad-dûm, nella quale i Nani di Balin uscirono vittoriosi:

“Cacciammo gli Orchi dal grande cancello e la sala delle guardie e abbiamo conquistato la Prima Sala. Ne uccidemmo parecchi nel luminoso sole della vallata. Flói fu trafitto a morte da una freccia. Egli uccise i grandi […] Flói sotto l’erba vicino al Mirolago […] Abbiamo scelto di vivere nella ventunesima sala dell’estremità Nord. C’è buona aria […] che può essere facilmente osservato […] il pozzo è libero […] Balin ha instaurato la sua dimora nella Camera di Mazarbul […] ha raccolto […] oro […] Ascia di Durin […] elmo d’argento. Balin è ora signore di Moria. [Gandalf presuppone che questa sia la fine di un capitolo] […] trovammo argentovero […] benforgiato […] cotta fatta di mithril […] Óin alla ricerca delle armerie superiori del Terzo Abisso […] andare a ovest […] al cancello dell’Agrifogliere”.

 

Essi si stabilirono dunque nella Ventunesima Sala, sopra la Porta Orientale, e Balin stesso governò il suo nuovo dominio dalla vecchia Camera di Mazarbul. Nel corso dei cinque anni successivi, i Nani parvero adattarsi con notevole successo alla loro nuova dimora, esplorando sotto le Montagne fino alla Porta Occidentale di Moria e recuperando l’Ascia di Durin e, apparentemente, altri preziosi oggetti di mithril. Ma ciò che già una volta spinse i Nani lontano da Moria attendeva nell’ombra.

 

Gandalf saltò di qualche pagina e arrivò a quelle numerate con il numero cinque, a segnalare il quinto anno di vita della colonia. Così le riassume lo stregone: “La prima parola chiara è sventura, ma il resto della riga è del tutto perso, a meno che non finisca con eri. Sì, dev’essere ieri seguito da essendo il dieci di novembre Balin signore di Moria cadde nella Valle dei Rivi Tenebrosi. Andò solo a guardar nel Mirolago, un Orco lo trafisse da dietro una roccia, noi uccidemmo l’Orco, ma molti altri… su da est lungo l’Argentaroggia. Il resto della pagina è così confuso che riesco a mala pena a discernere qualcosa; mi par di vedere abbiamo sbarrato i cancelli, e poi possiamo resistere a lungo se, e infine forse orribile e soffrire”.

 

La situazione, già grave per i Nani dopo la morte di Balin, peggiora nell’ultima pagina del libro: “Non possiamo uscire. Non possiamo uscire. Hanno preso il Ponte e il secondo salone. Frár e Lóni e Náli caddero ivi. Poi vi sono quattro righe sbiadite e riesco soltanto a leggere andarono cinque giorni fa. Le ultime righe dicono: l’acqua dello stagno sale al muro del Cancello Ovest. L’Osservatore nell’acqua ha preso Óin. Non possiamo più uscire. Giunge la fine, infine tamburi, tamburi negli abissi. Chissà cosa significa. L’ultimo tratto di lettere elfiche scarabocchiate è: stanno arrivando. Quindi più nulla”.

La missione dei Nani di Balin si concluse dunque nel 2994 della Terza Era, e tutti i partecipanti morirono, uccisi dagli Orchi o dall’Osservatore dell’Acqua che, alcuni decenni dopo, fu incontrato anche dai membri della Compagnia dell’Anello.

 

Ciò che è interessante è però anche la seconda dimensione che abbiamo anticipato. Le pagine consultate da Gandalf hanno infatti una peculiarità: ciascuna era scritta con una calligrafia diversa e un diverso stile di scrittura. Segno che il compilatore, nel corso degli anni era cambiato più volte. Che questo significasse la morte del precedente scrittore non è certo, ma tuttavia probabile, considerato il destino che sarebbe toccato in così breve tempo alla compagnia di Thorin.

La prima delle pagine consultate, segnalata come 1-3, è scritta nelle rune Argenthas di Erebor, con un calligrafia veloce e prima di particolari vezzi. È significativo che fosse scritta in Lingua Comune, sebbene Gandalf stesso notò come i Nani inserissero nelle parole condivise con le altre razze parlanti alcune idiosincrasie tipiche della loro stirpe: ad esempio il fatto che le rune naniche esprimevano sempre uno e un solo suono, mentre nell’uso umano alcuni segni venivano associati per rendere particolari fonemi complessi come /sh/.

 

La seconda pagina letta da Gandalf, numerata con il numero 5, è scritta usando i caratteri Tengwar di derivazione elfica, con la caratteristica di assegnare alle vocali una lettera anziché segni diacritici come nell’uso tradizionale. Era una scrittura elegante e semplice da leggere, e Gimli non ebbe difficoltà a riconoscere la mano di Ori, uno dei Nani che fece parte della Compagnia di Thorin che reclamò Erebor alcuni decenni prima. È Ori a descrivere la morte di Balin.

 

L’ultima pagina è scritta nuovamente in Argenthas, segno che Ori deve essere caduto nel periodo tra l’inizio del quinto anno dell’impresa e l’ultima disperata resistenza nella Camera di Mazarbul. Si trattava però di una mano differente rispetto a quella della pagina 3, più rapida e con ancora minori dettagli rispetto alle pagine precedenti. E ancora l’ultima riga è di nuovo scritta in caratteri elfici, e recita un frettoloso appunto scritto senza dubbio da uno degli ultimi Nani rimasto in piedi: “Stanno arrivando”. Questa scelta dipende probabilmente dal fatto che i caratteri elfici erano più semplici da scrivere in gran fretta.

 

Resta una questione da affrontare: e cioè per quale ragione i Nani si esprimessero, in un libro senza dubbio destinato a documentare ai posteri il successo della loro missione, in Ovestron e non nella loro lingua nativa, il Khuzdul. La ragione risiede nel particolare rapporto dei Nani con il proprio idioma, appreso dai loro padri dall’insegnamento di Aulë il Fabbro, che conservavano gelosamente come un segreto a cui solo i membri della propria stirpe potevano accedere. Ed è per questo che, quando nella Prima Era iniziarono ad avere rapporti con gli Elfi, e poi con gli Uomini, i Nani impararono sempre la lingua della controparte, e si esprimevano in essa con fluidità e competenza. Solo in rari casi (come ad esempio nei loro rapporti con gli Uomini della Casa di Hador) furono disposti a comunicare alcune parole che descrivevano oggetti o concetti non esistenti in quella degli Uomini – e questo sembra essere il motivo per cui alcune parole Naniche sono poi confluite nell’uso corrente degli Uomini, e nell’Adûnaico che fu parlato poi a Nùmenor. E anche nella Seconda Era pare che ad alcuni dotti Elfi fu concesso di apprendere almeno in parte il Khuzdul. Si dice infatti che i Nani, in particolare quelli di Moria nei confronti dei Noldor dell’Eregion, “comprendevano e rispettavano il disinteressato desiderio di conoscenza, e ad alcuni dei maestri di tradizione Ñoldorin posteriori fu consentito di apprendere abbastanza sia della loro lambe (lingua) sia del loro iglishmêk (codice gestuale) per comprendere i loro sistemi.”

 

Ma queste considerazioni lasciano intendere che un documento come il Libro di Mazarbul, sia che l’idea fosse quella di un ritorno in auge di Moria, sia in previsione di un difficile destino, avrebbe potuto essere consultato anche da ospiti Elfici o Umani, non poteva essere redatto nella loro lingua segreta, che lo avrebbe reso illeggibile dalla maggior parte degli estranei. E così fu scelto di redarlo in Ovestron.

 

Solo di un aspetto della loro lingua i Nani non avrebbero mai concesso conoscenza ad altri popoli. E cioè riguardo ai nomi propri che ciascun Nano possedeva nella propria lingua. Questi nomi, infatti, erano utilizzati solo dai Nani tra di loro, e nella relazione con l’esterno essi usavano nomi “pubblici”, talvolta derivati dalla lingua degli Uomini con cui si confrontavano. Durin, Thorin, Balin e Dwalin, Ori Nori e Dori, Fìli e Kìli sono dunque aspetti del vero nome dei Nani che resta inconoscibile per chi non appartiene alla loro stirpe. Per la medesima ragione sopra riportata, e cioè che altri avrebbero potuto leggerla, anche l’iscrizione sulla tomba di Balin riporta il testo e i nomi in Ovestron: “Balin figlio di Fundin, Signore di Moria”.

 

Il libro fu ritrovato dalla Compagnia dell’Anello nel 3019 della Terza Era, e subito i suoi membri si trovarono in una situazione molto simile a quella dei Nani, con il rischio di venire assediati da schiere di Goblin e Orchi impossibili da fronteggiare nel loro esiguo numero. Ma riuscirono a fuggire, e prima di cadere nell’abisso durante il proprio scontro con il Flagello di Durin, Gandalf affidò il libro a Gimli figlio di Glòin.

 

Benché non vi sia un’esplicita trattazione di questo aspetto, è presumibile che Gimli condusse il Libro di Mazarbul con sé per tutte le imprese sue, di Aragorn e Legolas, e che lo avesse con sé a Fangorn, Edoras, al Fosso di Helm e nella lunga cavalcata della Grigia Compagnia. Per questo si è tramandato che, al termine della Guerra dell’Anello, Gimli abbia portato il libro a Erebor, dove il Re Thorin III Elminpietra lo ripose tra le vestigia della grande epopea dei Nani di Durin nella Terra di Mezzo.

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