LINGUE ELFICHE/51 - Grammatica Quenya ~ Sistema verbale del Quenya (parte 4: modi verbali finiti)

Per continuare nella disamina sugli elementi costitutivi della coniugazione, introduciamo adesso la categoria dei modi.

A differenza dei tempi, che collocano temporalmente l’azione rispetto al momento in cui il soggetto la esprime, i modi qualificano il rapporto tra il soggetto e il suo interlocutore, o come il soggetto si pone rispetto alla propria comunicazione, ovvero l’atteggiamento con cui l’azione viene presentata (se reale, eventuale, soggetta a condizioni, desiderata, demandata ad altri, etc).

Il Quenya, a differenza dell’italiano, da un punto di vista strettamente morfologico è meno soggetto a fenomeni di flessione per rendere le sfumature modali, ma fa piuttosto ampio ricorso a perifrasi, per esempio attraverso particelle anteposte a voci coniugate all’indicativo.

In un certo senso, dunque, almeno tra i modi “finiti” (ovvero quelli che, almeno in italiano, definiscono persona e numero dei partecipanti all’azione), il modo indicativo è l’unico provvisto di una vera e propria struttura di coniugazione.

Ma andiamo per gradi:

MODI VERBALI

Mentre in italiano, come dicevamo, i modi si dividono in finiti, ovvero quei modi che esprimono persona e numero dell’azione, e indefiniti, che non danno alcuna indicazione a riguardo, e sono per lo più utilizzati nelle preposizioni subordinate, in Quenya la faccenda è leggermente diversa, ma utilizzeremo per comodità questa medesima distinzione. Ci occupiamo adesso dei “modi finiti”:

  • Indicativo. È il modo che esprime realtà, certezza. Es. carin, indicativo aoristo del verbo car- “fare” = “io faccio”.

    È anche, come abbiamo detto, l’unico modo finito con una propria coniugazione morfologicamente data, dal momento che gli altri “prendono a prestito” dai diversi tempi dell’indicativo le voci verbali che, combinate in determinate perifrasi e con l’apporto di particelle ad hoc, formano la loro coniugazione.

  • Imperativo. È il modo che esprime tipicamente un ordine, un comando o una richiesta. Si ottiene generalmente anteponendo la particella imperativa á all’aoristo indicativo. Es. á carë! “fai! / fate!”.

    Se il comando o la richiesta è detta con urgenza e perentorietà ancora maggiore, la ā́ viene inglobata dall’aoristo, risultando come una sorta di desinenza. Es. carā́! “fai subito!”.

    Per rendere una sfumatura più cordiale, senza un particolare tono di comando, si usa anche accompagnare l’imperativo con il termine mecin < mekin, “per favore”.

    Queste ultime due varianti risalgono al Medio Quenya (anni ’40, inizio anni ’50), e dunque non sappiamo quanto riscontro abbiano nel Quenya di concezione più tarda.

    Oltre all’imperativo in 2ª persona, Tolkien concepì (in Early Qenya Grammar, negli anni ’20, dunque piuttosto difficile da integrare nel Quenya maturo, ma lo citiamo per completezza di informazione) forme di “imperativo indiretto”, ovvero quei casi in cui il parlante non si sta rivolgendo direttamente al destinatario dell’ordine o della richiesta (quello che in italiano chiameremmo “congiuntivo esortativo”, contemplato per la 1ª persona plurale e per la 3ª singolare e plurale). Es. me-caril enno “facciamolo!” o á carir sa! “lo facciano!”. Tuttavia queste forme sono troppo obsolete e disparate, tali da non fare minimamente testo per il Quenya più tardo.

    In ambito Neo-Quenya si preferisce congiungere alla particella imperativa direttamente il pronome personale soggetto, e concordare il numero tra soggetto e voce verbale. Es. áse mate! “che mangi!”, ántë matir! “che mangino!”, álvë matir! “mangiamo!”.

    L’antica particella imperativa ā risale ovviamente all’Elfico Primitivo. Nel Sindarin ha dato luogo al corrispondente in ō > o, che ritroviamo (stavolta sotto forma di desinenza modale propria) nell’imperativo Sindarin (cfr. pedo “di’ / dite!” – vd. l’iscrizione sulla Porta di Durin).

  • Ottativo. Questo modo esprime desiderio o augurio verso l’azione descritta. Non esiste in italiano (dove per proposizioni simili si sfrutta il congiuntivo), ma ne abbiamo un esempio in Greco Antico: qui l’ottativo assolve a diverse funzioni, e almeno due di queste, “desiderativa” e “potenziale”, sono senz’altro riscontrate anche nell’analogo Quenya.

    In note linguistiche risalenti al 1967, Tolkien scrive che l’ottativo si forma premettendo la particella nai alle forme dell’indicativo.

    Se l’auspicio si riferisce a un avvenimento futuro, l’ottativo userà dunque il futuro in -uva. Es. nai tiruvantes “possano essi vigilarlo” (vd. Giuramento di Cirion); nai hiruvalye Valimar “possa tu trovare Valimar” (vd. Namárië).

    Se invece l’augurio è valido anche nel tempo in cui la frase viene enunciata, si userà il presente. Es. nai Eru tye mānata “Eru ti benedica”.

    Nelle note sul Namárië contenute in The Road Goes Ever On, si suggerisce che nai derivi dall’imperativo del verbo essere: nā-i, e si può dunque rendere con “sia che”, “posto che”.

    Tuttavia Tolkien, nelle Late Notes on Verb Structure (1969), identifica una diversa derivazione etimologica, secondo la quale nai (< nay) denota principalmente possibilità o opportunità, di solito certa o molto probabile. Essendo in questo caso praticamente l’equivalente di un avverbio secondo la nostra sintassi (“forse, probabilmente”), non viene usato transitivamente, dunque regge un pronome dativo, ad es. nai nin híres “è molto probabile per me trovarlo”, o con una proposizione indefinita, nai hirinyes. Queste frasi sono pressoché equivalenti a dire “a volte lo trovo”, mentre se volessi esprimere il concetto “probabilmente lo trovo / troverò” sarà d’uopo coniugare questo costrutto ottativo al tempo futuro: nai hiruvanyes.

Altra versione dell’Albero di Amalion

Abbiamo discusso dei modi indicativo, imperativo e ottativo. E gli altri? Esistono in Quenya i corrispondenti del nostro congiuntivo o del nostro condizionale? La risposta breve è che no, non esistono, almeno non dal punto di vista morfologico. Tuttavia il discorso è ben più complesso di così, e rimando un’adeguata trattazione dell’argomento al prossimo appuntamento extra.

Ringrazio Simone Lapan per la consulenza linguistica e la revisione.

Bibliografia:

  • Parma Eldalamberon XIV, Early Qenya Grammar (2003) ed. by Wynne, Gilson, Hostetter, Welden, Smith.

  • Parma Eldalamberon XXII, Quenya Verb Structure; Late Notes on Verb Structure (2015) ed. by Gilson – Smith.

  • Le Lingue degli Elfi della Terra di Mezzo, Volume II: L’arte della parola nelle opere di Tolkien (2018) di @Gianluca Comastri (Il Quenya, 3.6 Morfologia: i verbi).

  • Lingue Elfiche – Quenya (2002) di Edouard J. Kloczko (Grammatica descrittiva del Quenya, III. Morfo-sintassi del Quenya: il verbo e la coniugazione).

Sitografia:

-Rúmil

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