Parlando del sistema verbale del Quenya, abbiamo finora passato in rassegna classi verbali e inflessioni verbali. Procediamo adesso senza indugio con uno degli elementi fondanti della coniugazione: il tempo verbale.
TEMPI VERBALI
Il Quenya possiede cinque tempi verbali semplici:
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aoristo. È il tempo verbale “di default”, nonché ciò che più assomiglia al presente semplice di lingue come inglese e italiano. Definisce un’azione che si dispiega attraverso un tempo indefinito, ovvero non è vincolata da un tempo preciso, oppure è utilizzato per affermazioni sempre vere (come nei proverbi) o in azioni abitudinarie o naturali. Ad esempio: “l’oro luccica”, “il sole sorge al mattino”, “vivo in una piccola casa”, “l’uomo mangia” (nel senso che l’essere umano mangia per vivere) = I atan mate.
L’aoristo generalmente si forma in due modi (per i verbi di base):
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forma non inflessa: aggiungendo alla radice del tema verbale la desinenza –ë (allo stesso modo dell’infinito, come vedremo).
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forma inflessa: desinenza -i + il suffisso concordante con il numero o suffisso pronominale del soggetto.
Esempi: karir “essi fanno”, karit “loro due fanno”, karin “io faccio”.
Per i verbi derivati, i verbi in -a e i verbi irregolari, l’aoristo si forma invece direttamente dalla radice:
Es. orta- > orta (verbo derivato – causativo in -ta);
tulya- > tulya (verbo derivato – formativo in -ya);
arca- > arca (verbo derivato – debole);
ala- > ala (verbo in -a);
ëa- > ëa (verbo irregolare).
Per i verbi in -u non esiste una regola univoca, sebbene vi siano diverse ipotesi costituite sulla base dei pochi esempi attestati o ricostruiti.
In definitiva, essendo l’indicativo aoristo generalmente congruente con l’infinito breve (che analizzeremo in un prossimo appuntamento), non è scorretto dire che anche in questo caso avremo due forme: una in -u, adoperata perlopiù in forma inflessa (es. lirū– > lirur, lirut; lirun, lirute, lirus, lirulme, etc) e una in -uë (es. lirŭ– > lirue. In Quenya maturo -ue > -we, pertanto avremo presumibilmente lirwë, celwë, etc).
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presente (presente continuo o presente imperfetto). È assimilabile al present continuous inglese, ovvero descrive un’azione che si svolge strettamente nel presente di chi sta parlando. [L’azione cui si riferisce ha pertanto un aspetto di incompletezza, ovvero è “imperfetta”. Parleremo dell’aspetto dell’azione in uno dei prossimi appuntamenti.]
Ad esempio: “L’uomo mangia” (nel senso che uno specifico uomo sta mangiando in questo preciso momento) = I atan máta.
Il presente si forma attraverso l’allungamento della vocale della radice + la desinenza –a. Nel caso dei verbi la cui radice termina in -a (come i verbi in -a e i verbi derivati) si ricorre a un antico suffisso -(a)ya > -ea.
Es.: ista- > istea.
Esistono alcune eccezioni nella formazione del presente (presenti in -ia o in -ya/-yea), che Tolkien introdusse negli ultimi anni della sua vita, e che rappresentano più una fase di sperimentazione arcaicizzante che un elemento di grammatica coerente con tutto il resto.
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passato. È ovviamente il tempo utilizzato per riferirsi ad azioni passate.
Può essere associato al past simple inglese, oppure al passato remoto o all’imperfetto italiani. È il più complesso nella formazione, pertanto non pretendo di affrontare qui tutte le sue numerose varianti, che dipendono dalla classe verbale (ad esempio verbi forti vs. deboli) e da una serie di fenomeni fonetici che possono intervenire (come metàtesi o assimilazione).
Fondamentalmente esistono due modi per formare il passato:
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tramite suffisso temporale -ne (es. car- > carnen / carnenye “feci”. In realtà Tolkien postula che il passato di car- sia cáren, per evitare confusione con l’aggettivo carne “rosso”).
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a volte il suffisso viene agglutinato sotto forma di infisso nasale n posto prima dell’ultima consonante della radice, mentre la ē segue (es. mat- > manten / mantenye = “mangiai”).
Per inciso, il suffisso -ne deriva da ✶nē, che in Medio Quenya costituiva il passato di ná-, ovvero il verbo essere. Nella nuova concezione la particella -nē dell’Elfico Primitivo ha dato origine ad avverbi semanticamente correlati, come né “fa” e néya “un tempo”.
[NB: queste forme includono il suffisso pronominale soggetto -n/-nye, che indica la 1ª persona singolare. Le forme “brute” del verbo sarebbero mante, carne (cáre), e sono usate quando il soggetto della proposizione è esplicitato: I atan mante = “l’uomo mangiò”).
Anche nei prossimi casi utilizzerò sempre la forma con desinenze pronominali, per mostrare come esempi delle forme flesse dal significato compiuto.]
I verbi forti utilizzano entrambi questi metodi, i verbi deboli solo il suffisso -ne (“passato debole”). Es. lantanen “caddi”.
I verbi semi-forti (ad esempio i verbi formativi) e quelli con radice-talat aggiungono l’infisso nasale prima dell’ultima consonante della radice. Es. talanten “scivolai, caddi”, sirinyes “fluì, scorse”.
Infine, in alcuni verbi di base, per esempio alcuni con radice in -v derivanti da radici primordiali come √LAB “leccare”, l’inserzione della nasale produrrebbe cluster come mb, dando luogo a forme come †lambe . Per distinguere il passato di lav- dal sostantivo lambe “lingua”, in Quenya maturo il passato si forma tramite allungamento della vocale del tema e suffisso -e: lav- > láves “leccò”.
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perfetto. È il tempo verbale che descrive un’azione conclusasi nel passato (all’incirca come il present perfect inglese o come il nostro passato prossimo – più precisamente come il perfetto greco, che ricorda anche nella formazione).
Si forma attraverso (1) prefisso vocalico (augment, affine al “raddoppiamento” del perfetto greco) identico alla vocale della radice; (2) allungamento della vocale della radice; (3) suffisso -ie (< (i)yē), che rimpiazza l’eventuale vocale finale della radice. Cfr. greco λύω > λέλυκα.
Es.: tul- > utúlien “sono giunto”. kaita- > akaitien “mi sono sdraiato”.
I verbi la cui radice inizia per vocale formano il perfetto raddoppiando sia vocale che consonante della radice.
Es.: ala- > (al)ālien “sono cresciuto”. ulya- > ulúlien “ho versato”.
Specialmente utile per quei verbi che non possono allungare la vocale della radice (es. orta- > (or)orties “è sorto”), e che non potrebbero così essere distinti dal gerundio.
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futuro. È evidentemente il tempo verbale utilizzato per riferirsi ad azioni future. È formato attraverso il suffisso -uva, che deriva dalla radice √UB, elemento verbale che significa “avere in animo, riflettere, considerare”, ma anche “incombere, essere imminente, avvicinarsi”.
La formazione del futuro è tra le più semplici: il suffisso si attacca alla radice direttamente. In caso di vocale questa si elide. Esistono solo alcune lievi varianti:
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i verbi in -u, in seguito all’incontro con la desinenza futura, allungano la u finale della loro radice.
Es. liru- > lirúvan “canterò (gioiosamente)”.
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I verbi di base la cui radice termina in -v, fanno cadere la consonante. Es. tyav- > tyauvan “assaggerò”.
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I verbi causativi in -tā e (più raramente) in -yā preservano la vocale. Es. orta- > ortauvas “sorgerà”; tulya- > tulyauvan “condurrò”.
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Esistono beninteso anche diversi tempi composti, o più correttamente derivati, ma parleremo di questi nel dettaglio in un futuro appuntamento: si tratta infatti di un argomento piuttosto intricato e controverso, tra quelli che più hanno subito modifiche e inversioni di marcia nell’evoluzione del pensiero linguistico di Tolkien nel corso degli ultimi anni.
In questa sede introdurrò soltanto l’argomento, con una considerazione di carattere generale. In lingue come l’italiano o l’inglese tempi verbali come il trapassato prossimo o il futuro anteriore sono detti tempi composti, ovvero formati attraverso l’utilizzo di verbi ausiliari + participio passato.
I tempi derivati del Qenya/Quenya nel tempo hanno attraversato diverse fasi, adoperando sia forme perifrastiche (associate a tutta una serie di participi che cercheremo di analizzare prossimamente) sia una coniugazione propria e “autonoma”, agglutinante, formata attraverso diverse combinazioni tra tempi semplici, altri tempi derivati e suffissi temporali.
Difficile affrontare il discorso senza chiamare in causa Early e Medium Quenya, a causa della relativa scarsità di informazioni in nostro possesso sul Late Quenya (relativo al periodo post-Signore degli Anelli, per capirci).
Tuttavia chi analizzando attentamente i testi ha approfondito la questione ritiene che [copula + participio] sia un modo di esprimere frasi come né karnela “aveva fatto” o nauva karnela “avrà fatto” certamente accettabile in Quenya, sebbene forse non l’unico.
Future pubblicazioni forse chiariranno meglio quale fosse il pensiero “definitivo” di Tolkien sulla questione, cui arrivò senza dubbio dopo decenni di tentativi e oscillazioni.
Nel prossimo appuntamento discuteremo di un’altra componente fondamentale per la coniugazione, anch’essa piuttosto lacunosa ma su cui c’è molto da dire, ovvero i modi verbali.
Ringrazio Simone Lapan per i preziosi consigli e la paziente consulenza linguistica, nonché per la revisione di questo testo.
Bibliografia:
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Parma Eldalamberon XXII, Quenya Verb Structure (2015) ed. by Gilson – Smith.
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Le Lingue degli Elfi della Terra di Mezzo, Volume II: L’arte della parola nelle opere di Tolkien (2018) di @Gianluca Comastri (Il Quenya, 3.6 Morfologia: i verbi).
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Lingue Elfiche – Quenya (2002) di Edouard J. Kloczko (Grammatica descrittiva del Quenya, III. Morfo-sintassi del Quenya: il verbo e la coniugazione).
Sitografia:
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Eldamo.org/Q. verbs https://eldamo.org/content/words/word-833852841.html
/Q. verb tenses https://eldamo.org/content/words/word-1360589409.html
/Q. compound tenses https://eldamo.org/content/words/word-1331732757.html
/Q. participles https://eldamo.org/content/words/word-2563421503.html -
Ardalambion.net/Quenya/The verb https://ardalambion.net/quenya.htm#Heading9
/Versione italiana by Gianluca Comastri: http://ardalambion.immaginario.net/ardalambion/quenya.htm#Heading9
-Rúmil