Gandalf, di Michele Mantovani

Aule Atemporali, Prima del Tempo – Salpato all’Ovest il 29 settembre 3.021 T.E.

 

Mithrandir sono per gli Elfi, Tharkûn per i Nani; Olórin ero da giovane nell’ormai obliato Ovest, nel Sud Incánus, nel Nord Gandalf; all’Est io non vado“.

 

Maia, Istar, Stregone, Consigliere, Guida, Condottiero, Amico di tutte le persone di puro cuore all’Ovest e all’Est del Grande Mare.

Sono molte le definizioni valide per descrivere il ruolo che Gandalf ha recitato nella Terra di Mezzo, durante i lunghi secoli che, nella Terza Era, portarono alla definitiva sconfitta di Sauron Gorthaur. E forse, basterebbe la frase citata in apertura, riportata da Faramir a Frodo durante il loro incontro a Henneth Annûn.

 

Gandalf era uno dei cinque Istari inviati nella Terra di Mezzo dai Valar nella Terza Era – o, secondo una tradizione più tarda ma non del tutto confermata, durante la Seconda.

All’inizio dei Tempi, egli era conosciuto come Olórin, ed era considerato, sin dai primissimi istanti in cui fu generato dalla mente di Ilùvatar nelle Aule Atemporali, il più saggio dei Maiar. Come molti altri, si innamorò della visione che Eru aveva creato attraverso l’Ainulindalë, e fu così tra gli Ainur che entrarono in Eä.

 

Olórin nei Giardini di Lórien, di Kip Rasmussen

Non è noto cosa egli abbia fatto nei millenni antecedenti la prima sconfitta di Melkor, ma è certo che, una volta costituita la Terra di Aman e i Regni di Valinor, egli vivesse principalmente a Lórien, nel dominio di Irmo. Tuttavia, spesso si recava da Nienna, dalla quale apprese la pietà e la pazienza. Si racconta però che, a differenza di altri, non si associò a un singolo Valar, ma prestò i propri servigi, oltre a Irmo e Nienna, anche a Manwë, Varda. In origine era infatti associato alla luce e al fuoco, in maniera non dissimile dalla Signora delle Stelle.

E venne il giorno in cui Oromë il Cacciatore tornò a Valinor portando cruciali notizie: gli Elfi si erano destati a Cuiviénen, nell’Est della Terra di Mezzo, e rischiavano di essere insidiati dagli agenti del Nemico, che agivano nel buio illuminato solo dalle stelle di Varda. Fu così che i Valar decisero di inviare una forza a protezione degli Eldar, e Olórin fu tra di essi, sotto il comando di Melian. Non è specificato nelle cronache – né permane qualcuno a Est del Mare la cui memoria si spande così in profondità nel passato – quanto vi rimase, o se accompagnò gli Eldar nel Grande Viaggio. Ma si dice che amasse gli Elfi, e per tutta la sua prima esistenza camminò tra loro Invisibile, o assumendo un Fana – la forma fisica che gli Ainur potevano assumere in Eä – simile a un Elfo, e mandava nei loro cuori visioni luminose che ispiravano saggezza e comprensione. Era questa la principale eredità lasciatagli da Nienna: la compassione per i dolori dei Figli di Ilúvatar e la volontà di aiutare chi lo ascoltava a superare la disperazione.

 

Come detto, è possibile che Olórin sia giunto nella Terra di Mezzo già durante la Seconda Era, poiché vi è chi ricorda una leggenda secondo la quale lui e Galadriel si fossero incontrati sotto gli alberi di Boscoverde il Grande, ove la Dama dei Noldor allora dimorava, e avessero avuto una conversazione che molto influì sulle successive scelte di lei, e sulla decisione di stabilirsi a Lòrien ove creare un reame di resistenza e conservazione per gli Eldar della Terra di Mezzo.

Ma, come viene riportato dalle cronache, “solo quei saggi che ora non sono più” potrebbero confermare che esso sia realmente avvenuto.

 

Non disponiamo dunque di concrete conferme di un arrivo di Olórin nel corso della Seconda Era, dal momento che, anche qualora fosse effettivamente stato inviato in quel torno di tempo, non risulta un suo intervento da protagonista nel corso della Guerra tra gli Elfi e Sauron, o del successivo conflitto con i Nùmenoreani, della venuta di Ar-Pharazôn nella Terra di Mezzo e della successiva distruzione di Nùmenor con cui Eru punì la hybris dei discendenti degli Edain.

 

L’arrivo di Olórin, di Lee Widegren Lundin

Fu durante la Terza Era, quando lo spirito oscuro di malizia di Sauron tornò a espandersi nella Terra di Mezzo, che i Valar decisero di inviare gli Istari — emissari scelti tra i Maiar — per aiutare i popoli liberi nella propria lotta contro il Nemico. E si racconta che fu Manwë, durante una riunione tra i Valar per scegliere chi sarebbe dovuto recarsi a Est, a chiedere dove fosse Olórin, che voleva come proprio inviato. E quest’ultimo, si dice, inizialmente esitò a partire, poiché sosteneva di non essere abbastanza forte, e di temere Sauron. Ma Manwë gli rispose che proprio per questo doveva andare: la sua paura era la prova che era il più adatto alla missione.

Così Olórin si sottomise alla volontà di Manwë e lasciò Valinor, giungendo a Mithlond nell’anno 1000 della Terza Era. Arrivò poco dopo altri due Istari: Curumo (che sarebbe divenuto Saruman) e Aiwendil (che divenne Radagast), nello stesso periodo in cui il Negromante cominciava a manifestarsi nel Bosco Atro. Come gli altri Maghi, assunse la forma di un uomo anziano ma ancora vigoroso, e scelse di vestirsi di abiti grigi.

A Mithlond fu accolto da Glorfindel, suo antico amico di Valinor, inviato prima di lui con una missione simile, e da Círdan il carpentiere, l’Elfo più antico ancora vivente nella Terra di Mezzo. Egli custodiva Narya, uno dei Tre Anelli del Potere degli Elfi. Círdan intuì in Olórin una grande forza e saggezza, nascosta sotto le sembianze curve e modeste di un anziano pellegrino. E in cuor suo sapeva di chi si trattava. Per questo gli donò Narya, prevedendo le sue future lotte contro il male, e gli promise che l’Anello lo avrebbe sostenuto e rafforzato nel suo cammino. E concluse “ma quanto a me, il mio cuore è col Mare, e dimorerò sulle sponde grigie finché l’ultima nave non partirà. Ti aspetterò.”

Gandalf cominciò così il suo lungo soggiorno nella Terra di Mezzo, vagando come consigliere e viandante. A differenza di Saruman, non prese mai dimora fissa. Non si spinse mai a Est, ma limitò le sue azioni alle Terre Occidentali, dove ancora dimoravano i resti dei Dúnedain e degli Eldar, in lotta contro l’Oscuro Signore.

Una leggenda narra che Yavanna, al momento della sua partenza, donò a Gandalf l’Elessar, la Gemma Elfica, creata da Enerdhil, affinché la portasse ai popoli della Terra di Mezzo come segno che i Valar non li avevano abbandonati. Gandalf la diede a Galadriel, profetizzando che un giorno ella l’avrebbe consegnata a colui che sarebbe stato chiamato a sua volta Elessar.

 

Alcuni anni dopo, intorno all’anno 1100 della Terza Era, gli Istari e gli Eldar compresero che una presenza maligna si celava a Dol Guldur, nella foresta Boscoverde il Grande. Voci sempre più frequenti di Elfi, Uomini e Nani parlavano di Oscure ombre si muovevano tra gli alberi, di esseri maligni nascosti nel folto della vegetazione, e del male che iniziava a diffondersi come un veleno tra le fronde. Alcuni temettero che uno dei Nazgûl fosse tornato a tormentare il mondo; altri sospettarono l’ascesa di un nuovo male. Gandalf, consapevole della propria missione nella Terra di Mezzo, iniziò a temere che potesse trattarsi del ritorno di Sauron stesso.

 

Nel corso dei due secoli successivi, il male continuò a crescere, alimentato da una forza oscura ma ancora indistinta. Gli Orchi si moltiplicavano sulle Montagne Nebbiose e cominciarono a insidiare gli insediamenti umani nella Valle dell’Anduin, sui Monti Bianchi e intorno alle Montagne Nebbiose.

Il Re Stregone di Angmar, che si rivelerà poi essere il più potente dei Nazgûl e l’unico dotato di volere autonomo, aveva eretto una fortezza nelle lande desolate del nord e da quel momento mosso guerra incessante contro il Regno di Arnor. Molto è narrato di questa guerra, durante la quale il Regno del Nord fu prima diviso in tre regioni via via più ostili l’una con l’altra, e poi progressivamente invaso dalle forze del Re Stregone. Per primo cadde il Rhudaur, i cui governanti passarono sotto il controllo dell’Ombra, e poi il Cardolan, ove i regnanti, benché inizialmente alleati degli Eldar e degli altri Dùnedain, ben presto si mescolarono con altre stirpi di Uomini, e la discendenza di Isildur andò perduta. Ultimo regno a mantenere il legame con Nùmenor fu l’Arthedain, che cessò di esistere nel 1975 della Terza Era, dopo la caduta di Fornost e la morte di Arvedui Ultimo Re nella Baia di Lossoth.

Fu solo l’intervento di Gondor, nel corso dell’anno successivo, a portare guerra ad Angmar e costringere il Re Stregone a una costante ritirata fino alla sconfitta nella battaglia di Fornost, quando Eärnur figlio del Re di Gondor guidò insieme a Glorfindel un’armata di Uomini del Sud, Dùnedain ed Eldar alla vittoria, inseguendo il Nemico fino agli Erenbrulli.

Non è riportato quale ruolo ebbe Gandalf in questi grandi eventi, ma è certo che, anche a seguito di queste guerre e della sparizione del Regno del Nord, egli cominciò a prestare maggior attenzione al popolo dei Raminghi, eredi della Casa di Valandil e dunque rappresentanti della linea che risaliva fino a Elendil.

 

Molto avvenne nel corso dei secoli successivi, a testimoniare la crescita del Nemico. Moria, ove il risveglio di un Balrog scacciò i Nani della Stirpe di Durin, e permise la proliferazione degli Orchi, e Minas Ithil, conquistata dai Nazgûl, cadevano sotto l’ombra, mentre guerre, pestilenze e catastrofi si abbattevano su tutta la Terra di Mezzo.

 

Gandalf entra a Dol Guldur, di John Howe

Fu allora che, nell’anno 2063, Gandalf si recò a Dol Guldur per scoprirne il segreto. Ma colui che era noto solo come il “Negromante” fuggì prima che lo Stregone potesse svelarne l’identità. Dopo quella missione, il male sembrò svanire, e il suo silenzio concesse al mondo alcuni secoli di pace: un periodo fu ricordato come la Pace Vigile, che durò per quasi quattrocento anni.

Ma, come poi divenne noto a tutti, si trattò di un silenzio ingannevole: i Nazgûl lo usarono per preparare il ritorno del loro oscuro signore, che si compì nel 2460, quando Sauron – che si celava dietro l’identità del Negromante – riprese possesso della sua fortezza di Dol Guldur in una nuova e più potente forma. Percependo il ritorno del Male, i Saggi tra gli Eldar e gli Istari si riunirono nel Consiglio Bianco, che si formò tre anni più tardi.

 

E si dice che Galadriel, custode di uno dei Tre Anelli elfici e fra i più potenti degli Eldar, desiderasse che fosse proprio Gandalf a guidare il Consiglio. Ma egli rifiutò: non voleva radicarsi in alcun luogo, desiderando restare libero, camminatore solitario fra i popoli della Terra di Mezzo. E riteneva che in questo modo avrebbe potuto confrontarsi con loro da pari, senza incutere timore o sottomissione nelle persone con cui interagiva. Così, il ruolo di capo fu affidato a Saruman, la cui conoscenza era vasta ed era, già nelle intenzioni delle Potenze, il Maia di più alto grado inviato a Est. Curiosamente, si trattava di un seguace di Aulë proprio come Mairon.

 

Fu in questo torno di tempo, durante le sue lunghe peregrinazioni nell’Eriador, che Gandalf incontrò e si affezionò a un popolo schivo e pacifico: gli Hobbit. E il suo interesse verso di loro si concretizzò in particolare durante il Grande Inverno del 2758, quando lo Stregone venne in loro soccorso. Fu proprio in quel momento che scoprì in loro una straordinaria combinazione di pietà e coraggio, custodita nei loro cuori semplici e silenziosi.

Gandalf visitava di tanto in tanto la Contea e partecipava alle feste della Vigilia di Mezza Estate organizzate dal Vecchio Tuc, dove incantava i giovani Hobbit con i suoi fuochi d’artificio e le sue storie di draghi, goblin e principesse. Fu così che si guadagnò la fama di essere “il responsabile di tanti tranquilli ragazzi e ragazze finiti oltre l’Orizzonte per folli avventure”.

In quel periodo incontrò anche un Hobbit relativamente curioso e intraprendente di nome Bilbo Baggins — sebbene, in verità, fosse tutt’altro che “avventuroso”.

Altri grandi eventi si stavano intanto dipanando. Pochi anni dopo, Smaug il Drago scese dal Nord e colpì il Regno Nanico di Erebor, distruggendo la vicina città di Dale e costringendo Uomini e Nani all’esilio dalle loro dimore. Erebor era l’erede di Khazad-dûm, il Regno del popolo di Durin, primo e più antico tra i Padri dei Nani, alla cui stirpe il Bianco Consiglio rivolse sempre particolare attenzione. Fu così che, quando il re nano Thráin II scomparve, Gandalf si prodigò alla sua ricerca, durante la quale entrò nella desolata Khazad-dûm, da dove uscì a mani vuote passando per le Porte di Durin. Lunghe furono le sue ricerche, fino a quando nel 2850 della Terza Era egli non tornò a Dol Guldur, e ivi trovò Thráin imprigionato, ormai prossimo alla morte. Prima di morire, gli diede allo Stregone la mappa e la chiave di Erebor. Ma la scoperta più importante fu questa: Gandalf comprese che il Negromante non era un Nazgûl, ma Sauron in persona. Egli aveva già sottratto al Re dei Nani l’ultimo dei Sette Anelli. Sauron stava radunando i restanti Anelli del Potere. E certamente, già allora, cercava l’Unico, il suo Anello perduto.

 

Fu così che i Nani della Stirpe di Durin divennero centrali nelle preoccupazioni dello Stregone. Ma trascorsero molti anni prima che i suoi piani si concretizzassero.

 

Buongiorno Signor Baggins, di David T, Wenzel

Nel 2941, in un’incontro casuale in una Taverna di Brea, Gandalf incontrò Thorin Scudodiquercia a cui rivelò ciò che aveva trovato a Dol Guldur. E insieme idearono un piano per riconquistare Erebor, formando una compagnia di tredici Nani, uno Stregone e uno scassinatore. Gandalf aveva già pensato a chi coinvolgere: proprio Bilbo Baggins, che svolgerà un ruolo cruciale negli eventi successivi, non solo durante la cerca di Erebor. E fu anche il momento in cui gli Hobbit entrarono con forza nella Grande Storia da cui per millenni avevano cercato di nascondersi. Gandalf convinse Bilbo convinse a unirsi alla Compagnia, e insieme si misero in viaggio. Molto è narrato di quello che avvenne dopo nel Libro Rosso dei Confini Occidentali: di come durante al loro impresa usufruirono del supporto di Elrond Mezzelfo, che rinvenì e tradusse le lune lunari presenti sulla mappa di Thròr, e di come incontrarono e sfuggirono Orchi, Troll, Ragni giganti e Goblin delle Montagne. Di come nel tesoro dei Troll Gandalf trovò Glamdring e Thorin Orcrist, le spade forgiate a Gondolin che li accompagnarono nelle successive imprese. Di come incontrarono Beorn il Mutatore di Pelle e furono salvati dalle Aquile di Manwë, fino a quando Gandalf non giunsero al Reame Boscoso di Thranduil, dal quale fuggirono solo grazie all’intervento di Bilbo. che utilizzò un oggetto scoperto nelle profondità delle Montagne Nebbiose e vinto dopo un gara di indovinelli.

Ciò che avvenne dopo è storia: contro ogni aspettativa, l’impresa di Thorin e dei suoi compagni ebbe successo: Erebor fu riconquistata e Smaug ucciso da Bard di Esgaroth. Ma poiché molti ambivano al tesoro abbandonato dal Drago, una guerra tra Elfi, Uomini e Nani sembrava inevitabile. Ma Gandalf giunse in tempo, e portò saggezza nel cuore di Thorin, Bard e Thranduil, Signore del Reame Boscoso. L’arrivo di Orchi e Goblin risolse le tensioni, e le tre Stirpi combatterono insieme nella Battaglia dei Cinque Eserciti, che vide trionfare l’Allenza tra Elfi, Uomini e Nani seppur a costo della morte di Thorin e dei suoi nipoti Fìli e Kìli.

Così Dain Piediferro, cugino di Thorin, divenne Re sotto la Montagna, mentre Bard ricostruì Dale e da allora mantenne salda l’amicizia con il popolo di Durin.

 

Trascorsero molti anni prima che i sospetti di Gandalf si tramutassero in realtà. E cioè che l’Anello magico che Bilbo aveva sottratto a Gollum fosse davvero l’Unico che Isildur tagliò dal dito di Sauron alla fine dell’Era precedente. E ciò avvenne perché, nonostante le speranze del Consiglio Bianco, l’attacco a Dol Guldur – a cui infine aveva acconsentito anche Saruman – non indebolì Sauron. Egli aveva previsto la mossa che lo aveva costretto a fuggire dal Bosco Atro, e indietreggiò volutamente, lasciando la zona invasa da molte e malvagie creature. Dieci anni dopo, nel 2951, si rivelò apertamente a Mordor e ricostruì Barad-dûr. Il Consiglio Bianco si riunì per l’ultima volta nel 2953 per discutere degli Anelli del Potere. Saruman rassicurò i presenti, dichiarando che l’Unico Anello era andato perduto nel Grande Mare. Ma in segreto, mosso da invidia e timore verso Gandalf, cominciò a spiarlo. Fu così che venne a sapere della Contea e dell’interesse di Mithrandir per quel popolo schivo. Iniziò allora a mandare agenti a Brea e nel Decumano Sud.

 

Nel 2956, Gandalf incontrò Aragorn, l’Erede di Isildur. Divennero subito amici e alleati, uniti dallo stesso scopo. Gandalf visitò di tanto in tanto Minas Tirith, dove fu accolto con stima da Faramir, ma con diffidenza dal Sovrintendente Denethor.

 

La Festa di Bilbo, di Denis Gordeev

Durante quegli anni, Gandalf tornò spesso nella Contea, in particolare da Bilbo Baggins e poi da suo cugino Frodo. Notò che Bilbo non invecchiava come avrebbe dovuto. L’anello che portava cominciò a destare sospetti sempre più forti nel cuore del Mago, soprattutto per la strada ossessione che Bilbo aveva nei confronti dell’oggetto, riguardo al quale aveva mentito sin dal racconto del modo in cui lo aveva ottenuto. Nel 3001 Bilbo diede la sua Grande festa di compleanno, dopo la quale decise, su consiglio di Gandalf, di lasciare la Contea e recarsi a vivere a Gran Burrone, lasciando – non senza qualche difficoltà – l’anello a Frodo. Avvertì in ogni caso quest’ultimo di non usarlo e di tenerlo nascosto. E a dimostrazione del fatto che anche le azioni più nobili possono apparire misteriose e sospette a chi nulla sapeva del mondo esteriore alla Contea, a seguito di questo evento Gandalf divenne inviso a molti Hobbit, accusato della sparizione di Bilbo e persino di voler impadronirsi delle sue ricchezze. E pare che fossero soprattutto i Sackville-Baggins a diffondere questa diceria.

 

Deciso a scoprire la verità sull’anello, lasciò la Contea e riprese la caccia a Gollum, mentre i Raminghi vennero incaricati di sorvegliare la Contea. Tornò tre anni dopo per controllare Frodo, poi scomparve nuovamente. Nel 3009, rinnovò la caccia a Gollum. La ricerca durò otto anni, durante i quali gli Elfi del Reame Boscoso informarono Gandalf dei suoi spostamenti. Ma quando Sauron si rivelò, Gollum volse verso Mordor, forse richiamato dal potere crescente del Padrone dell’Anello a cui per lunghi secoli era stato avvinto. Gandalf, impegnato su molti fronti, trascurò la questione e tenne fede alle parole di Saruman. Una decisione di cui in seguito si sarebbe pentito.

Ma la creatura, catturata e torturata dal Nemico, aveva rivelato due parole: Baggins Contea. E con ciò aveva dato a Sauron due indizi cruciali per la propria cerca dell’Anello. Infine, le ricerche di Gandalf lo portarono a Minas Tirith, ove rintracciò la Pergamena con cui Isildur descriveva il ritrovamento dell’Anello e le sue caratteristiche.

 

Nel frattempo, Sauron stava cominciando a radunare le sue forze per sferrare il colpo finale all’Occidente. Temeva infatti che l’Anello, caduto in mano ai propri avversari, venisse utilizzato contro di lui da un’entità capace di guidarne il potere, soppiantandolo. E così Uomini dell’Est, del Khand e di Harad affluivano a Mordor, mentre Orchi, Troll e altre creature malvagie si moltiplicavano. I suoi servi cercavano lungo l’Anduin tracce dell’Unico Anello.

 

L’Ombra del Passato, di Alan Lee

Gandalf seppe nei primi giorni del 3018 che Aragorn aveva finalmente catturato Gollum: lo interrogò nel Bosco Atro, e scoprì l’ultimo indizio che gli mancava. L’Anello di Bilbo era effettivamente l’Unico, e l’Oscuro Signore sapeva ora dove era conservato. Tornò in fretta nella Contea e Il 12 aprile del 3018 rivelò a Frodo la verità sull’anello. Gli raccontò di Gollum, del suo dolore e del suo destino. Quando Frodo disse che Bilbo avrebbe fatto meglio a ucciderlo, Gandalf rispose: “Non spetta a noi decidere chi debba vivere o morire. E chissà, forse Gollum avrà ancora un ruolo da svolgere“.

Gandalf consigliò a Frodo di lasciare la Contea e portare l’anello a Gran Burrone. Frodo accettò, progettando di partire il giorno del suo compleanno, fingendo un trasferimento nel Buckland. Gandalf approvò. Si trattenne due mesi nella Contea, poi lasciò Frodo con la promessa di tornare in autunno per accompagnarlo.

 

Nel suo viaggio a sud, Gandalf incontrò Radagast, che gli riferì un messaggio di Saruman: voleva vederlo a Isengard, e lo avvertiva che i Nove erano già in caccia dell’anello. Gandalf, inquieto, si recò a Brea e lasciò una lettera per Frodo al Puledro Impennato, affidandola a Omorzo Cactaceo. Nella lettera scrisse di fidarsi di uno Straniero detto Grampasso, il cui vero nome era Aragorn. Ma la lettera non fu mai spedita.

Gwaihir Signore dei Venti salva Gandalf da Isengard, di Ted Nasmith

Intanto a Isengard, Saruman rivelò il suo tradimento, e non cercò più di mistificare le sue intenzioni. Voleva l’anello per sé, e propose a Gandalf di unirsi a lui. Ma Mithrandir rifiutò con orrore, sostenendo che il Signore Oscuro mai avrebbe condiviso il suo potere, e che Saruman ne sarebbe diventato uno strumento. Così fu imprigionato in cima alla torre di Orthanc. Qui fu salvato da Gwaihir, il re delle Aquile, e volò subito verso Rohan, ove Théoden, pur di liberarsene, gli concesse Ombromanto, l’ultimo discendente dei mearas, che inseguì per tre giorni prima di poterlo domare. Tra i due nacque un legame profondo.

Quando Gandalf poté prendere la strada verso il Nord, Frodo era già partito e i Nazgûl lo cercavano, essendo transitati diversi giorni prima dalla Breccia di Rohan. Con sollievo, giunto a Brea, egli seppe da Cactaceo che gli Hobbit erano partiti con Grampasso.

 

Fuoco a Colle Vento, di Ted Nasmith

Cercò dunque di seguire la strada verso Est, non sapendo che Aragorn, per estrema sicurezza, aveva fatto viaggiare gli Hobbit al di fuori delle vie segnalate. Si recò quindi a Colle Vento, dove combatté una battaglia solitaria contro i Nove, scacciandoli con fiamme e luce. Lasciò un segno per gli Hobbit e si diresse a nord, inseguito da quattro Cavalieri. Riuscì infine a giungere a Gran Burrone prima della Compagnia, e insieme Elrond evocò il potere dei fiumi per travolgere i Nazgûl e dare a Frodo il tempo di salvarsi.

Al Consiglio di Elrond, si decise che l’Anello doveva essere distrutto nel Monte Fato. E così fu formata la Compagnia dell’Anello, nove viandanti contro i Nove di Sauron. Gandalf fu scelto come guida, e al lui e al Portatore Frodo si unirono Aragorn dei Dùnedain, Legolas figlio di Thranduil, Gimli figlio Glòin dei Nani di Durin, Boromir figlio di Denethor II, Sovrintendente di Gondor, e Sam, Merry e Pipino in rappresentanza della Contea.

 

La Compagnia volse quindi a Sud, cercando di attraversare le Montagne Nebbiose, evitando Isengard, ma una tempesta, forse invocata dallo stesso Saruman, impedì loro di valicare il Cancello Cornorosso, posto sul Caradhras. E così, per sfuggire al freddo e ai rischi, i Nove scelsero di passare per Moria, la città nanica abbandonata. Da molti è ricordato l’episodio in cui la Compagnia vide le Porte di Durin, e ove Gandalf risolse l’enigma con l’aiuto di Merry: “Dì, amico, ed entra”. 

 

Entrati a  Khazad-dûm, tra ombre e rovine, scoprirono infine il Libro di Mazarbul e la storia della morte di Balin, che fu compagno di Gandalf e Bilbo durante la cerca di Erebor. Nel cuore della montagna, furono attaccati ripetutamente dagli Orchi ed ai Goblin che la infestavano, fino a che il Flagello di Durin non si rivelò nella sua vera natura: un Balrog di Morgoth, che inseguì la Compagnia nella disperata cerca dell’uscita.

E superato il ponte di Khazad-dûm, Gandalf si fermò. E voltandosi verso quell’essere di fuoco e ombra gli rivolse le celebri parole:

 

Non puoi passare.

Sono un servitore del Fuoco Segreto, e reggo la fiamma di Anor.

Non puoi passare. A nulla ti servirà il fuoco oscuro, fiamma di Udûn. Torna nell’Ombra!

Non puoi passare.

 

Di fronte allo sguardo costernato della Compagnia. Gandalf affrontò il demone e lo fece precipitare, ma fu trascinato con lui nell’abisso da uno schiocco della sua frusta di fuoco. Gridò: “Fuggite, sciocchi!”, e scomparve nel buio.

 

Gandalf cade con il Balrog, di John Howe

Ma non morì. Lunga fu la loro caduta, e ancora più lungo il combattimento che ne seguì. Dal bastione più profondo alla Torre più alta, per giorni Gandalf e il Balrog combatterono, loro, esseri della medesima natura fattasi carne. E grande fu il loro scontro, fino alla cima di Celebdil, dove Mithrandir sconfisse il suo nemico, e lo gettò sul fianco della Montagna, prima di morire.

Ma non era la fine. I Valar, e forse Eru stesso, lo rimandarno indietro a finire il suo compito. E così Olórin tornò, più forte, simile eppure dissimile dal grigio pellegrino che per millenni aveva attraversato la Terra di Mezzo.

Gwaihir lo raccolse e lo portò a Lothlórien, dove fu rivestito di bianco e rinvigorito, e dove Galadriel gli diede un nuovo bastone. Seppe che Frodo era partito da solo, dopo l’attacco subito a Nen Hithoel e al sacrificio di Boromir, e che Sam era andato con lui. Ed entrambi erano ora fuori dalla sua portata. Ma la Guerra lo chiamava prima a Ovest. Si recò quindi a Fangorn, dove incontrò Aragorn, Legolas e Gimli. E con loro, dopo aver lasciato Merry e Pipino alle cure di Barbalbero, raggiunse Edoras, liberò Théoden dall’incantesimo di Vermilinguo e lo spinse a rispondere alla guerra che Saruman stava muovendo a Rohan.

Perché aveva compreso che i Rohirrim avevano un compito decisivo: se fossero caduti, Gondor si sarebbe trovata sola, stretta tra l’incudine e il martello.

 

Théoden marciò verso il Fosso di Helm, dove sapeva di trovare una fortezza ben difesa, che avrebbe potuto proteggere il suo popolo dall’assalto degli Orchi meglio di quanto avrebbe fatto Edoras. Nel frattempo, Gandalf si assunse l’incarico di radunare le forze di Rohan disperse dopo le battaglie dei Guadi dell’Isen. E così trovò Erkenbrand e i suoi uomini, conducendoli alla battaglia e spezzando l’assedio. Intanto, come seppero più tardi, gli Ent, guidati da Barbalbero e aiutati da Merry e Pipino, avevano raso al suolo Isengard e disperso gli Orchi, oltre a inviare un battaglione di Ucorni a distruggere ciò che rimaneva degli assedianti del Fosso di Helm.

Gandalf andò alla Torre con Aragorn, Théoden e altri. Saruman rifiutò il perdono, e Gandalf spezzò il suo bastone, scacciandolo dall’Ordine, dimostrando la sua superiorità: “Guarda ora Saruman, il tuo bastone è rotto”.

 

Molti eventi avvennero in seguito alla caduta di Saruman: a Isengard fu recuperato un Palantìr, con cui Aragorn si dichiarò a Sauron come erede di Isildur, provocandone la reazione. E si dice che Gandalf sperava che la visione del pretendente al Trono di Gondor spingesse il Signore Oscuro a giocare immediatamente la carta della Guerra, lasciando a Frodo il tempo per portare a termine il suo compito.

Gandalf condusse Pipino a Minas Tirith con sé. Lì affrontò il dolore di Denethor, segnato dalla morte di Boromir, al quale Peregrino offrì i suoi servigi.

Nel frattempo, la città fu stretta d’assedio da una sterminata armata proveniente da Mordor, guidata dal Re Stregone in persona. Un contrattacco mal consigliato portò Faramir a essere colpito da un dardo avvelenato. E la disperata ritirata del figlio del Sovrintendente e della sua Guardia da Osgiliath fu possibile solo per l’intervento di Gandalf, che li protesse fino all’arrivo dentro le mura. Ma Faramir era in deliquio, e giaceva in fin di vita nella Torre.

Intanto l’esercito di Gondor si era trovato senza una guida, perché Denethor, piegato dalla paventata fine del figlio, non era in grado di assumere il comando e presto scivolò nella follia. Eppure, Gandalf infuse coraggio negli uomini di Minas Tirith, e solo con la sua presenza dissipava il terrore dei Nazgûl. Ma le catapulte di Sauron scagliavano dardi infuocati sulle mura e ben presto, il primo cerchio della città bruciava senza freno.

 

Quando l’enorme ariete Grond abbatté l’antico portale, Gandalf si pose da solo tra le rovine del varco distrutto. E lì apparve il Re Stregone, in sella a un destriero nero, tra le fiamme e le macerie, e minacciò Gandalf dicendo che la sua fine era ormai giunta. Ma l’Istar non si mosse: seduto su Ombromanto, fermo in mezzo al cancello, sfidò il più potente dei servitori di Sauron. Lo scontro rimase sospeso per qualche secondo, fino a che le prime luci dell’alba non si alzarono da est, con esse giunse il suo dei corni dei Cavalieri di Rohan. Presagito il pericolo, il Re Stregone si volse e scomparve per affrontare i nuovi arrivati.

Gandalf, però, non lo inseguì. Pipino gli portò una notizia ancora più urgente: Denethor stava per darsi la morte con Faramir, apprestando una pira come i re pagani dell’antichità. Gandalf accorse, e riuscì a salvare Faramir. Ma non Denethor, che si gettò tra le fiamme, vinto dalla disperazione. Solo allora Gandalf comprese la radice della follia del Sovrintendente: stringeva un palantír tra le mani, che da allora non fu più possibile utilizzare.

Infine, contro ogni speranza, l’assedio fu infranto. Éowyn di Rohan e Merry sconfissero il Re Stregone; il suo ultimo grido fu udito da molti, mentre veniva annientato. E poco dopo giunse Aragorn, al comando di un grande esercito delle regioni del Sud, sbarcato su una flotta pirata conquistata a Pelargir grazie all’intervento del Re dei Morti.  Le forze dell’Ovest annientarono l’attacco di Sauron contro Minas Tirith, liberarono la città e distrussero quasi totalmente gli invasori. I piani meticolosi di Gandalf, le sue parole di saggezza, e atti di eroismo degni dei Giorni Antichi da parte di tutti coloro che combatterono dalla parte di Gondor, avevano spezzato la prima mossa del Signore Oscuro.

Ma non era finita. Sauron poteva ancora schiacciare l’Occidente, e d’altro canto il Portatore dell’Anello non aveva ancora raggiunto il Monte Fato, ed era ora esposto al potere del manufatto nella Terra stessa del suo creatore. In quell’ora disperata, a Minas Tirith, Gandalf fu scelto da Aragorn, Imrahil Principe di Dol Amroth e Éomer per guidare le forze dell’Ovest durante gli ultimi grandi giorni. Il loro compito fu presto deciso: non essendo possibile schiacciare l’Oscuro Signore con la forza delle armi, dovevano distrarre Sauron mentre Frodo doveva compiere la sua missione.

Così l’esercito dell’Ovest, costituito dai sopravvissuti degli eserciti di Gondor e di Rohan, marciò al Cancello Nero dietro Aragorn Elessar. Lì giunti, la Bocca di Sauron mostrò la cotta sottratta a Frodo a Cirith Ungol, chiedendo la resa.

Ma Gandalf non si lasciò intimidire. Afferrando gli oggetti del Portatore, respinse con fermezza l’offerta di Sauron. Sconvolto, la Bocca di Sauron tornò verso il Cancello Nero, che lentamente si spalancò, rivelando un esercito sterminato di Orchi e Troll in marcia contro i Signori dell’Ovest. La trappola di Sauron era scattata.

E tuttavia, fu Sauron stesso a cadere nella trappola tesagli da Gandalf e dal Bianco Consiglio. All’insaputa di tutti, infatti, Frodo e Sam erano riusciti a salire sul Monte Fato. E proprio mentre la Battaglia del Morannon aveva inizio, Frodo si trovava alla Voragine del Fato. Ma la potenza e il richiamo dell’Anello sopraffecero la sua volontà, ed egli lo indossò, proclamandolo suo. E in quel momento, quando i piani dei suoi Nemici si svelavano, Sauron fu preda di grande terrore, e comprese la propria follia: immediatamente, i Nazgûl si disinteressarono della battaglia, convocati dal loro signore, che finalmente realizzò la vera intenzione dei Popoli Liberi, quella di distruggere per sempre l’Anello.

E in quell’istante voluto dal Fato, la lungimiranza di Gandalf si rivelò nuovamente esatta. Gollum, la creatura che aveva seguito tenacemente il Portatore dell’Anello, balzò su Frodo, gli strappò l’Anello e, danzando in estasi per aver ritrovato il suo “tesoro”, precipitò nel fuoco di Orodruin.

L’ombra di Sauron, di Ted Nasmith

La voce dello Stregone si alzò alta sul Campo di Morannon: “Fermi, fermi, Uomini dell’Ovest! Questa è l’ora del Fato!”

L’Anello fu distrutto. Il Monte esplose in una furia di lava e fuoco. La torre di Barad-dûr e le Torri dei Denti crollarono, le fondamenta si sgretolarono. I Nazgûl si dissolsero come meteore in fiamme, e Sauron fu ridotto a un’ombra di malizia, incapace per sempre di tormentare il mondo: si sollevò un’ultima volta come una nera ombra, allungando oscure grinfie verso i propri nemici. Ma un vento si alzò dal Mare, ed egli scomparve per sempre.

Con la caduta del Nemico, i suoi eserciti si dispersero e l’esercito dell’Ovest li travolse con furia. Gandalf proclamò il successo del Portatore dell’Anello e la fine di Sauron: la missione era compiuta.

Allora Gandalf montò per la terza volta su Gwaihir, chiedendo di seguirlo anche ai suoi due vassalli più rapidi, e insieme volarono verso Monte Fato alla ricerca di Frodo e Sam. E vi è chi sostiene che Gandalf scelse tre aquile perché ancora serbava in cuore la speranza di poter salvare anche la creatura che, a dispetto della sua indole e della sua stessa volontà, aveva maggiormente contribuito alla sconfitta dell’Oscuro Signore. Ma Sméagol non era più, dissolto insieme all’Anello nella Voragine del Fato.

E così Gandalf trovò solo Frodo e Sam, ancora vivi, abbracciati l’uno all’altro tra le ceneri dell’eruzione, in attesa del monto Fatale. Ma quando si risvegliarono, al Campo di Cormallen, scoprirono di essere ancora vivi, e celebrati come gli eroi più grandi visti da molte ere a quella parte.

Tornati a Minas Tirith, fu Gandalf a incoronare Aragorn come nuovo Re di Gondor e di Arnor, e a inaugurare una nuova epoca: “Ora iniziano i giorni del Re, e siano benedetti finché durano i troni dei Valar“, disse. Dopo le nozze con Arwen, Gandalf partì con la Compagnia e fece parte del seguito che accompagnò Re Théoden, caduto sotto i colpi del Re Stregone, alla Casa dei Padri. E si racconta che quello fu il corteo funebre più nobile e più grande che mai sia spettato a un Re del Mark, nel quale figuravano Elrond, Galadriel e Celeborn, con i quali Gandalf a lungo si intrattenne nel corso della strada.

 

Giunti infine alla Contea, salutò gli Hobbit al suo confine, non sapendo le malefatte che Sharkey vi aveva portato con la complicità di alcuni Hobbit e di molti Uomini malvagi. O forse sapeva che sarebbe spettato agli abitanti stessi di questa terra, guidati dai quattro Compagni, di liberarsi da questo Male. E lui si recò da Tom Bombadil, ove rimase per qualche tempo.

 

Non è noto cosa fece Gandalf nei due anni che seguirono, che aprirono un’epoca di pace e prosperità per la Terra di Mezzo, che diedero inizio al Dominio degli Uomini. La sua apparizione successiva è datata 29 settembre 3021, quando ai Porti Grigi salì a bordo della Nave Bianca insieme ai Grandi Eldar, ai Portatori dell’Anello, e a Ombromanto.

E qui rivolse l’ultimo saluto agli Hobbit: “Ebbene, cari amici, qui sulle rive del Mare finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo. Andate in pace! Non dirò: ‘Non piangete’, perché non tutte le lacrime sono un male”.

 

E sotto lo sguardo di Cìrdan, Sam, Merry e Pipino, la bianca nave partì verso Occidente, e Gandalf, Mithrandir, l’Istar, il Nemico di Sauron, amico e sostenitore di tutti i Popoli Liberi della Terra di Mezzo, esaurì il suo compito, e si apprestava a tornare a casa, unico del suo ordine rimasto fedele alla sua missione.

E così Gandalf tornò ad essere Olórin ancora una volta. E lì, si narra, dimora tuttora nei giardini di Irmo, dispensando consigli di saggezza nel cuore degli Eldar di buona volontà.

 

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