Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.
Nello scorso articolo abbiamo cominciato a trattare, attraverso le dichiarazioni di Tolkien contenute nel suo epistolario, la questione della resa dei nomi delle sue creature (e non solo) attraverso l’operazione, su cui ormai abbiamo detto abbastanza, di traduzione e adattamento.
Abbiamo dunque citato un estratto dalla Lettera 25, in cui Tolkien spiega alcuni dettagli filologici ed “editoriali” del suo uso di termini come dwarves, gnomes, e di nomi propri come Smaug.
Fa anche riferimento, in risposta ad alcuni dubbi espressi dall’articolo a firma Habit pubblicato sull’«Observer» nel gennaio 1938, al sistema di rune utilizzato nello Hobbit, e ovviamente nello spiegare tutto ciò si guarda bene dall’“uscire” dalla finzione narrativa!
Per delimitare il campo di questo argomento lascio di seguito i link a due vecchi articoli dedicati alle rune Cirth, in cui già accennavo, ovviamente, alla questione della loro “resa”.
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LINGUE ELFICHE/42 – SISTEMI DI SCRITTURA – Parte III ~ Cirth: le rune di Daeron: articolo sulle Cirth in generale e con una tabella di confronto tra i valori di ogni singola runa per i vari sistemi.
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LINGUE ELFICHE/43 – EXTRA. Le rune di Erebor, l’Ovestron, il Rohanese: la questione dell’adattamento: articolo sulla pratica, da parte di Tolkien, dell’adattamento delle lingue di Arda attraverso l’utilizzo di lingue del nostro mondo – pratica da cui non sono esenti, appunto, le rune.
Le rune dello Hobbit sono appunto state “adattate” da Tolkien tramite l’uso delle rune del fuþork anglosassone, a beneficio dei lettori, come spiega nell’introduzione a Lo Hobbit:
[…] Le rune erano lettere antiche originariamente ottenute intagliando o graffiando legno, pietre o metalli, ed erano pertanto sottili e angolose. Al tempo di questa storia soltanto i nani ne facevano un uso regolare, specialmente per documenti privati o segreti. Le loro rune sono sostituite in questo libro dalle nostre antiche rune, che oramai sono note solo a poche persone. […]
Da un punto di vista dell’ispirazione, possiamo osservare un robusto parallelismo tra le rune del Mondo Primario (il fuþark germanico e le serie runiche che, a partire da questa “matrice”, si diffusero e si differenziarono in tutta l’Europa del Nord) e le rune del Mondo Secondario (le cirth inventate dall’Elfo Sindar Daeron nella Prima Era di Arda alla corte di Elu Thingol e in seguito diffusesi come alfabeto non solo tra gli Elfi ma anche tra i Nani, che nel corso della Seconda Era le porteranno al loro apice).
Ho cercato di riprodurre le rispettive “genealogie” di questi due sistemi attraverso lo schema allegato al presente post come immagine. Lungi dall’essere esaustivo (non siamo qui per fare un excursus completo di filologia germanica!), lo schema cerca di mostrare l’affinità nel modo in cui le rune, passando da una cultura all’altra, da un’epoca all’altra, si avvicendino, si espandano, si differenzino, vengano riadattate, riorganizzate… Tuttavia questo non esaurisce affatto la questione! In quanto in Tolkien non parliamo solo del livello “esterno” della creazione (e quindi di ispirazione sfruttata DA Tolkien per le sue creazioni linguistiche), ma anche di un livello “interno”, che mette in una relazione storica (per quanto giocoforza fumosa e indistinta, in quanto afferente alla realtà e a un “diverso stadio di immaginazione” di questa) le lingue primarie e secondarie, come se facessero parte di fasi diverse del medesimo processo di sviluppo.
Riporto nuovamente l’estratto dalla Lettera 25, dato che ci offre qualche spunto di riflessione in questo senso:
[…] C’è poi la questione delle rune. Quelle usate da Thorin e compagnia, per scopi speciali, erano comprese in un alfabeto di trentadue lettere (nella sua piena applicazione) simile, ma non identico, alle rune delle iscrizioni anglosassoni. Esiste indubbiamente una connessione storica tra i due alfabeti. L’alfabeto feanoriano, usato in quell’epoca, era di origine elfica. Appare nella maledizione iscritta sulla pentola d’oro nel disegno della tana di Smaug, ma è stato trascritto (può essere messo a disposizione un facsimile della versione originaria lasciata sul caminetto). […]
Tolkien dunque ipotizza, senza mezzi termini, che il fuþark germanico potrebbe derivare dal Cirth (indubbiamente più antico), e crea dunque una suggestione magica secondo cui esisterebbe un fil rouge che collega l’intera storia del Legendarium di Arda alla nostra storia ANCHE attraverso un dettaglio come quello delle rune utilizzate dai personaggi.
Compito del “traduttore” dello Hobbit è allora, come abbiamo letto poc’anzi, quello di “attualizzare”, al fine di rendere più comprensibili e intuitive per i lettori moderni, le rune usate da Thorin e compagnia, le stesse che si trovano sulla Mappa di Thror, e dunque quale “codice” sceglie per questo scopo? Ovviamente le rune anglosassoni, che domande!
È questo connubio di ispirazione e “parentela” che simboleggia perfettamente, a mio avviso, lo spirito della sub-creazione tolkieniana: da un lato un’ispirazione letteraria dagli elementi del mondo reale al fine di ottenere un’ambientazione, una costruzione linguistica, delle storie, che siano credibili sul piano della narrativa; e dall’altro lato una presunta, remota parentela con un passato talmente lontano da risultare credibile sul piano della Letteratura.
Tutto si tiene: il passato è sia il luogo del Mito sia il luogo della Storia. Anzi, più indietro si viaggia nel tempo (La Strada Perduta ?!) più questi due livelli si confondono e si integrano vicendevolmente, e la Letteratura diventa il loro luogo d’incontro, di fusione, di ri-significazione.
La prossima volta torneremo a parlare delle Lettere, e analizzeremo un paio di estratti in cui Tolkien torna a parlare delle sue “scelte traduttive approssimative”, per rendere parole come Eldar, Eldalië, etc.
Alla prossima!

-Rúmil