SÔVAL PHÂRË – (La“Lingua Comune”) ~ Rubrica sulla Traduzione in Tolkien - EPISODIO 25: La Guide to the Names of The Lord of the Rings. Cose ~ Conclusioni e annuncio sul prosieguo della rubrica

Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.

Quest’oggi affrontiamo le ultime voci della Guide to the Names, almeno per quanto riguarda la selezione che abbiamo tracciato.

Non escludo che torneremo a parlare di specifici nomi che, per una ragione o per un’altra, non fanno parte di questo documento pur avendo un preciso significato – o un’accezione riconoscibile – in lingua inglese (un po’ come i nomi di battesimo degli hobbit, che abbiamo analizzato nell’episodio 20 di questa rubrica), ma che risulterebbero particolarmente interessanti da discutere a causa delle proposte di traduzione italiane (ad esempio Gaffer, Ranger, Strider, Steward).

Parimenti, non escludo che in futuro potremmo effettivamente ripescare alcuni nomi che compaiono nella Guide ma di cui non ho analizzato le voci in questa prima, parziale selezione (come Barliman Butterbur, Weathertop, Wilderland, Dunland, Entwash, Hornburg, Shelob), per non appesantire il discorso con un’eccessiva quantità di esempi.

Passiamo ai nomi di oggi. Nell’ultima sezione del documento Tolkien raccoglie (sotto l’etichetta “Cose”) tutti quei nomi che non sono né di persone né di luoghi, e dunque si tratta di un insieme piuttosto eterogeneo: elementi di flora (come Evermind, Kingsfoil, Longbottom Leaf, Westmansweed), pratiche, usi e costumi, ricorrenze, concetti legati al mondo hobbit (come Lithe, Yule, Old Toby, Springle-ring, le già citate voci su Mathom e Smials), etc. È la sezione più breve, e probabilmente anche la meno rappresentativa, tuttavia contiene alcune informazioni utili, oltre che per la traduzione, per la comprensione di alcuni caratteri dell’universo narrativo.

Evermind. [“Ricordasempre” in A-P; “Semprinmente” in F]. Un nome di fiore, traduzione del nome di Rohan [Old English] simbelmynë. L’elemento -mind ha l’accezione di “ricordo”; il nome somiglia pertanto al nontiscordardimé, ma si intende un tipo di fiore piuttosto diverso: una varietà immaginaria di anemone, che cresce su manto erboso come l’anemone Pulsatilla, il “fiore della Pasqua” [ing. “pasque-flower”, in italiano è la nostra Pulsatilla – non possiede un nome comune], ma più piccolo e bianco come l’anemone Silvia [Anemonoides nemorosa]. Tradurre a senso. Le versioni svedese e olandese omettono entrambe l’elemento -mind, e in questo modo producono nomi equivalenti a “fiore eterno”, il che manca il punto. Sebbene infatti la pianta fiorisca in tutte le stagioni, i suoi fiori non sono “immortelles” [è sia la traduzione in francese di “immortali” sia un riferimento ad alcuni generi di piante, comunemente chiamate “semprevive” – ing. “everlastings”, facenti parte della famiglia delle Asteraceae]. (La versione svedese ha evighetsblommor, l’olandese Immerdaar).

[Qualche trivia linguistico extra: simbelmynë (o in alcune occorrenze symbelmynë) è appunto un calco in antico-inglese che traduce uno sconosciuto nome in rohanese. È stato suggerito da alcuni commentatori (John Tinkler, Old English in Rohan) che questo termine derivi dalle parole anglosassoni simbel “sempre” e myne “mente, ricordo”. I nomi elfici sono invece uilos e alfirin.

Su Uilos (“Sempre bianco-neve”, nome Sindarin che è anche la traduzione del Quenya Oiolossë) vedi anche questo articolo, in cui ne abbiamo parlato.

Invece alfirin significa letteralmente “immortale” (cfr. radice PHIR, “esalare l’ultimo respiro, spirare”).]

Fiore di Evermind (Simbelmynë) in una scena della trasposizione cinematografica di The Two Towers (2002) di Peter Jackson. Il reale fiore utilizzato per la scena del funerale di Théodred è probabilmente un Anemonoides nemorosa, come suggerito da Tolkien, oppure un Anemone leveillei, la variante asiatica, sempre della famiglia delle Ranunculaceae

Lithe. [Non tradotto in entrambe le versioni italiane]. Il primo e il secondo Lithe (dall’antico-inglese líða) erano gli antichi nomi per Giugno e Luglio, rispettivamente. Tutti i nomi dei mesi del Calendario della Contea sono forme (obsolete) di nomi in antico-inglese. Nel Calendario degli Hobbit (il) Lithe era il giorno mediano (o il 183mo giorno) dell’anno (vedi Appendice D). Dal momento che tutti i nomi hobbit dei mesi non dovrebbero far parte della Lingua Comune, ma di elementi conservatisi dalla loro precedente lingua, antecedente alla migrazione, sarebbe meglio lasciare Lithe invariato – così come sarebbe d’uopo trattare gli altri nomi del calendario in qualsiasi traduzione delle Appendici. La versione olandese mantiene Lithe. (La parola era peculiare dell’inglese e non si trova un corrispondente altrove). La versione svedese riscrive il passaggio (I 19) “[il Sindaco di Michel Delving (o della Contea) che era] eletto ogni sette anni durante la Libera Fiera che si teneva sui Poggi Bianchi al Lithe, cioè al Solstizio d’Estate.”: Han valdes vart sjunde år vid midsommarvakan uppe pä kritklipporna i sommarsolståndets natt. Questo, oltre a omettere la “Free Fair” e a tradurre erroneamente “White Downs” come “rupi di gesso”, rappresenta in modo errato il passaggio e i costumi ai quali si allude in maniera chiara. Non si trattava di un festival notturno o di un wake [letteralmente “veglia”, ma può riferirsi anche a feste patronali], ma un giorno di celebrazioni caratterizzato da una “Libera Fiera” (versione olandese Vrije Markt), così chiamata perché chiunque lo desiderasse poteva metter su un banchetto senza pagare alcuna tariffa. Il traduttore ha associato il passaggio al festival del solstizio d’estate scandinavo, nominalmente cristianizzato dall’associazione con il giorno di San Giovanni Battista (24 giugno), che cadeva più o meno nella data corretta (cfr. Islandese Jónsvaka, Jónsmessa, Danese Sankthansnat, Skaersommernat). Ma la situazione ritratta non era un “Sogno di una Notte di Mezza Estate”! Vedi Yule.

Wedding of the King (1977) by The Brothers Hildebrandt (Tolkien Calendar 1977 – mese di Dicembre). Il matrimonio di Aragorn e Arwen ebbe luogo nel giorno di Overlithe (Solstizio d’estate) del 3019 T.E.

Yule. [“Capodanno” in A-P; non tradotto in F]. La controparte di mezzo inverno del Lithe. Ha una sola occorrenza ne Il Signore degli Anelli, nell’Appendice D, e “Mezzo inverno” si trova solo una volta durante la narrativa principale. La festività di mezzo inverno non era una tradizione elfica, e dunque non sarebbe stata celebrata a Rivendell. La compagnia, tuttavia, partì il 25 dicembre, [data] che per loro non aveva allora alcun significato, poiché lo Yule, o il suo equivalente, era all’epoca l’ultimo giorno dell’anno e il primo dell’anno successivo. Ma la data del 25 dicembre (partenza) e la data del 25 marzo (compimento della missione) sono state scelte da me intenzionalmente.

In traduzione, Yule come Lithe dovrebbe essere trattato come una parola aliena, non facente parte dell’attuale Lingua Comune. Dovrebbe pertanto essere preservata, sebbene con un’ortografia coerente con la lingua della traduzione: così, per esempio, potrebbe essere scritta Jule in danese o in tedesco. Il termine Yule è riscontrato nell’inglese moderno (perlopiù come arcaismo letterario), ma si tratta di un puro caso, e ciò non deve essere assunto per implicare che una parola simile o correlata si trovasse anche nella Lingua Comune dell’epoca: il calendario hobbit differiva completamente dai calendari ufficiali in Lingua Comune. Si potrebbe tuttavia supporre che una forma della stessa parola fosse stata usata dagli Uomini del Nord che giunsero a costituire una gran parte della popolazione di Gondor (III 328), e fu in seguito usata a Rohan, cosicché parole come Yule erano ben conosciute a Gondor come “nomi nordici” per la festività di mezzo inverno; in qualche modo come [avvenne con] la comparsa nel moderno tedesco di Jul (come prestito dal nord?), in parole come Julblock “Yule-log” [“ceppo natalizio”] e Julklapp (come in svedese e similmente in danese). In Scandinavia ovviamente Jule sarebbe ben compreso.

Yuletide by Lída Holubová

[Queste due voci le ho riportate più per aggiungere qualche info e curiosità extra che non per riflettere sulle eventuali traduzioni: Tolkien si profonde in esposizioni storiche ed etimologiche molto affascinanti, ma ritiene che sia preferibile non tradurle, per motivi simili a quelli addotti per mathom e smial. La cosa interessante è come Tolkien utilizzi (in maniera non dissimile da come la cultura cristiana ha “riciclato” le ricorrenze pagane per farvi coincidere le proprie festività) date “notevoli” del calendario del mondo primario, come il solstizio d’estate e il capodanno, per collocarvi le feste degli Hobbit. Tolkien realizzò un incredibile lavoro di costruzione teorica per i calendari della Terra di Mezzo, compiendo anche i calcoli necessari a compensare le approssimazioni che si creano nel lungo periodo, e differenziando sensibilmente i vari sistemi (hobbit, 3 tipi di calendario númenóreano, elfico [utilizzato per esempio a Imladris]), pur rendendoli “convertibili” l’uno nell’altro, per far sì che i vari computi non andassero in contrasto tra loro e consentissero passaggi abbastanza semplici dall’uno all’altro. Per approfondire, consiglio l’eccezionale sito-progetto “Shire Reckoning” (https://psarando.github.io/shire-reckoning/), che non solo contiene una simulazione comparata dei vari calendari e una cronologia completa degli eventi del Legendarium di Arda ad essi associata, ma include anche articoli e schede di approfondimento che spiegano tecnicamente, ad esempio, il già citato “calcolo del deficit” (vedasi anche l’articolo Reddit di Andreas Möhn a.k.a. CodexRegius a riguardo: 

https://www.reddit.com/r/tolkienfans/comments/836lf1/tolkien_has_reckoned_correct_in_app_d_after_all/) o espongono sistemi di sincronizzazione con calendari storici del Mondo Primario (come il Gregoriano, o il sistema rappresentato in De Ratione Temporum di Beda il Venerabile [VII sec.]). Insomma si tratta davvero di un progetto notevole e meritorio, che va a fondo nel lavoro di Tolkien, e dà conto della sua estrema e ben congegnata complessità.]

Tabella del Calendario della Contea valido per tutti gli anni, Appendice D

***

Cari amici, con questo si conclude (per il momento) la disamina puntuale (seppur parziale e puramente a titolo di esempio) della Guide to the Names, benché ancora molto resti da dire sulle traduzioni delle opere di Tolkien, in special modo sulle versioni italiane, che ovviamente ci interessano in maniera particolare, essendo state per molti di noi la chiave d’accesso all’incredibile mondo del Professore di Oxford.

Se mi è consentito tracciare un bilancio di quanto esposto finora in Sôval Phârë, a questo punto del nostro percorso possiamo dire di aver sviscerato un buon numero di concetti riguardo alla traduzione in Tolkien e alle traduzioni delle opere di Tolkien. Dovrebbe essere ben chiaro ormai quanto studio e quanto impegno si nasconda dietro a questa straordinaria costruzione linguistico-narrativa; e ritengo sia emersa altrettanto chiaramente la complessità a tratti insormontabile di restituire tutto questo, statuto narrativo e matrioska di traduzioni e adattamenti in-universe compresi, attraverso il testo di servizio della traduzione in lingua straniera. Proprio in virtù di questa estrema complessità, e per rispetto nei confronti dell’opera e del suo autore, che mai avrebbe desiderato la creazione di fazioni intorno a questioni letterarie inerenti la propria opera, vorrei ricordare a tutti i potenziali lettori di questa rubrica che non ha senso polarizzarsi e scannarsi intorno a delle scelte traduttive. Ha molto più senso, ed è decisamente più profittevole e interessante, cavare da ciascuna scelta, anche quelle che ci sembrano più controverse e inadatte, la ratio perseguita dal traduttore di turno, ed eventualmente provare a confutarla con il conforto del testo originale e accompagnando tutto questo con un’argomentazione rigorosa, basata su criteri etimologici, estetici, letterari e solo in ultima istanza di gusto (che è impossibile ignorare o escludere, ma occorre considerarlo non prioritario rispetto agli altri parametri che ho elencato).

Premetto tutto ciò agli argomenti che tratteremo prossimamente in quanto “conosco i miei polli”, e vorrei mettere bene in chiaro le premesse metodologiche di questo lavoro, ovvero quelle che io considero utili e necessarie per intavolare il confronto più proficuo e scrupoloso che io sia in grado di offrirvi.

Parlando, in alcuni dei post venturi, delle differenze tra la traduzione Alliata e la traduzione Fatica, non ammetterò che nei commenti si inneschino meccanismi di tifoserie stupide o che si propalino opinioni scarsamente argomentate (o non argomentate affatto), proprio perché, come chi ha seguito questa rubrica avrà potuto osservare, da parte di chi scrive vi è il costante sforzo di rifuggire questi estremi e di offrire, al contrario, una trattazione dell’argomento pressoché imparziale (per quanto umanamente possibile).

Da un lato, uno dei principali ostacoli ad attenersi a questa condotta sembra essere, per molti, l’abitudine consolidata alla traduzione storica, e il rifiuto a priori della novità; d’altro canto, è quasi altrettanto in voga, per altri, l’abitudine a disprezzare il lavoro fatto nei decenni precedenti, a considerarlo pedestre e antiquato, e a trattare invece la nuova traduzione come quella che è stata finalmente capace di restituire “il vero Tolkien”.

Non mi riconosco in alcuno di questi approcci, che trovo manchino sostanzialmente il punto. Mi sembra che chi li adotta lo faccia sostanzialmente per semplificarsi la vita, preferendo ignorare l’unico modo di procedere pragmatico per situazioni come questa: CASO PER CASO. Non ha alcun senso bocciare tutto o promuovere tutto, e ciò vale per qualsiasi operazione artistica, letteraria, tecnica, etc. Occorre valutare i singoli casi, ma soprattutto occorre, come abbiamo ripetuto diverse volte anche in questa rubrica, riconoscere che la pratica della traduzione è fatta di scelte e di interpretazioni. Possono esistere, beninteso, scelte totalmente fuori strada o perfino erronee, ma non può esistere un’unica scelta assolutamente corretta o preferibile rispetto a tutte le altre possibilità.

Perciò chi non desidera discutere pacificamente, in maniera intellettualmente stimolante e arricchente, ma desidera invece far parte della parrocchietta di turno, e aprire tenzoni sterili, magari alzando i toni in modo inopportuno, sappia che questo modo di confrontarsi e di partecipare al dibattito non mi appartiene: lo trovo pigro, controproducente e intellettualmente disonesto. Ergo, la richiesta è, nell’intervenire, di attenersi non solo alle banali e universali regole della buona educazione e della netiquette, ma anche di avere disposizione all’approfondimento, alla verifica delle fonti, all’informarsi prima di aprire bocca, al non sprecarsi in opinioni palesemente controverse o provocatorie, al non indulgere in atteggiamenti supponenti o passivo-aggressivi, all’evitare argomenti ad hominem, argomenti fantoccio, reductiones ad ridiculum e svariate altre fallacie logiche che sono piuttosto semplici da smontare, ma richiedono tempo e fatica sottratta ad altre occupazioni ben più importanti e dilettevoli che rispondere a voi (senza offesa).

[Sia chiaro: tutto questo vale, ovviamente e sempre, anche per la rubrica #traduzioniconfrontate. Il mio non è che un friendly reminder, che vi invito a tener presente anche sotto i post non curati direttamente da me. Per quanto lo sforzo di mantenere la discussione a livelli decenti, e di evitare fazioni o bufale, costituisca un lavoro collettivo da parte di tutta la redazione, sappiate che serve molta ricerca e molto impegno per “sbufalare”, per verificare le fonti e in generale per produrre testi rigorosi e attendibili, mentre basta niente per diffondere informazioni false o non verificate, che spesso hanno molta più presa della verità sull’opinione di chi legge, e dunque vanificano tutto lo sforzo profuso. Questa lotta, decisamente impari, sarebbe parecchio alleggerita se ciascuno di noi riflettesse, prima di metter mano alla tastiera, e avesse lo scrupolo di verificare le proprie fonti. Uno degli obiettivi della presente rubrica è appunto quello di fornire strumenti critici agli interessati, e mostrare che è possibile un’attitudine al dibattito meno suscettibile di emozionalità e superficialità. Speriamo, come sempre, di fare cosa gradita.]

Detto questo, per passare ad argomenti più piacevoli, e dato che (tanto per restare in tema) su questo tipo di argomenti gira ancora oggi molta disinformazione, vorrei tracciare qualche profilo di storia editoriale sull’edizione italiana del Signore degli Anelli, proseguendo dunque la storia che abbiamo accennato precedentemente, e approfondendo (comunque a sommi capi) i protagonisti di questa vicenda: oltre chiaramente a J. R. R. Tolkien e ai suoi editori inglesi, l’editore di Astrolabio Mario Ubaldini e la prima edizione della Compagnia dell’Anello (1967); la prima traduttrice italiana Vittoria Alliata di Villafranca; il direttore editoriale della casa editrice Rusconi Alfredo Cattabiani e la prima edizione completa del Signore degli Anelli (1970); il suo curatore Quirino Principe. In seguito affronteremo anche la storia recente: l’acquisizione dei diritti editoriali dell’opera di Tolkien da parte di Bompiani, la collaborazione della Società Tolkieniana Italiana per la revisione del testo del SdA, il contributo apportato dall’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani, la nuova traduzione (2019-2020) di Ottavio Fatica, etc.

Sarà una storia complessa da raccontare, ma ritengo che ne sarà valsa la pena, se non altro per sfatare qualche mito piuttosto pertinace e fare un po’ di chiarezza sull’affascinante storia della fortuna critica di questo romanzo nel nostro paese.

Alla prossima!

-Rúmil

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