SÔVAL PHÂRË – (La“Lingua Comune”) ~ Rubrica sulla Traduzione in Tolkien - EPISODIO 23: La Guide to the Names of The Lord of the Rings. Toponimi (parte 2)

Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.

Continuiamo con l’analisi di alcuni toponimi del Signore degli Anelli attraverso le voci loro dedicate nella Guide to the Names. Come già specificato nel post precedente, questa selezione non ha alcuna pretesa di esaustività, ma vuole prendere in esame solo alcune delle voci più rappresentative o controverse.

Di tanto in tanto chiamerò in causa le traduzioni italiane, per un raffronto testuale e per compiere qualche ragionamento sul merito delle scelte e delle interpretazioni avanzate da entrambi. Passo alle voci, come sempre accompagnate da miei brevi commenti (tra parentesi quadre):

Orthanc in the Second Age by Ted Nasmith

Isengard e Isenmouthe. Questi nomi erano pensati per rappresentar le traduzioni in Lingua Comune dei nomi elfici Angrenost e Carach Angren, ma sono stati coniati in una epoca così antica che nel periodo in cui è ambientata la storia erano divenuti arcaici nella forma e i loro significati originari obliati. Possono pertanto essere lasciati invariati, sebbene la traduzione (di uno o di entrambi gli elementi in entrambi i nomi) potrebbe essere idonea, e, ritengo, auspicabile qualora la lingua della traduzione sia germanica, e dunque abbia al suo interno elementi correlati.

Isen è un’antica variante inglese di iron; gard una parola germanica che significa “recinto, corte”, specialmente del tipo che circonda un insediamento o un gruppo di edifici; e mouthe un derivato di mouth, che sta per l’antico-inglese mūða da mūð “bocca”) “apertura, sbocco”, utilizzata in particolare per le foci dei fiumi, ma anche applicata ad altri tipi di aperture (non parti del corpo). Isengard “la corte di ferro” era così chiamata a causa della grande robustezza della roccia in quella località e specialmente nella torre centrale. L’Isenmouthe era così chiamato a causa delle grandi palizzate di ferro appuntite che chiudevano la breccia che conduceva nell’Udûn, come denti di ferro (vedi III 197, 209).

Nelle versioni olandese e svedese Isengard è lasciato invariato. Per Isenmouthe la traduzione olandese utilizza Isenmonde, traducendo o assimilando all’olandese solo il secondo elemento (una traduzione più completa in Ijzermonde mi sarebbe parsa migliore). La traduzione svedese lo rende con Isensgap, che è errato, dal momento che Isen non è un nome proprio ma un aggettivo.

Carach Angren by Darell Midgette

L’elemento gard appare nell’antico norreno garðr, da cui deriva il termine svedese corrente (o dialettale) gård, il danese gaard e l’inglese garth (oltre alla forma originale inglese yard); questo termine, sebbene di norma abbia delle associazioni semantiche più umili (come l’inglese farmyard “aia, cortile”) appare per esempio nell’antico norreno Ás-garðr, ormai ampiamente conosciuto come Asgard nella mitologia. La parola andò precocemente perduta in tedesco, tranne che nell’alto-tedesco antico mittin- o mittil-gart (“la terra abitata dagli Uomini”) = antico norreno mið-garðr, e antico-inglese middan-geard: vedi Middle-earth [“Terra di Mezzo”]. Non potrebbe questo antico elemento, nella forma tedesca -gart, essere adatto a restituire in traduzione o assimilazione al tedesco, per esempio con Eisengart?

Di -mouthe l’equivalente tedesco sembra essere mündung (o nei toponimi -munde); per le lingue scandinave, in danese munding, in svedese mynning.

Nota: Qualsiasi forma venga usata per Isengard deve anche essere usata per il nome del fiume Isen, poiché il nome del fiume deriva da Isengard, nel cui cerchio ha la propria sorgente.

[Entrambe le traduzioni italiane hanno lasciato invariati questi nomi. Del resto sarebbe stato estremamente difficile, se non impossibile, scovare delle traduzioni a senso che fossero altrettanto iconiche: essendo l’italiano una lingua neolatina e non germanica, le radici utilizzate per comporre simili nomi sarebbero state fin troppo diverse, e avrebbero ingenerato confusione. È in questo senso che Tolkien all’inizio della Guide avverte che molte delle delucidazioni e dei consigli saranno forse più utili ai traduttori di lingue germaniche: divari eccessivi nel lessico o nella morfologia possono rendere particolarmente gravoso il compito del traduttore (o del ri-traduttore! Dovesse oggi uscire una nuova edizione italiana del SdA che provasse a cimentarsi nel tradurre Isengard, dando visibilità al significato di “Corte di Ferro”, incontrerebbe non poche resistenze a causa dell’abitudine dei lettori, e del fatto che il vecchio nome si sia ormai sedimentato nell’immaginario collettivo. Questo è un discorso da tenere sempre in considerazione, quando si ragiona di traduzione.)].

Mirkwood by J. R. R. Tolkien

Mirkwood [“Bosco Atro” in A-P; “Boscuro” in F]. Un nome preso in prestito dalla geografia e dalle leggende dell’antica Germania, preservatesi soprattutto nell’antico norreno myrkviðr, sebbene la più antica forma attestata sia l’antico germanico mirkiwidu. Non preservatosi in inglese, sebbene Mirkwood sia ora impiegato per rappresentare l’antico norreno myrkviðr. Tradurre a senso, se possibile utilizzando elementi di toni poetici o antichi. La versione olandese ha Demster-wold. La svedese ha Mörkmården, di cui non comprendo l’ultima parte, dal momento che l’unica mård che io conosca è il nome dell’animale da pelliccia “marten” (danese maar) [martora]. (I traduttori della mitologia norrena in lingue germaniche o scandinave dovranno pur aver desiderato qualcosa di meglio?)

[Molto divertente che i commenti di Tolkien sulla traduzione svedese dei propri toponimi siano puntualmente i più caustici. Del resto sappiamo, da qualche post fa, che non ebbe la possibilità di farli correggere, essendogli stati inviati dalla casa editrice straniera a ridosso della stampa. Il rapporto tra Tolkien e Ohlmarks fu incrinato irrimediabilmente da questo trattamento ricevuto, e Tolkien in queste note utilizza spesso la sua traduzione come riferimento negativo, su cosa NON fare – a beneficio dei traduttori danesi tedeschi e successivi.]

Norbury [“Roccanorda” in A-P; “Norburgo” in F]. Traduzione in Lingua Comune di Forn-ost. La forma che il composto antico-inglese norð-burg assumerebbe come toponimo in inglese moderno, dal significato di “città (fortificata) del nord”. Tradurre a senso, e attraverso elementi correlati nella lingua della traduzione, laddove disponibili. In maniera simile Nor-land “(appartenente alle) terre del nord”, con cui in questo racconto si intendono le regioni immaginate nella vicenda a nord di Rohan. La forma estesa Northerland (I 390) ha lo stesso riferimento. Northfarthing: vedi Farthing.

[L’unica occorrenza di Norland in tutto il testo si trova nella poesia di Eärendil, nel capitolo Molti incontri, e si riferisce con ogni probabilità al perduto Beleriand e alle terre inabissate dopo la Guerra d’Ira. Ecco i versi in questione e la resa delle due traduzioni italiane:

Fornost Erain by Aobo Wang on Art Station

Originale:

on high above the mists he came,
a distant flame before the Sun,
a wonder ere the waking dawn
where grey the Norland waters run.

Alliata-Principe (1970):

Giunse così in alto oltre nubi e nebbie,
Una scintilla al cospetto del Sole,
Un prodigio di fronte all’alba nascente
Ove delle Terre Nordiche scorre il grigio torrente.

Fatica (2019):

alto sulle brume venne,
una fiamma innanzi al Sole,
un portento pria dell’alba
dove scorron le acque nordiche.

Come possiamo vedere la versione di Fatica opera una sintesi consistente, sia rispetto alla precedente traduzione sia rispetto al testo originale, però così facendo perde il toponimo Norland nella sua unica occorrenza.]

Rivendell by J. R. R. Tolkien

Rivendell [“Gran Burrone” in A-P. – in alcune edizioni “Granburrone”; “Valforra” in F] “Valle-spaccata, divisa in due”; traduzione in Lingua Comune di Imladris(t) “profonda valletta della fenditura”. Tradurre a senso, o preservare l’originale, a seconda di cosa sembri preferibile. La versione olandese mantiene il nome come Rivendel; la versione svedese ha Vattnadal, che è scorretto e suggerisce che il traduttore abbia pensato a Riven come correlato a river.

[Ricordo che Rivendell è uno dei nomi citati nell’introduzione di questo testo come caso di successo nel tentativo di conciliare una traduzione letterale del nome elfico originale e produrre anche “un nome eufonico dal familiare stile inglese”. Il valore fono-estetico era molto importante per Tolkien. Il fatto che Rivendell contenga tante consonanti liquide lo rende piacevole e orecchiabile, quasi “morbido”, e produce un effetto paragonabile appunto a Imladris. Sembra quasi un nome “elfico”, e questo non è sicuramente casuale. Altra traduzione italiana di questo nome è Forraspaccata, nella traduzione dello Hobbit di Elena Jeronimidis Conte (1973). Sebbene “Forraspaccata” sia ottimo dal punto di vista del senso, perde qualche punto proprio in virtù di questo ragionamento sulla piacevolezza estetica: le consonanti doppie, specialmente le occlusive cc, appesantiscono e offuscano in parte la dolcezza che il nome dell’Ultima Casa Accogliente dovrebbe avere. Molto spesso anche Fatica è caduto in questa trappola.]

Sarn Ford [“Sarnoguado” in A-P; “Guardo Sarn” in F]. Preservare Sarn. Il nome è una traduzione a metà (da Sarn-athrad “guado pietroso”), un processo frequente nei toponimi. Il termine elfico sarn si incontra anche in Sarn Gebir.

[In questo caso entrambi i traduttori hanno recepito l’indicazione e vi si sono attenuti pedissequamente. Sarnoguado “sfrutta” la concessione di Tolkien, espressa altrove nella Guide, di adattare foneticamente i nomi alla lingua di destinazione. La soluzione di Fatica è molto simile, anche se rischia di far interpretare Sarn come un nome proprio, quando invece è appunto la parola Sindarin per “pietra, ciottolo”. Tuttavia la sostanza non cambia più di tanto.]

Gandalf crosses the Sarn Ford by Alarie

Nel corso del prossimo appuntamento vedremo insieme qualche altro toponimo. Come spero sia evidente, questa selezione è assolutamente non esaustiva, ma punta a restituire il più possibile la varietà nelle considerazioni di Tolkien, nelle soluzioni di traduzione per le versioni italiane, e nelle possibili riflessioni linguistiche che da questi elementi possono scaturire. La Guide to the Names è un documento complesso, e a tratti piuttosto tecnico, ma riesce a fornire informazioni e curiosità che non sono presenti altrove, a volte per il puro gusto di condividerle! Non sono rari i casi in cui Tolkien presenta delle voci, come abbiamo visto per Isengard o per Mount Doom, prolisse e dense di curiosità linguistiche ed etimologiche, ma senza suggerire rigidamente di tradurre o di tradurre in un determinato modo i relativi nomi: il suo interesse è che chi abbia questo compito sia provvisto di tutti gli strumenti analitici del caso, e abbia la sua stessa consapevolezza sulla difficoltà del compito.

In questo senso trovo che si tratti di una condivisione molto generosa e di enorme fascino e interesse.

Alla prossima!

-Rúmil

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien