SÔVAL PHÂRË – (La“Lingua Comune”) ~ Rubrica sulla Traduzione in Tolkien - EPISODIO 22: La Guide to the Names of The Lord of the Rings. Toponimi (parte 1)

Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.

Oggi cominciamo ad analizzare alcune voci dalla Guide to the Names relative ai toponimi presenti nel Signore degli Anelli, argomento sul quale Tolkien, come abbiamo notato, era molto puntiglioso ed estremamente coinvolto!

Nel compiere questa selezione, ho scelto di prendere in esame solo alcune voci particolarmente rappresentative o “controverse”, giacché la maggior parte risulta piuttosto semplice e lineare, con indicazioni piuttosto stringate o addirittura la semplice richiesta di tradurre a senso. Qualche esempio:

  • Midgewater Marshes [“Chiane Ditteri” in Alliata-Principe; “Chiane Moscerine” in Fatica]. Tradurre a senso. Il nome è stato suggerito da Mývatn in Islanda, con lo stesso significato.

  • Mirrormere [“Mirolago” in A-P; “Speculago” in F]. Traduzione in Lingua Comune del Nanico Kheledzâram (“lago-specchio”); tradurre a senso.

  • Silverlode [“Argentaroggia” in A-P; “Roggiargento” in F]. Traduzione dell’elfico Celeb-rant. Tradurre a senso: silver [“argento”] e lode [“fonte”], “corso d’acqua, canale”.

  • Watchwood [“Boscoguardio” in A-P; “Boscolta” in F]. Tradurre.

Le voci più corpose che andiamo a presentare offrono invece qualche insight in più, qualche ragionamento etimologico o retroscena sul processo di invenzione (o sulle fonti di ispirazione), e possono senz’altro dar conto maggiormente delle difficoltà nel tradurli.

In alcuni casi chiamerò in causa le due traduzioni italiane (Alliata-Principe e Fatica), per compiere qualche ragionamento sulle loro rese in relazione all’originale e alle intenzioni di Tolkien rispetto all’idea che ciascuno di questi nomi vuole comunicare.

In quanto uno degli elementi centrali dell’ambientazione, la geografia (e la toponomastica) della Terra di Mezzo è una di quelle cose che i lettori imparano presto a conoscere, grazie anche alle cartine allegate al romanzo, tuttavia non sempre ci si sofferma sull’aspetto linguistico e sull’incredibile stratificazione di significati e suggestioni che questi nomi riescono a richiamare, e alla loro petizione di verosimiglianza sulla quale abbiamo già detto.

Passiamo alle voci:

Sam’s First View of Mordor by Darell Sweet (Tolkien Calendar 1982)

Doom. [in Mount Doom, “Monte Fato”]. In inglese la parola doom, nel suo significato originale di “giudizio” (formale e legale, o personale), si è caricata, in parte a causa del suo suono e specialmente in virtù del particolare uso che se ne fa nell’espressione doomsday “giorno del giudizio”, di un senso di morte, di “atto finale” e di fato (incombente o preannunciato). (Al di fuori dell’inglese, doomsday è conservato soltanto nei linguaggi scandinavi: l’islandese dómsdagur, lo svedese domedag, il danese dómmedag; anche il finlandese tuomipäivä).

L’uso nel testo di una parola descrittiva di un suono (specialmente nel Libro II, capitolo 5) come boom è nondimeno inteso a richiamare (e così si presume sia percepito dalla maggioranza dei lettori inglesi) il sostantivo doom, con il suo senso di disastro. Probabilmente non è possibile rappresentare questo aspetto in un’altra lingua. La versione olandese rappresenta foneticamente il binomio doom-boom con doem-boem, il che è sufficiente, e in ogni caso può contare sul sostegno del verbo doemen, che specialmente nel suo participio passato gedoemd ha lo stesso significato dell’inglese doomed “condannato” (a morte o a un fato crudele). La versione svedese ha solitamente dom-bom, ma talvolta riporta dum-bom. Ciò mi sembra (per quello che posso giudicare) insoddisfacente, poiché le associazioni di dum [“stupido” in svedese] sono abbastanza fuori luogo, e dumbom è una parola che significa “zuccone” (tedesco Dummkopf).

Mount Doom [“Monte Fato” in entrambe le traduzioni italiane]. Questo era (a Gondor) il nome in Lingua Comune per il vulcano Orodruin (“Montagna della fiamma rossa”), ma era una traduzione dell’altro suo nome elfico Amon Amarth (“Colle del Fato”), attribuito alla fucina-montagna di Sauron poiché era correlata in profezie antiche e male interpretate al “fato”, alla conclusione della Terza Era, che era stato predetto sarebbe avvenuta quando il Flagello di Isildur fosse stato ritrovato; vedi i versi a I 259. Tradurre a senso: “Montagna (del) giudizio” (nel significato di “fato incombente o imminente”). Vedi Crack of Doom [“Voragine del Fato” in A-P; “Crepe del Fato” in F].

[“Mount Doom” non è un “toponimo controverso”, essendo la sua traduzione così lineare. Tuttavia le considerazioni che fa Tolkien in questo passo sono decisamente interessanti, e ci consentono di compiere qualche riflessione sull’origine “neutra” del termine doom, che aveva appunto una valenza giuridica e oggettiva, prima di ricevere questa accezione marcata sul concetto di “morte, rovina”, etc. È interessante notare come nella Poesia dell’Anello l’espressione doomed to die riferita agli Uomini non contenga un’accezione necessariamente negativa (ricordiamo che la Morte è per gli Atani il “Dono di Ilúvatar”); tuttavia in entrambe le traduzioni, sia Alliata-Principe sia Fatica, è stata resa con toni decisamente foschi e “marcati”:

Alliata-Principe (1970):

Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende

Fatica (2019):

Nove agli Uomini Mortali dal fato crudele

Il significato dell’espressione, che dovrebbe semplicemente implicare che gli Uomini sono “destinati alla morte”, rischia in entrambi i casi di essere frainteso o adulterato da interpretazioni che esulano da ciò che Tolkien intendeva comunicare.]

Dunharrow by J. R. R. Tolkien (disegno risalente ad una vecchia concezione)

Dunharrow [“Dunclivo” in Alliata-Principe; “Fanclivo” in Fatica]. Una modernizzazione del termine di Rohan [anglosassone] Dūnhaerg “il tempio pagano sulla collina”, così chiamato poiché questo rifugio dei Rohirrim in fondo alla Harrowdale [“Clivovalle” A-P; “Valfano” F] sorgeva su un luogo sacro ai suoi antichi abitanti (ora gli Uomini Morti). L’elemento haerg può essere modernizzato in inglese poiché si conserva tuttora come elemento dei toponimi, particolarmente come Harrow (“sulla collina”). La parola non ha alcuna connessione con harrow [“erpice”], l’attrezzo agricolo. È l’equivalente antico-inglese dell’antico norreno hörgr (islandese moderno hörgur), dell’alto-tedesco antico harug. Nella lingua della traduzione sarebbe meglio rappresentato da un’approssimazione della forma di Rohan [qui Tolkien intende “un adattamento fonetico del termine anglosassone”]. La versione olandese Dunharg è soddisfacente; la svedese Dunharva potrebbe essere sospettata di aver pescato il significato di harrow come erpice (in svedese harv).

[Qui possiamo vedere come la traduzione di Alliata abbia seguito il suggerimento di Tolkien di “accontentarsi” di un’approssimazione fonetica del termine originale, traducendo solo l’elemento toponomastico harrow (in italiano reso con -clivo, ovvero “collinetta, pendio, strada in pendenza”) ma lasciando invariato il Dun-; in realtà questa scelta nasconde un errore di comprensione delle radici anglosassoni che compongono il nome: il primo elemento di Dūnhaerg, ovvero dún, significa in antico-inglese “montagna, collina”, mentre il secondo elemento haerg significa “tempio, idolo”. Tolkien ha scelto di “modernizzare” questo compound trasformando haerg in harrow, ignorando l’attribuzione dei relativi significati a vantaggio di una verosimiglianza del toponimo, e questo deve aver tratto in inganno Alliata, che, traducendo “Dunclivo”, è come se avesse tradotto “Colleclivo”, perdendo l’accezione di “tempio, luogo sacro”. D’altro canto Fatica ha proposto una resa anche del primo elemento, utilizzando il termine di derivazione latina fano, che si riferisce a un luogo consacrato a un edificio consacrato ad una divinità, tipicamente nel mondo dell’antica Roma. Il nome del comune friulano di Socchieve (fr. Soclêf) deriva proprio da sub + clivus e significa pertanto “sotto il declivio, il poggio”. Mentre per fano si confronti Sacrofano, in Lazio.]

An Almost Concealed Smial – West Farthing by Kay Woollard

Farthings [“Decumani” in A-P; “Quartieri” in F]. Vedi I 18. Questa è la medesima parola inglese farthing (Antico-inglese feorðing, medio-inglese ferthing), un quarto di penny; ma utilizzata nel suo significato originario di “un quarto, la quarta parte di”. Questo termine è modellato su thriding “terzo, terza parte di”, ancora oggi utilizzato nelle suddivisioni amministrative dello Yorkshire, con la perdita del th iniziale dopo th o t in Northriding, Easthriding, Westhriding. L’applicazione di questa parola a sotto-unità di forme di misurazione diverse dal denaro è stata per molto tempo obsoleta in inglese, e farthing è stato utilizzato fin dalla fase iniziale del medio-inglese come sinonimo di “somma trascurabile”, cosicché alle orecchie di un lettore inglese questa applicazione alla suddivisione amministrativa della Contea (un’area di circa 18.000 miglia quadrate [circa 46.000 km quadrati, parliamo di un’area appena superiore a un terzo dell’Inghilterra]) risulta comica. Questo tono difficilmente può essere riprodotto, ma potrebbero forse essere utilizzate delle parole correlate: come il danese fjerding, lo svedese fjärding; o il tedesco Viertal (che si applica a “regioni, distretti”).

A cottage in the Marish – East Farthing by Kay Woollard

[È interessante confrontare le due proposte di traduzione, tentando di ricostruire i ragionamenti utilizzati. Nel mondo latino, il decumanus (lett. “strada della decima parte”) era la via che correva in direzione est-ovest negli accampamenti (castra) romani, e per estensione anche nelle città romane, tipicamente costruite secondo uno schema urbanistico ortogonale (ovvero composte da isolati quadrangolari uniformi, con vie che si incrociano ad angoli retti a delimitarli). In origine il decumanus designava la linea tracciata dall’augure, interpretando il volere degli dèi attraverso gli auspici, per delimitare il templum, e questa linea diventava la norma per l’orientamento e la suddivisione delle città, costituendo dei reticolati attraverso l’incrocio tra decumani e le loro vie traverse, i cardina. All’incrocio tra decumanus maximus e cardo maximus sorgeva il praetorium (edificio che ospitava le cariche amministrative e militari dell’accampamento o della città) e il forum (la piazza principale).

The pedlar of medicines – Cottages and cottagers near Hardbottle by Kay Woollard

Alla luce di tutto questo può sembrare quanto meno bizzarra la scelta di Alliata di chiamare “Decumani” i quattro distretti della Contea, sia perché in Tolkien farthing si riferisce ai territori delimitati, non alle delimitazioni stesse; sia perché il termine “decumano” contiene un riferimento piuttosto fuorviante alla “decima parte” (ovvero al sistema di suddivisione detto “centuriazione”, tramite il quale i lotti delle città romane venivano ripartiti perché ognuno ospitasse cento famiglie; i decumani delimitavano evidentemente un decimo di lotto, ovvero il territorio occupato da dieci famiglie). Possiamo spiegarci questa scelta se consideriamo che decumanus maximus e cardo maximus suddividevano il castrum in quattro “quadranti”, ma è comunque una spiegazione abbastanza tirata.

It always rains on washing day – South Farthing by Kay Woollard

D’altro canto Fatica propone “Quartieri”, al singolare “Quartiero”. Si tratta di una versione antica di “Quartiere”, termine di origine medievale che designava appunto una delle quattro porzioni in cui era divisa una città dalla pianta romana dall’intersezione di cardo e decumano. Entrambe le traduzioni utilizzano l’intuizione di “italianizzare” il farthing attraverso il riferimento al mondo latino, entrambe le traduzioni hanno il difetto di proporre termini limitati alla sfera urbana (anziché rendere efficacemente il concetto di “regione, distretto” richiamato dall’originale), tuttavia in questo caso la scelta di Fatica risulta un po’ più comprensibile. Forse si sarebbe potuto utilizzare un termine più pertinente, come “Cantone”?]

High Hay by Matěj Čadil

Haysend [“Finfratta” A-P; “Finistrame” F]. La parte terminale della siepe o recinzione (non hay nel suo significato di “erba secca”). Tradurre come “fine della siepe”. Confronta con High Hay [“Frattalta” in Alliata; “Alto Strame” in Fatica].

[Presento questo nome poiché vorrei porre l’accento su un fraintendimento piuttosto evidente che c’è stato nella traduzione italiana della Compagnia dell’Anello ad opera di Ottavio Fatica. È interessante notare come questa specifica scelta traduttiva abbia “riverberato” negativamente anche sulla traduzione, recentemente rilasciata, de Il Ritorno dell’Ombra (VI volume della Storia della Terra di Mezzo), ad opera di Stefano Giorgianni ed Edoardo Rialti. Partiamo dall’inizio: in The Lord of the Rings la grande siepe che separa la Buckland (“Terra di Buck” o “Landaino” che dir si voglia) dalla Vecchia Foresta è chiamata con un toponimo piuttosto tautologico (come tipico degli Hobbit, vedi anche “l’Acqua”), ovvero the Hedge, letteralmente “la Siepe”. E tale è stata tradotta sia in Alliata che in Fatica. Tuttavia nel testo ricorrono ben due toponimi, correlati a Hedge che però in originale contengono l’elemento hay: appunto Haysend e High Hay. Questi sono stati tradotti da Fatica rispettivamente come Finistrame e Alto Strame, basandosi sul significato della parola inglese hay “fieno, strame”.

Il problema è che l’elemento hay in questi toponimi non viene affatto da hay inteso come “fieno” (dal termine anglosassone hīeġ), ma da una parola omografa dal significato di “siepe” (dal termine medio-inglese haye, heye, a sua volta derivato da una fusione tra i termini anglosassoni heġe “siepe, recinto” e ġehæġ “pezzo di terra recintato”); e infatti nella presente voce della Guide Tolkien ragguaglia proprio su questa distinzione.

Per quanto riguarda hedge, deriva dall’anglosassone heċġ, dal significato analogo a heġe.

Se Fatica avesse consultato, per questo specifico termine, la Guide avrebbe appreso dell’indicazione esplicita di Tolkien di non confondere questi due significati di hay.

La cosa ancora più bizzarra è che Hedge, tradotto correttamente da Fatica come “Siepe”, nella traduzione de Il Ritorno dell’Ombra di Giorgianni e Rialti, come accennavo, è stato invece invece “univerbato” agli altri due toponimi correlati, e reso con Strame, “aggravando” così l’errore di Fatica, e creando una situazione di totale incomprensibilità del testo (come fa una siepe a essere chiamata con un sinonimo di “fieno”?), dettata, mi sembra, da una non sufficientemente attenta comprensione e attenzione al contesto. Incontreremo altri casi simili, purtroppo.]

***

Nel prossimo appuntamento proseguiremo in questa rassegna sui toponimi, e affronteremo altre discussioni e raffronti testuali tra le traduzioni italiane. Al di là del gusto, per cui ciascuno di noi predilige una o l’altra versione, è interessante, ritengo, guardare ai dati sulla base dei quali procedono le diverse interpretazioni, e cercare di capire la ratio di ciascuna di queste scelte. Come già detto in altre occasioni, è più interessante e utile dotarsi di strumenti critici per valutare ogni scelta nel merito piuttosto che attribuire giudizi ed etichette in maniera arbitraria, spesso sulla base di valutazioni di pancia o dettate dall’abitudine che ciascuno di noi sviluppa intorno a un testo letterario e alle sue nomenclature.

Anche perché, come ci dimostra costantemente Tolkien, l’etimologia è portatrice di storie, sapere di più sulle storie dei nomi e degli elementi che li compongono è fonte di grande fascino e di una più profonda conoscenza di quei referenti.

Lingua e storia si compenetrano e si integrano vicendevolmente, questo è uno dei più mirabili simboli della narrativa e della poetica tolkieniana.

Alla prossima!

Ringrazio @Riccardo Ricobello per i preziosi consigli e per consulenze etimologiche varie.

-Rúmil

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien