SÔVAL PHÂRË – (La“Lingua Comune”) ~ Rubrica sulla Traduzione in Tolkien - EPISODIO 12: la Lettera 297 e la coniazione dei nomi (Parte 2)

Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.

Nello scorso appuntamento abbiamo iniziato a commentare l’interessante e densissima Lettera 297, osservando come Tolkien in questi appunti (dato che alla fine l’abbozzo di lettera non fu mai spedito!) tracci i principi fondamentali della coniazione dei propri nomi.

Propongo di seguito alcuni estratti dal seguito della lettera, nei quali Tolkien spiega più nel dettaglio il proprio metodo, illustrando tramite alcuni esempi (quelli su cui vertevano i dubbi di Mr. Rang, il corrispondente in questione) il procedimento etimologico esatto, nonché il meccanismo, già più volte illustrato in questa rubrica, della traduzione.

A giudicare dalle notazioni di Tolkien, l’incauto Mr. Rang doveva aver proposto le sue personali ipotesi sui seguenti nomi, senza far distinzione tra quelli che il testo specifica essere di origine elfica (come Legolas e Rohan) e quelli che invece sono elaborati a partire da lingue del mondo primario, in quanto traduzione di nomi in rohanese o daliano.

“Fortunatamente”, questo “blastaggio”, a volte un po’ piccato, che Tolkien preparò come risposta a queste maldestre ricostruzioni (Gimli deriva dall’anglosassone? Legolas significa “Riccioli selvaggi”?? Rohan deriva dal termine norreno per “casa”???), non finì mai nella risposta definitiva, che si limitò a “una breve nota (e oltretutto abbastanza dura)”.

Chissà, forse il buon Mr. Rang avrebbe preferito esser bacchettato ancor più duramente, ma ricevere delle spiegazioni! Non lo sapremo mai!

Lettera 297 (abbozzi) a Mr. Rang, agosto 1967 (continuazione)

Theoden e Gimli. Il motivo per cui è stato usato l’anglosassone nella nomenclatura e occasionalmente il linguaggio degli Eorlingas – come espediente per tradurre – è spiegato nell’Appendice F. Dalla quale si capisce come l’anglosassone non è solo un campo fertile, ma l’unico campo * [* Con l’eccezione, forse, del nome Gram (di un re). Questa, naturalmente, è una parola autenticamente anglosassone, anche se non veniva usata come nome (come era invece in norvegese antico) = «guerriero del re». Ma non è improbabile qualche influenza dei linguaggi settentrionali su quello degli Eorlingas dopo il loro spostamento verso nord. Ci sono infatti chiare tracce dell’influenza reciproca del linguaggio poetico dell’antico norvegese e dell’anglosassone.] in cui cercare l’origine e il significato di parole o di nomi appartenenti alla parlata della Marca; e anche che l’anglosassone non è la fonte di parole e nomi in ogni altro linguaggio ** [** L’unica ma fondamentale eccezione è Earendil: vedi più avanti.] – tranne che per poche (e sono tutte spiegate) rimanenze nel dialetto hobbit derivato dalla regione (la Valle dell’Anduin fino alla zona nord di Lorien) dove quel dialetto degli uomini del settentrione sviluppa le sue particolari caratteristiche. A queste poche parole rimaste possiamo aggiungere Deagol e Smeagol; e i nomi Gladden River e Gladden Fields, che contengono l’anglosassone glaedene, «iris», che nel mio libro si riferisce all’iris giallo che cresce lungo i corsi d’acqua e nelle paludi: cioè l’iris pseudacorus e non l’iris foetidissima, che in inglese moderno di solito si chiama, almeno così la chiamano i botanici, gladdon [sic]. Al di fuori di questo campo ristretto è inutile cercare riferimenti all’anglosassone *** [*** Il termine Warg usato nello Hobbit e nel Signore degli Anelli per indicare una razza particolarmente malvagia di lupi (demoniaci) non è specificatamente anglosassone, e ha una forma germanica per rappresentare il nome che i settentrionali, in genere, davano a quelle creature. Sembra aver preso piede – appare in Orbit 2 a pag. 119 – non come termine straniero, ma in una comunicazione ufficiale da terra ad un esploratore dello spazio. La storia è di un lettore del Signore degli Anelli.].

Come si afferma nelle Appendici i nomi pubblici dei nani del settentrione erano derivati dal linguaggio degli uomini dell’estremo nord, non dall’anglosassone, e di conseguenza hanno forma scandinava, come rozzi equivalenti di parentela, e differiscono dai dialetti contemporanei. L’anglosassone non può dirci niente di Gimli. In realtà il termine poetico gim nei versi arcaici dell’antico norvegese non è legato a gimm (un antico prestito dal latino gemma), «jem», benché lo sia stato: il suo significato sembra essere stato «fuoco».

Legolas è tradotto con Greenleaf (verde foglia), (II, 613, 617) un nome appropriato per un elfo dei boschi, benché di stirpe reale e discendente dai Sindarin. «Riccioli selvaggi» è del tutto inadatto: non era un balrog! Penso che un ricercatore che non si faccia condurre fuori strada dalla mia supposta devozione all’anglosassone potrebbe aver intuito la relazione dell’elemento -las con lassi, «foglie», nel lamento di Galadriel, lasse-lanta, «caduta delle foglie = autunno» e in Eryn Lasgalen. Tecnicamente, Legolas è una parola composta (in base alle regole) da laeg, viridis, «fresco e verde», e da go-lass, «raccolta di foglie, fogliame».

Rohan. Non riesco a capire perché il nome di una terra (che si afferma essere elfico) debba essere associato con qualcosa di germanico; meno ancora con il termine in antico norvegese rann, «casa», che gli assomiglia solo lontanamente e che, incidentalmente, non è affatto appropriato ad un popolo di allevatori di cavalli che in parte è ancora nomade! Nel loro linguaggio (così come viene rappresentato) rann, comunque, avrebbe semmai preso la forma anglosassone raen (< raenn < raezn < razn; vedi il gotico razn, «casa»). Il nome del paese ovviamente non può essere separato dal nome Sindarin degli Eorlingas: Rohirrim. Si afferma (III, 1327) che Rohan è una forma successiva e addolcita di Rochand. È derivata dall’elfico *rokko «cavallo veloce da cavalcare» (Quenya rokko, Sindarin roch) più un suffisso frequente nei nomi di terre. Anche Rohirrim è una forma simile, addolcita, di roch + hir, «signore, padrone», + rim (Quenya rimbe), «schiera».

Solo qualche commento a integrazione: visto che questa rubrica è dedicata soprattutto ai linguaggi di Tolkien e alla rielaborazione delle sue fonti linguistiche primarie, mi sembra pertinente parlare dell’etimo (così come lui la intendeva) di ciascuno di questi nomi.

Theoden King di Jenny Dolfen

Théoden = si tratta di un nome presente nel Beowulf, in diverse occorrenze. Il termine anglosassone þēoden significa infatti “signore, re”, e contiene al suo interno l’elemento þēod “popolo, nazione” (cfr. éo-théod “popolo dei cavalli”, che all’interno del Legendarium diventa il nome del popolo di Eorl e dei suoi avi, quando ancora occupavano il loro vecchio reame nel settentrione della Terra di Mezzo). Þēoden è correlato all’antico norreno þjóðann, che significa “Signore del Popolo” (ovvero “Re”).

L’epiteto Ednew (associato a Théoden, come si dice nell’Appendice A, Sezione III “La Casa di Eorl”) in anglosassone significa “rinnovato, restaurato”, in riferimento alla sua liberazione dall’influenza malefica di Saruman.

Venendo infine alla questione della traduzione, e dunque accettando che Théoden è la mera resa in anglosassone di un diverso nome in rohanese, sappiamo da Peoples of Middle-earth (il XII volume della HoME) che l’“autentico” nome di Théoden è Tûrac, un’antica parola della lingua rohanese per “Re”.

Gimli = oltre al suggerimento di Tolkien di considerare Gimli come un nome che risuona del norreno gimm “fuoco”, possiamo qui riportare, per completezza d’informazione, anche l’interpretazione di Jim Allan, autore di uno dei primissimi volumi dedicati alle lingue tolkieniane, An Introduction to Elvish (1978) [ne abbiamo parlato qui].

Allan osserva che il nome Gimli ricorre una volta nella Vǫluspá (come già abbiamo detto per Gandalf < Gandálfr – che sarebbe un dvergr, un nano norreno!, e per pressoché tutti i nomi dei nani dello Hobbit) e ben tre volte nell’Edda di Snorri (la cosiddetta “Edda in Prosa”). L’ipotesi di Allan è che in queste occorrenze “Gimli” stia per “Uno-di-Gimlé/Gimill”. Gimlé, nella mitologia dell’Edda, è un’aula dell’oltretomba riservata agli Elfi della Luce sopravvissuti al Ragnarök, una sorta di paradiso pagano. Il che richiamerebbe in un certo senso (non possiamo dire quanto consapevolmente da parte di Tolkien) il fato ultimo di Gimli, ovvero quello di essere ammesso insieme a Legolas nelle Terre Imperiture (fino alla sua morte, presumibilmente avvenuta in Tol Eressëa).

In effetti, scavando ancora tra le etimologie, scopriamo che le due “origini” per questo nome non sono in contraddizione tra loro: la variante islandese di Gimlé è proprio Gimli, e se questo non bastasse scopriamo anche che, scomponendo la parola norrena Gimlé, abbiamo gimr “fuoco” (lezione leggermente diversa della parola cui fa riferimento Tolkien nella lettera) e hlé “luogo protetto”.

Legolas and Gimli reach the shores of Valinor by Ted Nasmith

Su Legolas e Rohan Tolkien si profonde in spiegazioni sulle rispettive etimologie Sindarin (dunque “interne” all’ambientazione! A differenza dei due precedenti, che erano frutto di adattamenti) già nell’estratto che abbiamo riportato. Pertanto vorrei riportare due estratti che interessano questi due nomi, rispettivamente da Words Phrases and Passages e dai Racconti Incompiuti, in quanto contengono qualche informazione extra:

LEGOLAS:

S Legolas.

¶ Verde deve essere laikā, NON laiqua.

Legolas: laeg, verde + go-las “fogliame”, Q walass(s), olassie.

[Questa nota si trova sulla pagina dal titolo “Note sui Nomi” (vedi I 256 s.v. Gondolin). Per un’altra spiegazione di Legolas vedasi GAL/KAL in Radici. Cfr. Legolas “verdi-foglie”, S laegolas, *lassē “foglia”, S las(s), *gwa-lassa “mucchio di foglie, fogliame”, S golas, -olas, *laikā “verde”, S laeg, “foresta” leg, vd. Lettera 211; S laeg “viridis; fresco e verde”, go-lass, vd. Lettera 297; GL laib, laigo- “verde”, lass “foglia”, Laigolas “verde-foglia”; Legolas “Verdefoglia”, Racconti Perduti; Treason of Isengard.]

[tratto da Parma Eldalamberon XVII, pag. 84]

Inoltra la “parola cognata” di Legolas in Quenya sembra essere Laicolasse, da laica + lasse > laic-olasse, con una formazione simile a vanima + elda > vanimelda (Parma Eldalamberon XVII, pag. 56).

ROHAN:

Le forme corrette erano Rochand e Rochir-rim, e nelle Cronache di Gondor i nomi erano scritti Rochand o Rochan, e Rochirrim. Sono nomi che contengono il Sindarin roch “cavallo”, che traduce l’éo- in Éothéod e i molti nomi di persona dei Rohirrim. In Rochand, era stato aggiunto il suffisso Sindarin -nd (-and, -end, -ond), che era comunemente usato nei nomi di regioni o contrade, ma il -d di solito veniva lasciato cadere nel parlato, soprattutto nel caso di nomi lunghi, come Calenardhon, Ithilien, Lamedon, etc. Rochirrim era modellato su éo-herë, il termine usato dagli Éothéod per l’intero complesso della loro cavalleria in tempo di guerra; era formato da roch + Sindarin hîr, “signore, padrone” (del tutto indipendente dall'[anglosassone] herë). Nei nomi di popoli il Sindarim rim, “grande numero, esercito” (Quenya, rimbë), era comunemente usato per formare plurali collettivi, come in Eledhrim (Edhelrim), “tutti gli Elfi”, Onodrim, “il popolo Ent”, Nogothrim, “tutti i Nani, il popolo dei Nani”. La favella dei Rohirrim conteneva il suono qui rappresentato mediante ch (aspirata gutturale) e, sebbene infrequente in posizione mediale in mezzo a due vocali, le precedeva senza difficoltà. La Lingua Corrente, invece, ignorava il suono in questione, e nella pronuncia del Sindarin (lingua nella quale era molto frequente) il popolo di Gondor, a meno che non si trattasse di persone colte, lo sostituiva con una h in posizione mediale, e con una k in posizione terminale (dove nel Sindarin corretto veniva pronunciato con maggior enfasi). Sorsero così i nomi Rohan e Rohirrim usati nel Signore degli Anelli.

[tratto dai Racconti Incompiuti, nota 49 di Cirion ed Eorl]

Rohan by Jef Murray

Rohan e Rohirrim sono dunque “Sindarin Gondoriano”. Ci informa Tolkien, sempre nel testo Cirion ed Eorl tratto dai Racconti Incompiuti, che i termini furono coniati da Hallas, figlio di Cirion e tredicesimo sovrintendente reggente.

Il nome che i Rohirrim davano alla propria terra era invece Riddermark, o semplicemente Il Mark. Questa, invece, è ovviamente una traduzione: deriva dall’anglosassone Riddena-mearc “marca o Territorio dei Cavalieri”. Il termine rohanese che traduce è Lōgrad [loho-, lō “cavallo” + *rad “confine”], che è letteralmente il corrispondente di Éo-marc (anglosassone per “area di confine [degli uomini] dei cavalli”).

Insomma, come abbiamo potuto osservare, la quantità di riflessioni, ricerche, approfondimenti, distinguo, che è possibile fare a partire dall’analisi dei nomi di Tolkien è virtualmente infinita. Il Professore ci propone la chiave di lettura necessaria per interpretare la sua metodologia di creazione linguistica, ma siamo di fronte a una stratificazione translinguistica prodigiosa, in cui la mescolanza di codici “primari” e “secondari” è da un lato affascinante e arricchente, dall’altro lato può essere foriera di possibili confusioni o fraintendimenti, come testimonia anche il fastidio di Tolkien nel rispondere a simili questioni. Ad ogni modo, proseguiremo la prossima volta con il seguito della lettera, nel quale il nostro compie alcune considerazioni molto interessanti sulla “storia esterna” dei suoi nomi, ovvero su come lui è arrivato a scegliere determinate “sequenze di suoni” da usare come nomi, prima ancora di trovare loro un posto all’interno del racconto.

Alla prossima!

-Rúmil

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