SÔVAL PHÂRË – (La“Lingua Comune”) ~ Rubrica sulla Traduzione in Tolkien - EPISODIO 11: la Lettera 297 e la coniazione dei nomi (Parte 1)

Cari amici, ben ritrovati al consueto appuntamento con Sôval Phârë, la rubrica dedicata alla traduzione nell’opera letteraria tolkieniana.

Quest’oggi vorrei portare alla vostra attenzione una lettera, indirizzata a un certo Mr. Rang, molto più tarda di quelle analizzate negli scorsi appuntamenti, in quanto risale all’agosto 1967, e che riguarda il macro-tema della nomenclatura.

Questa missiva si rivela essere un testo fondamentale per alcune nozioni etimologiche e concettuali che completano, o quanto meno accrescono, la nostra conoscenza sull’argomento trattato in questa rubrica (si fa spesso riferimento anche alla traduzione, ovviamente).

L’incauto Mr. Rang aveva osato chiedere lumi sulle “fonti” dei nomi, in altre parole quali fossero le ispirazioni dalle lingue del mondo reale per i nomi più iconici dei racconti, come possiamo immaginarci dalla risposta alquanto piccata di Tolkien, piuttosto ansioso di spiegare perché la curiosità fosse mal riposta.

In effetti la lunga replica non fu neanche inviata al lettore curioso, il quale fu liquidato con “una breve nota (e oltretutto abbastanza dura)”, come ammette lo stesso Tolkien, che però fortunatamente conservò questi appunti. È probabile che non esauriremo in questo post tutti gli spunti che questa epistola può fornirci, in quanto Tolkien snocciola una serie di concetti e di nozioni filologiche che chiariscono in maniera netta il suo pensiero riguardo alla coniazione di nomi.

Lettera 297 (abbozzi) a Mr. Rang, agosto 1967

Sono onorato per l’interesse che molti lettori hanno dimostrato per la nomenclatura del Signore degli Anelli; e compiaciuto, perché dimostra che questa costruzione, frutto di notevoli riflessioni e fatiche, ha raggiunto (spero) una verosimiglianza, che probabilmente aiuta la «credibilità letteraria» della storia in quanto storica. Ma sono sconcertato, e a volte irritato, da molte delle domande sulle «fonti» della nomenclatura e dalle teorie o fantasie che riguardano significati nascosti. Mi sembrano solamente un divertimento del tutto personale, e in quanto tale io non ho il diritto o il potere di criticarle, benché siano, penso, prive di significato per una delucidazione o un’interpretazione dei miei racconti. Se venissero pubblicate, * [* Come per esempio un articolo di J. S. Ryan del tutto privo di senso.] allora le criticherei, se (come succede di solito) sono dei ricami del tutto arbitrari sul mio lavoro, che gettano luce solamente sullo stato d’animo di chi li ha concepiti, ma non certo su di me né sulle mie intenzioni o il mio modo di lavorare. Molti dimostrano di ignorare o di non considerare gli indizi e le informazioni forniti nelle note, nelle postille e nelle Appendici. Inoltre, dato che l’invenzione linguistica è, in quanto arte (o passatempo) abbastanza rara, forse non deve sorprendere che dimostrino scarsa comprensione del processo seguito dal filologo. Va sottolineato che questo procedimento di invenzione era/è un’impresa personale, intrapresa per mia soddisfazione, per esprimere la mia personale «estetica» linguistica, o gusto, e i suoi cambiamenti. È venuta molto prima della creazione delle leggende e delle storie in cui questi linguaggi vennero poi collocati; e la gran parte della nomenclatura deriva da questi linguaggi preesistenti, e quando i nomi che ne sono risultati hanno significati analizzabili (come avviene di solito) questi hanno importanza solamente in relazione al racconto in cui sono collocati. La «fonte», quando c’è, ha fornito solamente la sequenza del suono e il suo obiettivo è del tutto irrilevante tranne nel caso di Earendil; vedi più avanti. [vedremo in un prossimo post].

I ricercatori di solito sembrano ignorare questo punto fondamentale, benché libro e Appendici forniscano a sufficienza le prove della «costruzione linguistica». Dovrebbe essere ovvio che se è possibile comporre frammenti di versi in Quenya e in Sindarin, questi linguaggi (e le relazioni tra loro) devono aver raggiunto un alto grado di organizzazione – benché, naturalmente, siano ben lontani dall’essere completi, sia per quanto riguarda il vocabolario che l’idioma. Quindi è del tutto ozioso paragonare le casuali somiglianze tra nomi in lingua elfica e parole delle lingue reali, specialmente se si ritiene poi che questo paragone abbia una connessione con il significato o con le idee espresse dal mio racconto. Per prendere in considerazione un caso frequente: non c’è nessuna connessione linguistica, e quindi non c’è connessione nel significato, tra Sauron, una forma contemporanea del più antico *θaurond- derivato dall’aggettivo *θaura (dalla base √THAW) «detestabile» e il greco σαύρα, «lucertola».

I ricercatori, in effetti, dimostrano di avere le idee molto confuse tra a) il significato dei nomi all’interno, e quindi adatti alla mia storia e appartenenti ad una costruzione storica di fantasia e b) le origini o le fonti nella mia mente, esterne alla storia, delle forme dei nomi. Quanto al punto a), naturalmente sono state date loro sufficienti informazioni, benché essi spesso trascurino quello che hanno a disposizione. Me ne rammarico, ma finché sono vivo non c’è nessun altro che mi possa sostituire. Ho scritto un commento sulla nomenclatura dedicato ai traduttori; ma esso ha principalmente lo scopo di indicare quali parole e quali nomi possano e debbano essere tradotti nella lingua in cui viene fatta la traduzione che sostituisce l’inglese nel ruolo di rendere la Lingua Comune di quell’epoca, essendo implicito che i nomi che non sono o non derivano dall’inglese moderno debbono essere conservati senza alcun cambiamento anche nella traduzione, dato che sono estranei sia alla Lingua Comune sia alla lingua con cui essa viene resa. Sarebbe utile anche un onomasticon che dia il significato e la derivazione di tutti i nomi e indichi i linguaggi a cui appartengono. Inoltre a qualcuno potrebbe interessare, e a me farebbe piacere, una grammatica storica del Quenya e del Sindarin e un ampio vocabolario etimologico di questi linguaggi, naturalmente non completo, ma nemmeno limitato alle parole che si incontrano nei racconti. Ma io non ho intenzione di impegnarmi in questi progetti fino a che la mia mitologia e le mie leggende non siano complete. Nel frattempo trattare a spizzichi e bocconi queste domande e questi tentativi di interpretazione non fa che allontanare sempre più la fine del mio lavoro. […]

Che dire? Queste due paginette sono tra le più importanti di tutto ciò che si può trovare nell’epistolario di Tolkien su questo argomento e non solo.

Cerchiamo di scomporre quanto dice Tolkien in punti di discussione:

  • L’invenzione linguistica implica un processo creativo dettato da criteri estetici, e questo processo non necessariamente implica una “fonte” tra gli elementi di lingue del Mondo Primario. Nel caso in cui una fonte per l’ispirazione effettivamente esista, non è affatto scontato che questa sia conscia o deliberata. E, quand’anche lo fosse, tra questa fonte d’ispirazione e la sua rielaborazione in un elemento linguistico secondario vi è un legame unicamente estetico, ovvero basato sulla “sequenza del suono”, scelta da Tolkien perché si adatti al suo criterio di “gradevolezza” e a ciò cui lui attribuisce un “carattere attraente”, come abbiamo osservato commentando la Lettera 144, almeno nel caso delle lingue elfiche, che sull’armonia e la piacevolezza e morbidezza del suono basano molta parte della propria natura.

    L’unica eccezione a questo precetto (legame estetico piuttosto che semantico), o almeno l’unica che Tolkien cita in questo passo, è Eärendil. Conosciamo le circostanze dell’invenzione di questo nome, a dir poco fondativo per il Legendarium. La sua origine, che come abbiamo visto in questo post è da far risalire ai versi 104-105 del poema anglosassone Crist I (IX sec.), e la figura “cristologica” dell’angelo/Messia éarendel ha effettivamente una ricaduta anche sul significato profondo del personaggio di Eärendil all’interno del Legendarium, e non ha solo contribuito all’ispirazione per il suo nome. Ma di questo parleremo meglio in un prossimo appuntamento, quando analizzeremo il pezzettino di lettera in cui Tolkien chiarisce questo aspetto.

  • Il Professore teneva particolarmente a separare nettamente i due livelli: significato interno e fonti esterne. E voleva dunque che chi eventualmente fosse curioso di “decifrare” il senso dei nomi all’interno della propria opera facesse altrettanto, e si attenesse alle informazioni presenti nelle note, nelle Appendici, etc, evitando di inerpicarsi in astruse e azzardate ricostruzioni, che suggerissero una stretta interrelazione tra significanti in lingue del Mondo Primario e significati in lingue del Mondo Secondario, o viceversa. No: l’universo tolkieniano, secondo il suo autore, non “vive in funzione” della cultura del nostro mondo, in un presunto “gioco” di riferimenti incrociati, bensì ambisce a sviluppare una cultura propria, ed è in larga misura conchiuso in se stesso. O per meglio dire: fa parte di una struttura talmente complessa, sul piano linguistico e narrativo, da risultare in un sistema autosufficiente, in cui trovare la singola “fonte” di uno specifico elemento può rivelarsi un esercizio ozioso e inutile, nel quale si rischia di affondare la propria ricerca in echi di cose, magari a suo tempo conosciute, e dunque rielaborate dai ricordi e dalla coscienza dell’autore, ma di cui lo stesso Tolkien era in buona parte inconsapevole. E che dunque sarebbe irrilevante “riesumare” con l’obiettivo di avere una delucidazione in più sulla vicenda e sull’ambientazione.

    Ecco perché si danno dei casi in cui sono tutt’al più i significanti che intrattengono una relazione tra di loro, a scapito dei rispettivi significati. Oppure alle volte, come nel caso di σαύρα, la relazione è solo apparente, frutto di una speculazione di qualche curioso, ma non è contenuta, anzi è contraddetta, dagli “indizi” che Tolkien dissemina all’interno della storia filologica delle sue lingue fittizie.

    “Sauron” infatti non ha nulla a che vedere con le lucertole. Nell’intenzione dell’autore non è presente alcuna intenzione di suggerire, poniamo il caso, una natura infida e strisciante attraverso questo eco tra significato-“fonte” e significante-“trasposto”. Dunque è molto importante cercare il più possibile di non incappare in false friends e in false cognates. La genealogia linguistica “interna” al mondo in cui sono ambientate queste storie ha decisamente la precedenza su qualsiasi considerazione che la possa apparentare con le nostre lingue.

    Anzi, va rispettato innanzitutto il rigore con cui questa genealogia (Quendiano Primitivo → Eldarin Comune → Quenya, etc.) è costituita e integrata nella narrazione. Inserire, nell’approcciarci a quest’opera, speculazioni su presunte incursioni del “mondo reale” significa non prenderlo sufficientemente “sul serio”.

    Forse è da questo che derivava l’insofferenza di Tolkien nel ricevere simili domande, e la sua frustrazione nell’osservare l’affannarsi dei “ricercatori” a cercare di “risolvere la nomenclatura del Signore degli Anelli”.

  • Credo non serva specificarlo, dato l’argomento centrale di questa rubrica e quanto abbiamo finora trattato, ma qualora nel SdA si trovino nomi propri che hanno una legittima derivazione etimologica da una lingua del Mondo Primario (e sono, a spanne, quasi tutti quelli “non elfici”, tanto per cominciare) questo è perché stiamo parlando di traduzioni! Allego due immagini per rendere ancora più chiara la differenza, ma il prossimo post verterà in maniera centrale proprio su questo punto, poiché Tolkien nel seguito della lettera (in risposta a Mr. Rang) annota le spiegazioni di alcuni nomi propri della propria opera (Theoden, Gimli, Legolas, Rohan, Nazgul, Moria), e addirittura “ricostruisce” un paio di casi (Erech, Nazg) in cui ha inconsapevolmente preso in prestito – attraverso echi, suggestioni rielaborate dalla coscienza – l’accoppiata significato/significante da elementi preesistenti.

  • Ultima considerazione su questa lettera riguarda la profonda consapevolezza di questi temi da parte di Tolkien, il quale era, nel suo intimo, il più curioso e pignolo “ricercatore” della sua stessa opera! La differenza è che la sua ricerca era parte integrante del processo di invenzione. Un’invenzione intesa come “scoperta”, come abbiamo postulato tante volte. A questo proposito, leggiamo in questo abbozzo mai spedito uno dei primi riferimenti alla “Guide to the Names” che abbiamo citato in precedenza: al 1967 questo documento era già una realtà concreta evidentemente, e veniva inviato alle case editrici dei paesi stranieri interessate a tradurre il romanzo come prontuario e guida per i rispettivi traduttori, come informa qui lo stesso Tolkien. Altre affermazioni di grande interesse sono quelle che riguardano il suo desiderio di fornire un onomasticon con la derivazione etimologica di ciascun nome proprio, e addirittura una grammatica storica e un vocabolario etimologico di Quenya e Sindarin! È impressionante pensare che alcune di queste cose lui le avesse realizzate veramente, anche se non in maniera esaustiva e, a suo modo di vedere, “pubblicabile”.

    Testi come Words, Phrases and Passages in The Lord of the Rings possano essere senza problemi considerati un “punto di partenza” di quel progetto.

    WPP era già stato scritto tra la pubblicazione del SdA e la fine degli anni ’50, e Tolkien l’avrebbe continuato a revisionare, come sua abitudine, per tutti gli anni successivi. Fortunatamente questo testo è in nostro possesso fin dal 2007, con il 17° numero di Parma Eldalamberon, il che ci consente una conoscenza dettagliata del corpus linguistico presente all’interno del Signore degli Anelli. Non si tratterà di un onomasticon (l’intestazione recita “Words, Phrases and Passages in various tongues in The Lord of the Rings, not including Place or Personal Names unless these are explicitly translated”), ma di certo è la cosa più simile a un “vocabolario etimologico” su questa fase avanzata del costrutto linguistico.

    Quanto alla “grammatica storica” esiste una gamma di testi, cui Tolkien si dedicava proprio in quegli anni, alcuni dei quali sono stati pubblicati nei numeri 16-18-19-20-21-22 di Parma Eldalamberon, mentre alcuni dei quali sono ancora inediti, che potrebbero, tutti insieme, avvicinarsi a quel quadro d’insieme che il Professore aveva in mente, sebbene non esista nulla di completo e, soprattutto, sebbene molti di questi testi si riferiscano a fasi precedenti della creazione linguistica, non sempre LotR-consistent.

    In conclusione, sono portato a credere che affermazioni come “non ho intenzione di impegnarmi in questi progetti fino a che la mia mitologia e le mie leggende non siano complete” siano dettate più da abnegazione e desiderio di “non sbottonarsi troppo” che da una valutazione oggettiva! Sappiamo che il buon Tolkien era solito lanciarsi in progetti, revisioni, stesure, ricerche, continuamente affastellandoli gli uni agli altri senza portarne a termine nessuno. Se vogliamo è anche un po’ il suo bello.

 

 

Il Professor Tolkien, visibilmente contrariato dalle sovraletture (sbagliate) sui suoi nomi. LOL

Vi lascio in calce due tabelle con alcuni esempi di derivazioni etimologiche di nomi propri del SdA, una con nomi tradotti e una con nomi in lingue del Mondo Secondario.

Alla prossima per il prosieguo della lettera, che contiene molte altre chicche parecchio interessanti per la nostra rubrica!

Tabella con alcuni esempi di nomi (traduzioni!) con etimologia tratta da lingue del Mondo Primario

 

Tabella con alcuni esempi di nomi con etimologia tratta da lingue del Mondo Secondario. In realtà in questa immagine c’è un “errore”: sappiamo che quest’etimo per “Aragorn” fu “scartata” da Tolkien, o per meglio dire gli arrivò da una curiosità espressa in una lettera (Lettera 347 del 1972) da parte di un suo ex studente, Richard Jeffery, ma T ammise, nella lettera in risposta, di non trovarlo così tanto attinente: “Aragorn, etc. Non può contenere il termine «albero». «Re Albero» non sarebbe stato un nome adatto a lui ed era già stato usato da un suo antenato. I nomi della stirpe di Arthedain sono particolari sotto molti aspetti; e parecchi, benché abbiano una forma Sindarin, non sono immediatamente interpretabili.” L’etimo Sindarin che Tolkien aveva in mente per “Aragorn” era aran (“re”) + (n)gorn (“temuto, riverito”). E questa etimo è riportata proprio in Words Phrases and Passages (per chi fosse interessato, PE#17, pagg. 31 e 113). Personalmente trovo entrambe le ipotesi ficcanti, anche quella proposta da Jeffery (il quale ben conosceva i fenomeni di mutazione del gallese che hanno ispirato la lenition del Sindarin): dopotutto Aragorn è il Re di Gondor che ripiantò l’Albero Bianco di Minas Tirith dopo secoli dalla precedente incarnazione.

-Rúmil

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