Cari amici, ben ritrovati a una nuova rubrica, in cui parleremo di… traduzione! All’interno del Legendarium tolkieniano infatti il concetto di traduzione gioca un ruolo a dir poco fondamentale. Per capire fino a che punto l’atto di “tradurre” un testo sia importante per Tolkien bisogna innanzitutto comprendere lo statuto del narratore all’interno delle sue opere, il che è già una faccenda piuttosto complessa, considerando che Tolkien attinge a delle categorie molto più antiche rispetto a quelle sulle quali basiamo la moderna narratologia e il moderno stile di narrare.
Difatti ogni opera di Tolkien è costruita avendo al suo interno una figura molto curiosa, a metà strada tra (1) un narratore onnisciente e (2) un narratore interno (che funge molto spesso da “redattore” dell’opera in questione, come vedremo).
Ovviamente questa figura, che potremmo definire “narratore leggendario“ o “aedo“ (come gli aedi che cantavano brani e saghe della mitologia greca antica, o le loro varianti “antologiche”, i rapsodi), non coincide interamente né con il primo né con il secondo tipo di narratore: non è completamente onnisciente e non è affatto riducibile al mero ruolo di cronista dei fatti.
Interviene nella psicologia dei personaggi (ma non con lo stesso grado di indagine di un autore “moderno”, per l’appunto), passa costantemente da un punto di vista all’altro, con una predominanza di un punto di vista principale, solitamente facente capo alla cultura di un gruppo specifico, e dunque alla tradizione letteraria di quel gruppo (per esempio gli Elfi [e in seguito gli Uomini] nel Silmarillion, o gli Hobbit e gli Uomini nello Hobbit e nel Signore degli Anelli), etc.
E d’altro canto anche questo ultimo aspetto potrebbe essere considerato “plausibile” nell’ottica di voler ricondurre quanto leggiamo a una prospettiva di “narrazione diegetica”: quale “copista” non si prende le sue libertà nei confronti dei personaggi che ha “ereditato” dai precedenti relatori? Il nuovo relatore (o redattore) cercherà evidentemente di intuire o immaginare – e riportare – i pensieri, le emozioni, di questi personaggi, inscrivendoli all’interno di uno schema squisitamente narrativo, piegando la storia a nuove esigenze di racconto, alla sensibilità di volta in volta aggiornata, con in mente il nuovo pubblico. Ci metterà del suo, in poche parole, e tenterà di collegare quanto sta narrando con altre istanze di quello stesso mondo leggendario. Questo fa di lui contemporaneamente un anello di una lunga catena di narratori inaffidabili, e un personaggio di quella stessa storia che sta raccontando.
Ecco perché abbiamo un serie numerosa di autori in-universe, i quali al tempo stesso saranno personaggi di quel medesimo universo (a volte con ruoli di primo piano nelle vicende). Vorrei tentare di darne un inventario:
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I narratori del “Silmarillion”:
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Rúmil di Tirion
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Pengoloð di Gondolin (questi due li conosciamo già entrambi)
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Quennar i onótimo (l’ignoto Elfo autore dell’opera L’inizio dei giorni e del Yénonótië, ovvero Il Computo degli Anni – entrambi pubblicati in Morgoth’s Ring insieme agli Annali di Aman, e tra le fonti di Rúmil per questi ultimi)
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Dírhaval dei Porti (l’Uomo della Casa di Hador che scrive il Narn i Chîn Húrin)
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Ælfwine d’Inghilterra, che ha raccolto tutti questi materiali, rielaborandoli e traducendoli in Anglosassone, e dando inizio ad una tradizione Umana.
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(e altri ancora)
Questi sono i narratori di quella che potremmo definire la Materia dei Giorni Antichi (il “Silmarillion” in senso lato o il “Legendarium“ stricto sensu).
Questi hanno senz’altro scritto o contribuito a scrivere pressoché tutto ciò che troviamo nella History of Middle-earth, tra cui il Parma Kuluina (il “Libro d’Oro” conservato a Tol Eressëa), l’Ainulindalë, i vari saggi come l’Ambarkanta e il Lhammas, il Qenta Noldorinwa, il Quenta Silmarillion (nelle sue varie versioni) e le varie serie di Annali.
Ovviamente non tutti questi testi sono considerabili la “forma finale” della rispettiva narrazione: sappiamo ad esempio che il Qenta/Quenta ha attraversato una propria evoluzione interna, e alcuni elementi delle prime sono stati scartati (o per meglio dire, derubricati); stessa cosa vale per gli Annali di Valinor e del Beleriand, che sono stati riscritti nelle loro versioni “aggiornate” e rivedute, ovvero gli Annali di Aman e gli Annali Grigi.



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Elendil l’Alto di Númenor è autore dell’Akallabêth, “La Caduta di Númenor”.
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L’Elfa Vanya Elemmíre è autrice dell’Aldudénië, “Il Lamento dei Due Alberi”.
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Torhir Ifant è autore del Dorgannas Iaur, “Resoconto sulla Forma delle Terre Antiche” – non si conosce null’altro di questo autore.
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Maglor figlio di Fëanor è autore del Noldolantë, ovvero la “Caduta dei Noldor”, lamento scritto per ricordare il Fratricidio di Alqualondë.
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Molti altri narratori anonimi o ignoti di opere citate o menzionate negli scritti di Tolkien. Ad es.:
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Indis i·Ciryamo, la storia de “La Moglie del Marinaio”, ovvero il racconto di Aldarion ed Erendis, salvato dalla Caduta di Númenor e conservato in Gondor [riportato nei Racconti Incompiuti];
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I Lai non conservati o in parte andati perduti: il Lai della Caduta di Gondolin, il Lai di Eärendil. Sebbene pare che uno dei plausibili autori possa essere proprio Pengoloð;
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Il Narsilion, ovvero la “Canzone del Sole e della Luna” (mito elfico, che in seguito Tolkien decise sarebbe stato derubricato a mito umano, e dunque meno attendibile e di natura più “poetico-simbolica”);
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Il Libro dei Re e il Libro dei Sovrintendenti erano due testi cronachistici che conservavano il racconto della storia dei Regni Númenóreani in Esilio. Frodo e Pipino furono tra i pochi Hobbit cui fu consentito di consultare questi testi a Gondor, e probabilmente è da questi antichi annali che deriva, in una forma variamente rielaborata dagli Hobbit, il racconto presente nell’Appendice A del Signore degli Anelli, sezione “Annali di Re e Governatori”.
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Il Libro Rosso dei Confini Occidentali (o della Marca Occidentale, che dir si voglia) include – in un modo piuttosto peculiare, ovvero attraverso delle traduzioni! – parti dei testi sopracitati, in una sorta di selezione antologica “filtrata” dagli Hobbit e trasmessa agli Uomini. Ecco i suoi redattori noti:
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Bilbo Baggins, il quale, oltre ad aver scritto (in due versioni, ne riparleremo) Andata e ritorno, utilizzò tra le sue fonti molti libri di sapienza presenti a Gran Burrone per trarne delle traduzioni in Lingua Comune: le sue “Traduzioni dall’Elfico”, che consegna in tre grossi volumi rilegati a Frodo nel 3019 della Terza Era altro non sono che “Il Silmarillion” in-universe, e includono con ogni probabilità trascrizioni o rielaborazioni dei due grandi Lai del Beleriand: il Lai del Leithian e il Lai dei Figli di Húrin);
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Frodo Baggins e Samwise Gamgee, che scrissero l’ultima parte del racconto, “La Caduta del Signore degli Anelli e il Ritorno del Re”;
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Meriadoc Brandibuck e Peregrino Took, che rielaborarono ed espansero il lavoro fatto dai precedenti redattori Hobbit. Merry per esempio scrisse o contribuì a scrivere “Il Calcolo degli Anni”, “La Cronaca degli Anni”, “L’Erborista della Contea”, “Antichi Termini e Nomi della Contea”. Pipino raccolse i testi degli altri quattro Hobbit contributori e ne fece un’edizione ampliata (il “Libro del Conte“), che in seguito (dal 64 Q.E.) fu conservata a Minas Tirith e consultata da studiosi gondoriani, diventando la base di tutte le edizioni e rielaborazioni successive.
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Una di queste rielaborazioni successive fu quella curata da Findegil di Gondor, copista del Re nel II Secolo della Quarta Era (siamo già dopo la morte di Re Elessar). Presumibilmente da una di queste copie cominciò (e in un certo senso continuò) la tradizione letteraria UMANA del Libro Rosso, che sopravvisse a tutte le Ere del Mondo successive, arrivando fino all’Europa Nord-Occidentale e agli Anglosassoni.
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Quanto abbiamo detto in quest’ultimo paragrafo è esposto molto chiaramente nella Nota sulla Documentazione della Contea, in calce al Prologo del Signore degli Anelli.
Linko qui di seguito i post, tratti dalla nostra rubrica sulla comparazione tra le traduzioni italiane e il testo originale inglese, relativi alla “Note on Shire Records“: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3 – PARTE 4 – PARTE 5 – PARTE 6
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Ecco, ho voluto qui ricostruire una sorta di “genealogia letteraria” del Legendarium, principalmente per due motivi: dar conto di come il concetto di “pseudobiblion“ in Tolkien sia estremamente stratificato e complesso (rimando a questo proposito anche all’ottimo articolo di Gabriele Bernardini: https://www.gabrielebernardini.it/pseudobiblia-il-libro-rosso-della-marca-occidentale/ e all’eccellente schema di Alexander Schmitt https://www.schematax.org/schemata/tolkien/schematax_tolkien_tradition-legendarium.pdf) e porre l’accento ancora una volta sullo statuto del narratore e le sue implicazioni. Tutti questi “narratori interni” sono “ingredienti” in una ricetta molto più complessa della loro somma bruta, come cercherò di argomentare.
E la traduzione/tradizione gioca un ruolo a dir poco incredibile in tutto questo, poiché collega ogni singolo elemento della narrativa con una riflessione linguistica, anzi potremmo espandere il discorso fino a sostenere che si tratti di una riflessione sul LINGUAGGIO.
Tornando alla questione del narratore: abbiamo detto a sufficienza riguardo ai vari “narratori interni”, e tuttavia abbiamo anche sostenuto che la somma di queste parti è ancora non esaustiva per ottenere l'”insieme”. Ma dunque che statuto ha esattamente il Legendarium tolkieniano? Potremmo trovare una definizione sulla base della terminologia narratologica? Possiamo parlare di una “focalizzazione” all’interno della letteratura tolkieniana? Dimenticandoci per un attimo tutta la questione – quasi borgesiana – dello Pseudobiblion e dell’espediente del manzoniano “manoscritto ritrovato”, s’intende.
In termini narratologici potremmo dire che lo statuto della narrazione in Tolkien ha una focalizzazione mista (ovvero a metà strada tra focalizzazione “zero”, tipica del narratore onnisciente eterodiegetico, esterno alla vicenda, e focalizzazione “interna”, tipica del narratore omodiegetico, interno alla vicenda).
Tuttavia suppongo di non sorprendere nessuno se dico che la faccenda è molto più complessa di così, in quanto molto spesso il narratore delle opere di Tolkien è, come abbiamo detto, anche un cosiddetto “narratore inaffidabile“.
Inaffidabile non perché tenti in alcun modo di contraffare o nascondere al lettore informazioni cruciali per la storia, bensì in quanto depositario di una tradizione storico-letteraria ben precisa, e dunque esponente e rappresentante di un punto di vista particolare – e tendenzialmente parziale – all’interno del mondo narrativo.
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Per fare un esempio concreto, vorrei provare a “scomporre” a grandi linee il punto di vista presente all’interno del Silmarillion, sebbene come vedremo in un futuro appuntamento la faccenda sia molto più complessa, e non può prescindere dalla storia esterna di questo complessissimo testo, di gran lunga il più ostico che Tolkien abbia mai concepito (tanto da non riuscire mai a “finalizzarlo”, come sappiamo).
Ad ogni modo, noi conosciamo le vicende del Silmarillion principalmente attraverso il punto di vista dei Noldor: Rúmil e Pengoloð, due dei principali relatori delle storie che lo compongono solo Noldor; la vicenda centrale del Quenta si impernia proprio sui gioielli di Fëanor e sul destino della Terza Casata Elfica; i Noldor furono gli Elfi che maggiormente avversarono Morgoth, e quelli che per primi tra i Calaquendi incontrarono gli Atani (il primo contatto in assoluto tra Elfi e Uomini fu, a ben vedere, con Avari e Moriquendi, che tuttavia non praticavano la scrittura, ma solo la trasmissione orale)…
Ergo, la visione del mondo veicolata dai testi che compongono Il Silmarillion sarà rispondente, almeno in buona parte (dato che parliamo sempre di punti di vista spuri, non esenti a “contaminazioni”) proprio a quella degli Elfi Profondi. Solo in minima parte avrà, poniamo caso, un’istanza “Telerin”, ovvero nella misura in cui anche Sindar e Laiqendi partecipano alle vicende (ma non sono loro a raccontarle! Quasi mai, almeno – chissà come sarebbe stato un Silmarillion narrato da Daeron…), e in pressoché nulla parte conterrà un’istanza “Vanyarin” o “Avarin”.
E poi ovviamente ci sono gli stessi Uomini, i Nani…
Dei Nani sappiamo che avevano le loro tradizioni e la loro personale attività di scrittura e trasmissione della storia, ma essendo questa segreta (come del resto la loro lingua) non si è conservato nulla. Parleremo in un futuro appuntamento del (relativamente) poco che si conosce delle loro fonti.
Mentre degli Uomini questa attività di tradizione storica si intreccia quasi fin dagli albori della loro storia con quella degli Elfi, almeno per quanto riguarda le vicende delle Tre Case degli Edain, e dunque è ragionevole supporre che vi sia anche un parziale punto di vista umano (Bëoriano, Hadoriano, Haladin) nelle storie della Prima Era. Sappiamo di per certo che il Narn i Chîn Húrin (il “Racconto dei Figli di Húrin”) fu ad esempio composto da un Uomo, Dírhaval dei Porti della Casa di Hador. Il “Narn” era un tipo di componimento, per il quale Dírhaval aveva fato ricorso alla metrica elfica Minlamad thent/estent (vedi qui), metro tipico del racconto in versi, che però andava detto e non cantato. Considerando quanto furono influenti per la storia dei Giorni Antichi le imprese di Uomini come Beren, Túrin, Tuor, e quanto gli Uomini dell’Ovest avessero assorbito dagli Elfi in quanto a cultura, lingua e sapere, questa parziale sovrapposizione di tradizione storica non dovrebbe affatto sorprenderci.
Teniamo presente che in seguito Tolkien modificherà in parte la propria idea sulla “verità storica” del suo mondo, separandola sempre di più dalla “verità mitica”, e attribuendo la prima agli Elfi (in quanto esseri sostanzialmente immortali, che hanno letteralmente “visto” e vissuto in prima persona gli eventi della Storia, non avrebbe senso che la loro visione fosse deformata o inattendibile, non più di un certo limite), e la seconda agli Uomini. Ecco perché, come accennavamo riguardo per esempio al Racconto del Sole e della Luna, di pari passo con una maggiore “scientificizzazione” del Legendarium, processo che Tolkien cominciò a affrontare negli ultimi anni della sua vita e che mai completò del tutto, si accompagnò questo espediente di derubricare a “vecchi miti umani” le vecchie versioni delle Leggende, pur di “conservarle” nel complesso mitografico esistente e senza che ciò cozzasse con la verosimiglianza della conoscenza Elfica, “vera” e scientifica.
Ad ogni modo, di questo e altri temi discuteremo nel seguito di questa rubrica (e anche de “L’Evoluzione della Leggenda”), quando affronteremo nel dettaglio Morgoth’s Ring, War of the Jewels e la Nature of Middle-earth.
Ecco, come si sarà potuto evincere da questo esempio sul Silmarillion, la questione del punto di vista e del narratore interno (o insieme di narratori) è a dir poco centrale per una più salda comprensione dell’opera tolkieniana.
Tracciare i confini tra ciò che è diegetico e ciò che non lo è è ovviamente un’operazione oltremodo complessa, per non parlare di quei casi in cui entra in gioco la cornice (in particolar modo quella presente nei Racconti Perduti, ovvero Eriol/Ælfwine a Kortirion in Tol Eressëa): in quel caso i livelli di lettura del testo e la catena di narratori e narratari si complicano esponenzialmente! È Tolkien stesso a creare questo mosaico, a infittire la trama della narrazione, a voler rendere quasi impossibile distinguere questi due livelli differenti, seguendo quanto lui stesso diceva nel saggio Sulle Fiabe:
La storia delle fiabe è probabilmente più complessa della storia biologica della specie umana, e altrettanto complessa della storia dell’umano linguaggio. Tutte e tre le possibilità, invenzione indipendente, derivazione e diffusione, hanno evidentemente avuto parte nel tessere l’intricata tela della Storia. E ormai, districarla supera la capacità di chiunque non sia un elfo. * * Se non in casi straordinariamente fortunati o per quanto attiene a pochi, occasionali particolari. In effetti, è più facile dipanare un singolo filo – un evento, un nome, un motivo – che rifare la storia di un’immagine contesta di molti fili, e ciò perché con il disegno dell’arazzo è venuto in essere un nuovo elemento: l’immagine è più grande della somma dei singoli fili, i quali non la spiegano.
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Prima di lasciarci vorrei spiegare il titolo scelto per questa rubrica: “SÔVAL PHÂRË“. Si tratta semplicemente del nome Ovestron… dell’Ovestron!
Ovviamente “Ovestron” (traduzione italiana di “Westron”) è una traduzione del nome della Lingua Comune parlata nella Terra di Mezzo (per esempio dagli Hobbit della Contea e dai Gondoriani, assieme ad altri idiomi), dal termine in Ovestron con cui essa si designa. Pertanto mi sembra pertinente come titolo di una rubrica per trattare simili temi. Analizzeremo in futuro, ovviamente, il corpus Ovestron (anzi in Sôval Phârë!) disponibile attraverso gli scritti di Tolkien; esamineremo le sue origini dall’Adûnaico (sarà un’occasione per ricongiungerci con le altre due rubriche, “Lingue Tolkieniane” e “L’Evoluzione della Leggenda”, con cui vedremo essere questi argomenti strettamente correlati – tout se tient); e ovviamente rifletteremo sulla questione della traduzione/adattamento praticata fittiziamente da Tolkien, come lui stesso ci dice nell’Appendice F del SdA.
Per introdurre questi argomenti, nel prossimo appuntamento esamineremo un ulteriore esempio di “statuto del narratore” (dopo aver brevemente passato oggi in rassegna i punti di vista del Silmarillion), che ci porterà infine a considerare il ruolo della traduzione: approfondiremo lo statuto del narratore del Signore degli Anelli, e il rapporto tra il romanzo che tutti noi abbiamo letto e lo pseudobiblion del Libro Rosso dei Confini Occidentali, che può vantare la lunga schiera di redattori di cui abbiamo oggi discusso.
Alla prossima!
Bibliografia e sitografia utile:
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The Hobbit (1937) di J. R. R. Tolkien
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The Lord of the Rings (1955; 1966) di J. R. R. Tolkien, Prologo ~ Appendici A e F
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The Silmarillion (1977) di J. R. R. Tolkien, ed. by Christopher Tolkien
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Unfinished Tales of Númenor and Middle-earth (1980) di J. R. R. Tolkien, ed. by Christopher Tolkien
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The History of Middle-earth (1983-2002), Volumi I-XII + Indice (edizioni italiane 2022-2024, volumi I-V), ed. by Christopher Tolkien
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The Chroniclers of Arda, articolo di Måns Björkman su Mellonath Gobennas:
https://www.forodrim.org/gobennas/chron_en.html -
Pseudobiblia: il Libro Rosso della Marca Occidentale, articolo di Dott. Gabriele Bernardini
https://www.gabrielebernardini.it/pseudobiblia-il-libro-rosso-della-marca-occidentale/ -
Stages and Logic of the fictitious tradition of Tolkien’s Legendarium (Red Book of Westmarch), schema di Alexander Schmitt
https://www.schematax.org/schemata/tolkien/schematax_tolkien_tradition-legendarium.pdf
-Rúmil