DA A SECRET VICE (1931)

“Non dimenticherò mai il giorno in cui un ometto – più piccolo rispetto a me -, il cui nome ho dimenticato, durante un momento di grande ennui mi si è casualmente rivelato come adepto dell’arte: sotto un tendone lurido e soffocante di umidità, ingombro di tavolini a cavalletto che puzzavano di grasso di montone rancido e gremito di personaggi (in maggioranza) depressi e bagnati fradici. In quella circostanza ci trovavamo ad ascoltare un seminario sulla lettura delle carte geografiche, sull’igiene negli accampamenti e su come infilzare a dovere un povero diavolo senza stare a preoccuparsi (in aperta sfida a Kipling) a chi Dio avrebbe poi spedito il conto. O, meglio, diciamo che si cercava di non ascoltare affatto, per quanto l’inglese e il tono di voce usati dall’esercito siano in genere assai perentori. L’uomo che mi si trovava accanto disse all’improvviso, in tono sognante: “Sì, credo proprio che esprimerò l’accusativo con un prefisso!”

Un’osservazione memorabile! Ovviamente, riportandola ora, mi trovo ad avere estratto il coniglio dal cappello dopo avere con tanta cura cercato di nasconderlo. O perlomeno, ho fatto in modo che se ne intravedesse la punta delle orecchie. Ma per ora non ne darò peso. Pensate che splendore in queste parole! “Credo proprio che io esprimerò l’accusativo.” Magnifico! Non aveva detto “va espresso con”, e neanche un più incerto “a volte si esprime con”, e neanche il tetro “sappiate che si deve esprimere con”. Chissà quali profonde meditazioni riguardo le possibili alternative, tutte ugualmente controllabili, devono aver preceduto nella mente dell’ometto la decisione finale a favore dell’uso dell’audace e insolito prefisso, così personale e così fascinoso, come risoluzione di un problema di scelta progettuale che fino a quel momento si era mostrato ostico e refrattario. Nella sua scelta non si riscontravano considerazioni come quella della “praticità”, la più semplice e adatta alla “mentalità moderna”, o del guadagno; era solo una questione di gusto, di soddisfazione per il proprio piacere personale, per essere riuscito a ritrovare un senso privato e individuale di adeguatezza.

Nel pronunciare quelle parole il volto dell’ometto si era illuminato di un gran sorriso radioso, come quello di un poeta o un pittore che di colpo trova la soluzione per risolvere un passaggio fino a quel momento sgraziato. Eppure, nonostante questo, si era rivelato comprensibile e avvicinabile più o meno quanto un’ostrica. Non sono riuscito a cogliere ulteriori dettagli della sua grammatica segreta, e per esigenze militari ci siamo ben presto separati senza mai più rivederci in seguito (perlomeno fino a oggi). Ma mi è sembrato di capire che quello strambo personaggio, sicuramente imbarazzato per essersi lasciato sfuggire il proprio segreto, trovasse grande conforto e sollievo dal tedio e dallo squallore dei campi d’addestramento nel comporre una lingua, un sistema o una sinfonia personali che nessun altro al mondo avrebbe mai studiato o sentito. Se vi si dedicasse con il pensiero (come solo i grandi maestri riescono a fare) o anche sulla carta, non l’ho mai scoperto. Detto per inciso, uno dei grandi vantaggi di questo particolare hobby consiste nel fatto che richiede un apparato tecnico ridottissimo! Non sono mai più riuscito a scoprire quanto l’ometto avesse proceduto nella composizione della sua lingua personale. Con tutta probabilità, una bomba lo ha fatto saltare in aria proprio nel momento in cui stava trovando un modo di straordinaria eleganza per indicare il congiuntivo. Le guerre non sono mai propizie al perseguimento dei piaceri dello spirito”.

-Rúmil

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien