Cari amici, ben ritrovati alla rubrica sulle Lingue Tolkieniane.
Come annunciato nello scorso appuntamento, approfittiamo della disamina affrontata su A Secret Vice e sugli esempi portati da Tolkien di composizioni poetiche in lingue elfiche per proporre qualche brano di corpus in lingua (in questo caso) Qenya, accennando una comparazione con reinterpretazioni del medesimo brano in Quenya maturo. Sto ovviamente parlando del poema Markirya, che è attestato in molteplici e varie versioni. Le differenze tra queste stesure, composte in un largo arco di tempo, consentono di apprezzare l’evoluzione del Q(u)enya attraverso gli anni, e danno anche conto dell’incredibile lavoro di fino che Tolkien dedicava a ciascuna sua composizione, specialmente se accompagnata da un’attività di creazione strettamente linguistica come in questo caso.
Abbiamo offerto la scorsa volta uno specchietto sulle varie versioni (dodici!) di questa poesia. Oggi mi limito a presentare qui alcune delle versioni più esemplificative, le più diverse possibile tra loro, per mostrare l’evoluzione poetica-letteraria che questo brano ha attraversato, man mano che Tolkien aggiungeva strofe, spostava o modificava elementi, alterava la struttura metrica o l’ortografia, metteva a punto elementi fonetici o grammaticali.
Un’analisi completa di tutte queste stesure è offerta, come accennavo la scorsa volta, in Parma Eldalamberon XVI, ed. by Gilson et al. Mentre, per un’altra “selezione ragionata” tra queste versioni, rimando al capitolo dedicato a Oilima Markirya all’interno delle Collected Poems, edito da Wayne G. Hammond e Christina Scull.
Laddove Tolkien stesso ha fornito le traduzioni in inglese di queste versioni della poesia le riporterò; per le altre bozze mi cimenterò in una traduzione italiana mia, seguendo le indicazioni e le note editoriali in Parma Eldalamberon.
OM1a – il distico originario [Early Elvish Poetry, Parma Eldalamberon XVI] – (traduzione mia)
kildo kirya ninqe lutilya lúne veasse
ar tanda kiryaiko lunte kiryinqen tinweninqen.
(Egli) vede una bianca nave che ha solcato il mare blu
[lett. che ha fluttuato sul mare blu]
e con quella nave galleggiava una vela bianca come stelle.
[oppure: una bianca stella che veleggiava.]
OM1 – “prima versione” [Appendice di A Secret Vice]
Oilima Markirya Kildo kirya ninqe Vean falastanéro Súru laustanéro Kaivo i sapsanta Kaire laiqa’ondoisen |
The Last Ark A white ship one saw, The sea was loud with surf, The wind rushed with noise As a corpse into the grave The white ship lay upon the rocks; |
OM1c – versione intermedia [Early Elvish Poetry, Parma Eldalamberon XVI] – (traduzione mia)
lutsilya lúne veasse
|
fluttuante sul mare blu
|
NOTE sulla traduzione: * Il significato di *lotefalmari è pressappoco quello di un’immagine poetica di “onde-fiori, onde che si rifrangono come dei fiori in boccio”. ** La parola *lurdon dovrebbe essere un aoristo, 3a persona maschile plurale, di un verbo lur-, derivato dalla radice luvu e dal significato probabilmente correlato a lūre “tempo cupo” e lūrea “coperto, nuvoloso”, e dunque potrebbe significare qualcosa come “esserci tempo coperto, cielo plumbeo”, suggerendo che il vento suscitato dai surussi sia accompagnato da un cielo rannuvolato e che minaccia burrasca. |
OM1e – versione “finnicizzata” [ibidem] – (traduzione mia)
kildo kirja ninkve
käire laikv’ öndöisen |
una bianca nave egli vede
giace sulle verdi rocce |
NOTA sull’ortografia “finnicizzata“ del Qenya: Questa ortografia molto particolare (q > kv; w > v; y > j; le vocali a – o – u > ä – ö – y secondo il principio dell’armonia vocalica del finlandese; le vocali lunghe segnalate dal raddoppiamento anziché dall’accento acuto o dal macron) avvicina molto il testo ad un’estetica finnica, appunto. Tanto che pare di leggere un testo Qenya con “accento finnico”, come puntualizzano i curatori di Parma Eldalamberon. |
OM2 – versione Qenya definitiva [inclusa in A Secret Vice]
Man kiluva kirya ninqe Man tiruva kirya ninqe Man tenuva súru laustane Man kiluva lómi sangane, Man tiruva rusta kirya Hui oilima man kiluva, |
Who shall see a white ship leave the last shore, the pale phantoms in her cold bosom like gulls wailing?Who shall heed a white ship, vague as a butterfly, in the flowing sea on wings like stars, the sea surging, the foam blowing, the wings shining, the light fading? Who shall hear the wind roaring Who shall see the clouds gather, Who shall heed a broken ship Who shall see the last evening, |
OM3 – versione tarda (Quenya), composta nei primi anni ’60 [in appendice a A Secret Vice] – la traduzione è molto simile alla precedente, tranne per green rocks e red skies, che vanno qui sostituiti da dark rocks e ruined skies.
Men [sic! Leggi Man] kenuva fáne kirya
métima hrestallo kíra,
i fairi néke
ringa súmaryasse
ve maiwi yaimië?
Man tiruva fána kirya,
wilwarin wilwa,
ëar-kelumessen
rámainen elvië,
ëar falastala,
winga hlápula
rámar sisílala,
kále fifírula?
Man hlaruva rávëa súre
ve tauri lillassië,
ninqui karkar yarra
isilme ilkalasse,
isilme píkalasse,
isilme lantalasse
ve loikolíkuma;
raumo nurrula [> nurrua],
undume rúmala [> rúma]?
Man kenuva lumbor na-hosta [> ahosta]
Menel na-kúna [> akúna]
ruxal’ ambonnar,
ëar amortala,
undume hákala,
enwina lúme
elenillor pella
talta-taltala
atalantië [> atalantëa] mindoninnar [> mindonnar]?
Man tiruva rákina kirya
ondolisse morne
nu fanyare rúkina,
anar púrëa tihta
axor ilkalannar
métim’ auresse?
Man kenuva métim’ andúne?

Al termine di questa carrellata spero di essere riuscito a comunicare la grande trasformazione che il Qenya ha attraversato nel corso degli anni, attraverso questo raffronto testuale tra fasi diverse del medesimo poema, benché questo andasse evolvendosi anche dal punto di vista poetico e contenutistico.
Questa comparazione potrà sembrare una digressione oziosa, dato che non riguarda il Quenya “definitivo”, ma una fase ancora magmatica, di studio ed elaborazione costante, ma ci fornisce una gran quantità di informazioni sul modo di procedere di Tolkien e ci regala uno sguardo all’interno del suo “laboratorio” linguistico, facendoci intuire alcuni processi mentali che ha attraversato nel passaggio da una fase concettuale alla successiva, passando attraverso le traduzioni in inglese (durante il lavoro alle quali la poesia ha assunto la struttura anaforica interrogativa che avrebbe poi mantenuto “Man…? Man…?”, e ha espanso ulteriormente l’utilizzo di immagini poetiche per poi farne “traduzione attiva” nelle successive bozze in Qenya) e gli esperimenti con ortografie alternative, massimamente quella del finlandese, di cui ovviamente il Q(u)enya è largamente debitore.
Questa poesia è uno degli elementi fondanti del corpus Q(u)enya, e perciò meritava un trattamento il più possibile esaustivo, entro i limiti di ciò che questa rubrica può offrirvi. Se non sono sceso nel dettaglio dell’analisi linguistica è perché sarebbe stato impossibile essere sintetico e preciso, oltre che per le difficoltà insite nell’analizzare qualcosa di così dinamico e multiforme come l’evoluzione esterna di una lingua in fasi concettuali diverse, ma rimando come sempre alle fonti in bibliografia per un valido approfondimento.
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Bibliografia:
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A Secret Vice (1931), in The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983), ed. by Christopher Tolkien
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Early Elvish Poetry, in Parma Eldalamberon XVI (2006), ed. by Christopher Gilson, Arden R. Smith, Patrick H. Wynne, Carl F. Hostetter, Bill Welden.
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The Collected Poems of J. R. R. Tolkien (2024), ed. by Wayne G. Hammond & Christina Scull.
Sitografia:
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Ardalambion / The Markirya Poem [versione tarda in Quenya maturo]: https://ardalambion.net/markirya.htm
/ Versione italiana a cura di Gianluca Comastri: http://ardalambion.immaginario.net/ardalambion/markirya.htm -
Glaemscrafu / Oilima Markirya I: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/oilimamarkiryai.html
/ Oilima Markirya II: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/oilimamarkiryaii.html
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Dal nostro sito si può consultare l’intera raccolta di post dedicati alle Lingue Tolkieniane: https://www.raccontiditolkien.it/category/analisi/lingue/
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-Rúmil