Cari amici, ben ritrovati alla rubrica sulle Lingue Tolkieniane.
Terminiamo oggi la rassegna di poesie incluse nel saggio-conferenza A Secret Vice (1931) con un “frammento della stessa mitologia, ma in una lingua completamente diversa, anche se correlata”, come ci informa Tolkien.
Questo breve componimento è infatti non in Qenya, come i tre precedenti, ma in Noldorin, ovvero lo stadio evolutivo (al 1931) di quello che era chiamato ancora Gnomico nel corso del decennio precedente (essendo “Gnomi” uno dei nomi dei Noldor, gli Elfi Profondi), e che sarebbe divenuto Sindarin in un momento imprecisato verso la fine degli anni ’40, a stesura avanzata del Signore degli Anelli.
Il frammento è senza titolo, e viene introdotto da Tolkien senza altre specifiche, ma Paul Nolan Hyde ha proposto, nella sua rubrica di argomento linguistico che teneva su Mythlore, Quenti Lambardillion: A Column on Middle-earth Linguistics (issue 68, primavera 1992) di identificarlo con il titolo di “Nebrachar”, approfittando del fatto che questo misterioso toponimo (forse un nome alternativo per l’Anfauglith?) non compare da nessun’altra parte.
Presento ora il testo in due versioni differenti (una bozza preliminare, pubblicata nell’edizione annotata di A Secret Vice edita da Dimitra Fimi e Andrew Higgins, e la versione inserita nel saggio originale e letta da Tolkien):
Bozza (con traduzione):
Dir avosaith a gwaew hinar
éngluid eryd argenaid
Dir tûmledin hui Nebrachar
yrch melhail maethon magradhaid
Damrod dir hanach dalath benn
ven Sirion gar meilien
Gail Lúthien heb Eglavar
Dir avosaith han Nebrachar
Like a wind dark through gloomy places
the “Stonefaces” (Orcs) searched the mountains
over Tumlad, from Nebrachar (a place of goblins)
Orcs snuffling scented footsteps.
Damrod (the hunter) through the vale down the mountain slopes
to awaited Sirion went smiling.
Luthien he saw as a Fay from Fayland
shining over the places above Nebrachar
Versione definitiva + traduzione in prosa fornita da Tolkien (inclusi nel saggio):
Dir avosaith a gwaew hinar
engluid eryd argenaid,
dir Tumledin hin Nebrachar
Yrch methail maethon magradhaid.
Damrod dir hanach dalath benn
ven Sirion gar meilien,
gail Luithien heb Eglavar
dir avosaith han Nebrachar.
Like a wind, dark through gloomy places the Stonefaces searched the mountains, over Tumledin (the Smooth Valley) from Nebrachar, orcs snuffling smelt out footsteps. Damrod (a hunter) through the vale, down mountain slopes, towards (the river) Sirion went laughing. Lúthien he saw, as a star from Elfland shining over the gloomy places, above Nebrachar.
“Come un vento, oscuri in luoghi tenebrosi, i Facciadipietra setacciavano le montagne, da Nebrachar fin sopra Tumledin (la Valle Liscia), e gli orchi sentivano nelle narici l’odore dei passi che avevano fiutato. Damrod (un cacciatore) scendeva ridendo le valli e i pendii alla volta del (fiume) Sirion. Vide Lúthien brillare come una stella della Terra degli Elfi sui luoghi tenebrosi sovrastanti Nebrachar.”
In una nota al testo, Christopher afferma che sia impossibile rintracciare con esattezza la narrazione implicita in questi versi all’interno della mitologia conosciuta, tuttavia un’ipotesi piuttosto valida è che si riferisca a un episodio presente anche nel Quenta Silmarillion degli anni ’30, specificamente il momento in cui Beren e Lúthien vengono soccorsi dalle Aquile e condotti via dai cancelli di Angband, sorvolando la valle di Gondolin (“Tumledin”).
Evidentemente in questo brano slegato in Noldorin, che non sappiamo se fosse previsto far parte di un testo più esteso, si immagina la scena dal punto di vista di Damrod, un elfo cacciatore. Damrod era il nome, nell’early Legendarium, di uno dei figli di Fëanor (il futuro Amrod). È assai probabile che si tratti del medesimo personaggio.
Come si può notare, nella stesura preliminare il nome Luithien è reso ortograficamente con il più comune Lúthien, e nella traduzione che l’accompagna vi sono alcune lievi modifiche rispetto a quella poi letta in conferenza, nonché qualche specifica altrimenti assente: viene ad esempio specificato che i Stonefaces (“Facciadipietra”) altro non siano che “Orchi”, Eglavar viene tradotto con Fayland, anziché Elfland, mentre il misterioso toponimo Nebrachar sarebbe invece un “luogo abitato da goblin”.
Fimi e Higgins, basandosi su un paio di voci rintracciate rispettivamente in un Dizionario Noldorin e in un Elenco di parole Noldorin scritti intorno al 1923 (e pubblicati in Parma Eldalamberon XIII), suggeriscono che Nebrachar derivi da neb (avverbio, “vicino”) + rhach (“carneficina, massacro”), e significhi pertanto “vicino a un luogo di massacro”.
Per quanto scarne le informazioni su questo frammento, ci consentono di inquadrarlo con sufficiente precisione come elemento di raccordo tra due differenti fasi concettuali (tanto narrative quanto linguistiche), e questo lo rende estremamente affascinante.
Il Noldorin non può vantare molti altri esempi noti di corpus, considerando che questo stadio dell’evoluzione della “seconda lingua” attiene ad un periodo ben preciso: le fraseologie presenti nel I·Lam na·Ngoldathon sono infatti ancora in Gnomico, e pertanto presentano delle differenze rispetto alla sua versione degli anni ’30, che sarebbe stata a sua volta soppiantata dalla sua versione definitiva, ovvero il Grigio Elfico. Nel prossimo appuntamento passeremo brevemente in rassegna questi pochi esempi di corpus Noldorin.
***
Prima di lasciarci, non posso “licenziare” A Secret Vice definitivamente senza riportare ciò che Tolkien ci lascia detto come epilogo, dato che sono considerazioni che trovo assolutamente illuminanti:
[…] né questi frammenti poetici, né un insieme organizzato e coerente sono in grado di soddisfare tutti gli istinti in gioco nella creazione poetica. Non è proposito di questo saggio illudere che invenzioni del genere possano mai esserlo; solo che riescono ad astrarre alcuni dei piaceri specifici insiti nella creazione poetica (almeno per quanto mi è dato di capirne) e renderli più spiccati portandoli a livello conscio. […] Al piacere fonetico abbiamo dunque unito abbiamo dunque unito la gioia ben più sottile dello stabilire relazioni nuove e insolite fra simbolo e significato, per poi contemplarle.
[…]
Vi sono momenti in cui ci fermiamo a domandarci come mai un verso o un distico producano un effetto al di là del semplice significato delle parole, e allora lo attribuiamo all’“autentica magia” del poeta, o lo definiamo con qualche altra espressione ugualmente priva di senso. Spesso rivolgiamo così scarsa attenzione alla forma-vocabolo e alla musicalità del suono, a parte riconscerne frettolosamente i tratti più elementari come rima o allitterazione, da non accorgerci della risposta, e cioè che per talento, o per puro caso, il poeta è riuscito a cogliere un senso melodico che illumina il verso in questione, nello stesso modo in cui una musica a cui si presta ascolto solo in parte può metterci in grado di comprendere con maggior profondità il senso di occupazioni da essa svincolate, come riflettere o leggere un libro mentre si ascolta musica.
E nelle lingue vive questa scoperta è ancora più emozionante, perché la lingua non è in sé elaborata per questo scopo, e solo in occasioni rare e fortunate scopriremo di averla usata per dire esattamente quello che volevamo, con pienezza di significato, usandola simultaneamente come un canto spensierato.
Per noi sono ormai lontani i tempi meno smaliziati in cui perfino Omero poteva permettersi di distorcere una parola in modo da adattarla a esigenze melodiche, o in cui erano concesse libertà spensierate come nel Kalevala, in cui i versi possono adornarsi di trilli fonetici, come per esempio in Enkä lähe Inkerelle, Penkerelle, pänkerelle (Kal. xi, 55), oppure Ihveniä ahvenia, tuimenia, taimenia (Kal. Xlviii, 100), dove pänkerelle, ihveniä, taimenia sono “non significanti”, puri e semplici abbellimenti della melodia fonetica studiati per armonizzarsi a penkerelle, o tuimenia, che invece “significano”.
Ovviamente, se si costruisce la propria lingua artistica sulla base di principi ben determinati, e nella misura in cui si è in grado di aggiornarla e si rispettano con coraggio le regole cui si è scelto di sottoporla senza cadere nella tentazione del tiranno che le cambia per servire questa o quella esigenza tecnica a seconda delle occasioni, allora è possibile in un certo senso usarla per comporre poesie.
[…] appena sarete riusciti ad attribuire un significato generale anche vago alle parole che scegliete, saranno a vostra disposizione alcuni artifici poetici forse di scarsa sottigliezza, ma di un’importanza duratura e stimolante. Perché voi siete gli eredi delle epoche trascorse. Non farete fatica a cogliere la bellezza di una costruzione come quella dell’aggettivo “libero”, che a tutt’oggi le lingue umane non sono ancora riuscite ad assimilare. Potete dire, per esempio
sole verde
o vita morta
e con questo dare libero sfogo all’immaginazione.
La lingua ha rafforzato l’immaginazione, e al tempo stesso l’immaginazione ha reso libera la lingua. Chi mai potrà dire se sia stata la forma dell’aggettivo libero a creare visioni bizzarre e meravigliose, o piuttosto non siano state queste visioni bizzarre e meravigliose dell’immaginario a liberare l’aggettivo?
Bibliografia:
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A Secret Vice (1931), in The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983), ed. by Christopher Tolkien
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Noldorin Word-lists e Noldorin Dictionary, in Parma Eldalamberon XIII (2001), ed. by Christopher Gilson, Bill Welden, Carl F. Hostetter, Patrick H. Wynne
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A Secret Vice: Tolkien on Invented Languages (2016), ed. by Dimitra Fimi and Andrew Higgins
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The Collected Poems of J. R. R. Tolkien (2024), ed. by Wayne G. Hammond & Christina Scull
Sitografia:
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Glaemscrafu / Nebrachar: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/nebrachar.html
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Eldamo.org / Nebrachar Poem: https://eldamo.org/content/words/word-1039929171.html
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Tolkiengateway.net:
/ Dir avosaith a gwaew hinar: https://tolkiengateway.net/wiki/Dir_avosaith_a_gwaew_hinar
/ Nebrachar: https://tolkiengateway.net/wiki/Nebrachar
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Dal nostro sito si può consultare l’intera raccolta di post dedicati alle Lingue Tolkieniane: https://www.raccontiditolkien.it/category/analisi/lingue/
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-Rúmil