Cari amici, ben ritrovati alla rubrica sulle Lingue Tolkieniane.
Ci apprestiamo a concludere la disamina sul saggio A Secret Vice, che come si è visto è pregno di informazioni sulle origini dell’attitudine di Tolkien alla creazione di lingue inventate e sui suoi primi esperimenti, ancora rudimentali e “pre-elfici”, ma contiene anche una serie di interessantissime riflessioni sulla facoltà linguistica, sull’artisticità del comporre lingue, e su come esista una certa continuità tra le lingue tradizionali e le lingue artistiche, in merito al procedimento seguito per codificarle.
Questa continuità è osservabile quanto meno in quei casi in cui chi si cimenti nell’attività glossopoietica lo faccia seguendo certi criteri di carattere tecnico (filologico-storici, logico-grammaticali) al fine di una maggiore verosimiglianza. Tuttavia non dovrebbe essere tralasciato, aggiunge Tolkien, un certo carattere linguistico individuale che conferisca alla propria creazione quel gusto unico, frutto di una rielaborazione personale del proprio vissuto e del proprio rapporto con la propria lingua madre e con le lingue apprese; rielaborazione che andrà a costituire una lingua natia, che non coincide con alcuna di queste ma è sua personale. La distinzione tra lingua madre [“cradle-tongue”] e lingua natia [“native language”] non è contenuta in A Secret Vice, bensì in un altro saggio fondamentale, English and Welsh, che sicuramente approfondiremo in futuro, data l’importanza fondamentale delle riflessioni in esso contenute.
Ebbene, al termine di questa esposizione su Animalic, Nevbosh, Naffarin e di queste affascinanti argomentazioni, Tolkien è pronto per il coming out definitivo del suo “vizio segreto”, ovvero la presentazione dei suoi frutti più recenti e più sofisticati:
Presumo sia giunto il momento in cui non mi è più concesso posporre l’indegna esposizione in pubblico delle mie opere in tal senso più notevoli, il meglio che mi sia riuscito di produrre nel limitato tempo libero di cui dispongo o rubando occasionalmente tempo ad altre occupazioni. Sono certo che per voi non rivestiranno il benché minimo interesse le splendide fonologie che ormai da tempo ho gettato o lasciato ad ammuffire in qualche cassetto, estenuanti ma piacevolissime da costruire nonché fonte del poco che so nel campo della costruzione fonetica e basate sulle mie predilezioni personali.
L’ultima parte del saggio è infatti costituita da una breve serie di frammenti poetici in Qenya (la fase preliminare del Quenya, in voga tra il 1910 e il 1930 ca.) e un frammento in Noldorin (il precursore del Sindarin), e dà conto dello stato dell’arte di questi costrutti linguistici all’epoca della conferenza. Se pensiamo che questa prima “apparizione in pubblico” del Quenya sia precedente di 6 anni la pubblicazione dello Hobbit, possiamo veramente apprezzare la sua importanza storica in seno al percorso dell’opera tolkieniana. Non solo la lettura in pubblico di queste poesie in elfico dev’essere stata all’epoca sorprendente e originale (dal verbale della conferenza tenutasi l’anno prima al Michaelmas Club apprendiamo che l’accoglienza fu entusiastica), ma serbava in nuce talmente tanta parte di quegli elementi che in seguito sarebbero stati riconosciuti come la vera cifra estetica dell’opera del Professore che mi sembra significativo anche solo trarre la percezione di quanti anni Tolkien abbia trascorso a coniare questi costrutti prima ancora di intraprendere la scrittura delle opere narrative che lo avrebbero reso celebre in tutto il mondo. Il Q(u)enya è davvero uno dei suoi lasciti principali, probabilmente il suo contributo più personale, come sostiene lui stesso:
Tutto ciò esprime il mio gusto personale, e allo stesso tempo lo ha fissato. Proprio come la costruzione di una mitologia all’inizio esprime un determinato gusto individuale e in seguito finisce per condizionarne l’immaginazione fino a divenire ineludibile, lo stesso è accaduto per me con questa lingua. Sono in grado di concepire lingue diverse, e perfino abbozzarle, ma finisco inevitabilmente per ritornare a questa, e ne consegue che senza dubbio è la mia, o forse lo è divenuta.
Tolkien poi si scusa per la natura di questi linguaggi, costruiti deliberatamente per dare soddisfazione personale, senza alcuna velleità scientifica o valore di scambio. “Ne consegue una debolezza fondamentale”, aggiunge, “e cioè la propensione, in mancanza di severe critiche dall’esterno, all’eccesso di “leziosità”, di sentimentalismo fonetico e semantico, quando invece con tutta probabilità il significato nudo e crudo delle parole è del tutto banale, certamente non pervaso del sangue vivo e del calore del mondo che in genere i critici richiedono all’arte. Siate tolleranti. Perché se questo genere di cose ha una virtù, è proprio la loro intimità, il loro peculiare individualismo.”
Passando ad un resoconto delle poesie, vorrei fornire qualche informazione supplementare, tratta da Parma Eldalamberon XVI, oltre che da A Secret Vice stesso. Le poesie che Tolkien lesse in quell’occasione sono:
- Oilima Markirya;
- Nieninqe;
- Earendel;
- Un frammento Noldorin senza titolo (solitamente identificato con la parola “Nebrachar”, dal toponimo hapax che compare nel testo).
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1. Oilima Markirya

Questa poesia esiste in ben dodici versioni:
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Quella inclusa nel saggio (OM2 – Man kiluva kirya ninqe), risalente al 1931 o prima – la traduzione in inglese fornita nel saggio, nella sua forma edita all’interno della raccolta The Monsters and the Critics and Other Essays, non fa parte del manoscritto originale di A Secret Vice, ma di un dattiloscritto inserito al suo interno (dal titolo The Last Ship > The Last Ark). Esiste una versione leggermente diversa di questa variante “mediana” di Oilima Markirya, che si trova in un manoscritto presso la Bodleian Library a Oxford (Bodleian Manuscript Tolkien 24, folio 52). Le scarne differenze tra questa variante (denominata OM2a) e la poesia allegata al saggio sono state analizzate da Christopher Gilson, Bill Welden e Carl Hostetter in Parma Eldalamberon XVI, nella sezione dedicata alla Early Elvish Poetry;
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La prima delle due versioni in appendice al saggio (OM1 – Kildo kirya ninqe), la cui traduzione inglese viene fornita di seguito. Questa versione viene definita da Tolkien, in una nota al testo elfico, la “prima versione” della poesia. Si tratta in realtà di un’elaborazione finale di vari step intermedi: esistono infatti altre sei versioni preliminari, che costituiscono una sequenza di stesure, ciascuna espansione e revisione della precedente, e che sono state denominate, sempre in PE16, con le sigle da OM1a a OM1g. In quell’articolo se ne dà esaustiva analisi linguistica e stilistica. Si passa da un distico di versi da sei piedi (OM1a), a versioni più estese con quartine di trimetri (OM1b – c – d), a una versione con un’ortografia “finnica” (OM1e), a una versione da 28 versi in tetrametri (OM1g) già piuttosto vicina alla versione inclusa nel saggio (OM2). Inoltre vengono presentate anche quattro traduzioni in inglese, la prima delle quali (LA1a) è associata alla versione intermedia del testo Qenya OM1d. Le successive tre traduzioni (LA2a – b – c), tutte datate prima di OM1e, si avvicinano progressivamente alla traduzione di OM2 contenuta nel dattiloscritto, di cui sopra;
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La seconda delle due versioni in appendice al saggio (OM3 – Men [sic: leggi Man] kenuva fáne kirya) è la più tarda e la più rispondente allo stile “maturo” del Quenya. Fu infatti composta da Tolkien presumibilmente nell’ultimo decennio della sua vita, come osserva Christopher nell’appendice a A Secret Vice, e si compone anch’essa di due testi, solo leggermente diversi tra loro, il primo dei quali è accompagnato da un glossario. Christopher riporta per esteso il secondo testo, più attendibile, e vengono segnalate in nota le modifiche rispetto alla versione precedente, più alcune correzioni ulteriori applicate al manoscritto. Segue il glossario. Il significato di questa versione di Oilima Markirya, sebbene il Quenya utilizzato fosse cospicuamente cambiato rispetto all’inizio degli anni ’30, è identico rispetto alla versione (OM2) presentata nel saggio.
Ho trattato a grandi linee la versione OM3 in questo post.
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2. Nieninqe.

Come per Oilima Markirya, questa poesia ha attraversato diverse fasi compositive, ed esistono, oltre alla versione contenuta nel saggio (N1) altre tre versioni preliminari (N1a – b – c), tutte datate tra il 1921 e il 1931, e anch’esse esposte ed analizzate nell’articolo dedicato in Parma Eldalamberon XVI. Ciascuna di queste versioni è accompagnata da una traduzione in prosa. Esiste, anche per Nieninqe (o Nieninque), una versione più tarda, risalente al 26 giugno – 2 luglio 1955, ma curiosamente, a differenza della versione “definitiva” di Oilima Markirya, che andò incontro a notevoli cambiamenti strutturali e linguistici, questa versione tarda di Nieninqe (N2) è estremamente simile per struttura e perfino grammatica alle sue versioni preliminari risalenti agli anni ’20, pur essendo inequivocabilmente in Quenya maturo.
Da osservare come il titolo della poesia sia da far risalire alla voce nieninqe “snowdrop” (“bucaneve”), dal significato letterale di “lacrima bianca”, presente nel Qenya Lexicon del 1915. Una voce correlata, “Nieliqi o Nielikki”, si riferisce al nome di “una piccola fanciulla tra i Valar che danzava in primavera – laddove cadevano le sue lacrime spuntavano i bucaneve, laddove i suoi piedi si posavano mentr’ella rideva sbocciavano le giunchiglie”.
3. Earendel.

Questa poesia, che Tolkien presenta come esempio di “metrica rigorosa, quantitativa”, esiste in due versioni oltre a quella inclusa nel saggio, sebbene praticamente identiche a questa, entrambe presentate nell’articolo dedicato in Parma Eldalamberon XVI, ed entrambe accompagnate da una traduzione in inglese. Insieme alla prima (E1a) compare anche un glossario; la traduzione inglese è una resa parola per parola che anticipa da vicino la versione in prosa fornita nel saggio. La seconda versione (E1b) è un altro tentativo di ortografia “finnica” del Qenya (la lettera q è sostituita da kv; la w da v; la y è resa con j; le vocali lunghe, normalmente segnalate da accento acuto, sono sostituite da vocali doppie); probabilmente uno scrupolo, da parte di Tolkien, per rendere più accettabili di fronte ad un pubblico, meno “esotiche” forse, le proprie creazioni, come suggerisce la sua affermazione nel saggio:
Quando provo la sofferenza tipica di chi rivela una parte di sé, non faccio fatica a mettermi nei panni degli altri creatori di lingue, così timorosi di esporsi, sebbene essa venga in parte mitigata dal fatto che per me è già la seconda volta.
L’ultima frase, già presente nel testo originale del saggio, come ci informa Christopher in nota, potrebbe forse essere un riferimento alla recente scoperta della relazione del 1930 al Michaelmas Club?
In ogni caso, tornando a Earendel, è interessante notare come la traduzione in inglese della seconda versione, E1b, sia più libera e meno letterale di quella che accompagna la prima E1a, e costituisca la base della traduzione alternativa (denominata Earendil at the helm, “Earendil al timone”) inclusa nel saggio.
4. Frammento Noldorin “Nebrachar”.

Questo frammento viene definito da Tolkien come facente parte “della stessa mitologia, ma in una lingua completamente diversa, anche se correlata”, sebbene sia impossibile rintracciare con esattezza la narrazione implicita in questi versi all’interno della mitologia conosciuta. Un’ipotesi piuttosto valida è che si riferisca a un episodio presente anche nel Quenta Silmarillion degli anni ’30, specificamente il momento in cui Beren e Lúthien vengono soccorsi dalle Aquile e condotti via dai cancelli di Angband, sorvolando la valle di Gondolin (“Tumledin”).
La versione pubblicata nel saggio A Secret Vice era già revisione di una precedente bozza, di cui Christopher ci informa in nota e che è stata in seguito pubblicata nell’edizione annotata del saggio, edita da Dimitra Fimi e Andrew Higgins nel 2016 (A Secret Vice: Tolkien on Invented Languages), nonché nelle Collected Poems (2024) edite da Wayne G. Hammond e Christina Scull.
In questa stesura preliminare il nome Luithien era reso ortograficamente con il più comune Lúthien, e nella traduzione che l’accompagnava veniva specificato che i Stonefaces (“Facciadipietra”) altro non fossero che “Orchi”. Il misterioso toponimo Nebrachar, che non compare in nessun’altra opera, sarebbe invece un “luogo abitato da goblin”. Stiamo evidentemente parlando di uno dei rarissimi esempi articolati di corpus Noldorin, lo stadio linguistico precursore del Sindarin, e questo estratto risulta tanto più affascinante in quanto riferito ad una fase linguistica e mitologica ancora in via di elaborazione.
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Nei prossimi appuntamenti riporterò alcune delle varianti dei testi che ho qui illustrato, riportandone la traduzione e qualche occasionale nota di approfondimento linguistico. Siamo di fronte, ribadisco, a esempi di lingue elfiche ancora molto “acerbi”, benché piuttosto sofisticati rispetto agli esperimenti precedenti; tuttavia ciò che è davvero interessante notare è come vi sia, già da questa fase e da ancor prima (come chiunque abbia letto il Libro dei Racconti Perduti sa benissimo), un’assoluta e completa interrelazione tra lingua e mito. Tolkien dimostra, direi quasi “empiricamente”, che la sua precedente affermazione (“la costruzione di un linguaggio genererà di per sé una mitologia”) è vera, ed è alla base della sua intera produzione.
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Bibliografia:
- A Secret Vice (1931), in The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983), ed. by Christopher Tolkien
- Early Elvish Poetry, in Parma Eldalamberon XVI (2006), ed. by Christopher Gilson, Arden R. Smith, Patrick H. Wynne, Carl F. Hostetter, Bill Welden
- A Secret Vice: Tolkien on Invented Languages (2016), ed. by Dimitra Fimi and Andrew Higgins
- The Collected Poems of J. R. R. Tolkien (2024), ed. by Wayne G. Hammond & Christina Scull
Sitografia:
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Ardalambion / The Markirya Poem [versione tarda in Quenya maturo]: https://ardalambion.net/markirya.htm
/ Versione italiana a cura di Gianluca Comastri: http://ardalambion.immaginario.net/ardalambion/markirya.htm -
Glaemscrafu / Oilima Markirya I: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/oilimamarkiryai.html
/ Oilima Markirya II: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/oilimamarkiryaii.html
/ Nieninque: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/nieninque.html
/ Earendel: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/earendel.html
/ Nebrachar: https://glaemscrafu.jrrvf.com/english/nebrachar.html -
Tolkiengateway.net / Dir avosaith a gwaew hinar: https://tolkiengateway.net/wiki/Dir_avosaith_a_gwaew_hinar
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Dal nostro sito si può consultare l’intera raccolta di post dedicati alle Lingue Tolkieniane: https://www.raccontiditolkien.it/category/analisi/lingue/
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-Rúmil