Ancalagon

 Tra gli Elfi stupefatti si levò un mormorio concitato, e Celeborn fissò meravigliato il Nano, ma la Dama sorrise, «Si dice che l’abilità dei Nani risiede nelle loro mani e non nella lingua», ella disse; «non è certo il caso di Gimli.
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 «Le lettere lunari sono rune, ma non le si può vedere,» disse Elrond «non quando le si guarda direttamente. Si può vederle soltanto quando la luna brilla dietro di esse, ma ciò che conta di più, anzi il punto fondamentale, è che la luna deve trovarsi nella stessa fase e nella stessa stagione di quando le lettere furono scritte.
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 «E quale dono un Nano gradirebbe ricevere dagli Elfi?», domandò Galadriel rivolgendosi a Gimli.
 «Nessuno, mia Dama», rispose Gimli. «È per me un regalo sufficiente l’aver veduto la Dama dei Galadhrim, e udito le sue dolci parole».
 «Ascoltate tutti, voi Elfi!»,
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 La prese e la fissò a lungo, e scosse la testa; poiché se non approvava interamente i Nani e il loro amore per l’oro, odiava i draghi e la loro crudele malvagità, e lo rattristava ricordare la rovina della città di Dale e le sue allegre campane, e le rive bruciate del luminoso Fiume Fluente.
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«Per te, piccolo giardiniere ed amante degli alberi», disse rivolgendosi a Sam, «non ho che un piccolo dono». Gli mise in mano una scatoletta di semplice legno grigio, del tutto disadorna, con un’unica runa d’argento sul coperchio. «Codesta è la G di Galadriel», disse la Dama; «ma può anche essere l’iniziale di giardino nella tua lingua.
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 «Chissà da dove se le erano procurate gli Uomini Neri…» disse Thorin, guardando la sua spada con un nuovo interesse.
 «Non saprei,» disse Elrond «ma si può immaginare che i vostri Uomini Neri avessero depredato altri predoni, o che avessero messo le mani sui resti di antiche ruberie in qualche rifugio sulle montagne.
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 «Tuttavia ho qui qualcosa che forse porterà conforto al tuo cuore», disse Galadriel; «mi fu consegnata affinché te la dessi, qualora tu fossi passato dalle nostre terre». Tolse dal grembo una grande pietra verde e limpida, incastonata in una spilla d’argento a forma d’aquila con le ali distese; la tenne alla luce, e la gemma sfavillava come il sole tra le foglie della primavera.
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 Così si arrivò a Ferragosto, ed essi dovevano rimettersi in cammino proprio la mattina di Ferragosto, al sorger del sole.
 Elrond sapeva tutto su qualsiasi tipo di runa. Quel giorno guardò le spade che essi avevano portato via dal covo degli Uomini Neri e disse: «Questa non è fattura di Uomini Neri.
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 «Abbiamo bevuto la coppa d’addio», disse, «e le ombre calano tra di noi. Ma prima che partiate, vi sono nella mia barca dei doni che il Signore e la Dama dei Galadhrim vi offrono in memoria di Lothlórien». Li chiamò allora uno per uno.
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 Il padrone di casa era un amico degli Elfi, una di quelle persone i cui padri compaiono nelle strane storie anteriori all’inizio della Storia, nelle guerre tra gli Orchi malefici, gli Elfi e i primi Uomini del Nord. Nei giorni in cui si svolge la nostra storia c’erano ancora delle persone che avevano per antenati sia gli Elfi sia gli Eroi del Nord, e Elrond, il padrone di casa, era il loro capo*.
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