Ar-Pharazôn il Dorato, Ultimo Re di Nùmenor
Armenelos 3.118 S.E. – ? (Scomparso sulle spiagge di Aman nel 3319 S.E.)
Molto è stato scritto, dagli storici degli Uomini, sulla figura di Pharazôn il Dorato, la cui storia racchiude in sé tutti gli estremi della natura umana. Ambizione, orgoglio, potenza, superbia, paura della morte e ribellione contro i misteri di cui non si conosce l’intima natura.
Ma negli anni della sua giovinezza, quando il trono era occupato da suo nonno Ar-Gimilzôr, che per primo aveva vietato agli Elfi di sbarcare su Nùmenor e aveva cessato di recarsi al santuario di Eru sul Meneltarma, Pharazôn non sembrava interessato dalle diatribe tra gli Uomini del Re e i Fidi Nùmenoreani, guidati dai Signori di Andunië. È anzi ricordata la grande amicizia che legava lui e Amandil, figlio di Nùmendil, tale per cui, quando salì al trono, Pharazôn mantenne il proprio amico all’interno del Consiglio del Re sebbene sapesse delle sue simpatie per gli Eldar.
Tuttavia, in coerenza con gli insegnamenti del padre Gimilkhâd, figlio minore di Ar-Gimilzôr, disprezzò il pentimento dello zio Tar-Palantìr e la sua scelta di tornare alle antiche usanze, non ultima quella di assumere lo scettro con un nome alto elfico. Così fu che Pharazôn scelse di prendere il mare e di recarsi nella Terra di Mezzo, dove la guerra di posizione dei Nùmenoreani contro Sauron, in difesa delle colonie e dei porti commerciali fondati sulla terraferma, continuava senza sosta da diversi secoli.
Qui Pharazôn diventò un grande capitano di eserciti e si ricoprì di gloria, rafforzando le fortificazioni degli Uomini e ampliando il dominio di Nùmenor a Sud e a Est. Ciò facendo, acquisì grandi ricchezze che in futuro dispensò con generosità a coloro che fedelmente lo seguivano.
Tornò a Nùmenor dopo circa sessant’anni, quando ricevette notizia della morte del padre Gimilkhâd nell’anno 3243 della Seconda Era. Una morte precoce, si disse ai tempi, perché morì nel duecentesimo anno d’età pur essere un membro del lignaggio di Elros. E Pharazôn, seguendo le orme paterne, utilizzò le risorse acquisite nella Terra di Mezzo per blandire il popolo di Nùmenor e garantirsi il suo sostegno. Era egli divenuto un uomo ancora più inquieto, che ora bramava un potere ancora più grande di quello ottenuto combattendo a Est.

E così, quando Tar-Palantir morì gravato dal dolore per la distanza ormai incolmabile che separava i discendenti degli Edain dal popolo degli Elfi, e lasciò solo sua figlia Mìriel come erede al trono, Pharazôn la prese in moglie e prese lo scettro per sé. I racconti dei Fidi Nùmenoreani sottolineano che questo matrimonio fu condotto contro la volontà di lei, per quanto esistono racconti in cui si dice che, prima che le cose precipitassero, Mìriel non si fosse opposta alle nozze, non sentendosi in grado di governare senza il padre.
Da quel giorno fu conosciuto come Ar-Pharazôn, il più possente e il più superbo dei Signori dei Nùmenoreani. E la sua mente fu da allora sempre rivolta alla guerra, perché dopo il suo ritorno a Elenna le forza di Sauron si erano levate in gran numero, e ora minacciavano gli insediamenti sulla Terra di Mezzo. E i capitani di ritorno dall’Est raccontavano che il Nemico ambiva a dominare l’intero continente, e che si dichiarava Re degli Uomini, minacciando di “gettare a mare i Nùmenoreani e distruggere la stessa Nùmenor, se gli fosse riuscito”.
Ar-Pharazôn montò in collera, e tale fu la sua superbia da decidere di reclamare questo titolo, che a solo lui spettava in quanto erede di Eärendil. Diede ordine di preparare armi e addestrare soldati, e quando tutto fu pronto, egli stesso si mise a capo della flotta che mosse verso la Terra di Mezzo. Correva l’anno 3261 della Seconda Era quando le navi di Nùmenor, con vele di porpora su alti alberi che sorgevano dall’orizzonte, giunse al porto di Umbar, terrorizzando gli abitanti della costa. E quivi giunto, dispacciò messaggeri verso Sauron, comandandogli divenire al suo cospetto e giurargli fedeltà.
E Sauron venne.
Paludandosi d’umiltà e di saggezza, vellicando l’orgoglio di Pharazôn con lodi e onori, sottomettendosi alla forza di Nùmenor quando si rese conto che non avrebbe potuto sconfiggerli. Perlomeno non sul campo di battaglia.
Ma il Re apparentemente non si lasciò blandire, e scelse di umiliare Sauron traendolo prigioniero in Nùmenor, per essere certo che non avesse modo di ribellarsi non appena il suo esercito avesse lasciato il continente.
Ma non appena mise piede a Nùmenor, Sauron cominciò a istillare semi di corruzione nelle menti degli Uomini, e del Re tra i primi, perché gli era più vicino.
49 anni rimase Sauron a Nùmenor, e in questo tempo egli passò dall’essere un prigioniero a divenire il più fidato dei consiglieri del Re. Perché egli era sapiente, tentatore e sobillatore al tempo stesso. Molte cose insegno a Pharazôn e ai Nùmenoreani, ma tra di esse, in misura sempre maggiore, diffondeva blasfeme menzogne contro i Valar e contro gli Elfi. E le sue parole trovarono terreno fertile nella mente degli Uomini, che già da tempo non rispettavano i Valar e invidiavano il popolo dell’Eldalië.
E quando Sauron comprese che l’ora era giunta, parlò anche contro Eru, dicendo che i Valar erano i suoi Araldi perché “a loro dice solo quello che essi vogliono, Ma colui che è il loro padrone pur prevarrà, liberando te da questo fantasma; e il suo nome è Melkor, Signore di Tutto, Donatore di Libertà. Ed egli ti renderà più forte dei Valar”.

Da allora, Pharazôn si volse all’adorazione della Tenebra e di Melkor suo Signore.
Fu in quest’epoca che, sobillato da Sauron, Ar-Pharazôn acconsentì a licenziare Amandil dal suo Consiglio Reale. Ma tale era il rispetto che il popolo ancora volgeva al Signore di Andunië che né il Re, né Sauron, osarono fare di più che confinarlo a Rómenna con suo figlio Elendil e i di lui figli Isildur e Anárion.
Non ultimo tra i sacrilegi di Pharazôn fu la morte di Nimloth il Bello, l’Albero Bianco simbolo dei Sovrani di Nùmenor. Inizialmente il Re era restio a tale atto, perché vedeva nell’albero una delle ragioni della fortuna della sua Casata. Ma tutti sapevano, alla Corte e altrove, che anche in questo caso Sauron avrebbe prima o poi vinto l’ormai debole volontà del sovrano.
E così Isildur figlio di Elendil, decise di introdursi nottetempo nel Palazzo di Armenelos e, a prezzo di molte ferite, di raccogliere un frutto dell’Albero, che fu poi piantato a Rómenna e benedetto da Amandil, e poi portato nella Terra di Mezzo.
Proprio il furto del frutto alla fine convinse il Re, che acconsentì alla sua distruzione. E Sauron corruppe il santuario sul Meneltarma, in cui bruciò i resti di Nimloth, facendone un tempo di orrore dedicato a Morgoth nel quale, si racconta, non mancarono negli anni successivi nemmeno i sacrifici umani. E lo stesso avveniva sulla Terra di Mezzo, dove i Nùmenoreani cominciarono a tiranneggiare gli altri Uomini imponendo un terrore pari solo a quello che Melkor impose al Beleriand durante la prima era.
Ma ciò non mutò le sorti del popolo di Nùmenor, che continuava a invecchiare sempre più rapidamente, e tanto più ossessivamente si aggrappava alla vita. Sauron comprese che era giunto il momento della propria ultima mossa, perché il Re, ormai vicino ai 190 anni di età e avviato al veloce deperimento che già aveva toccato suo padre, era ormai disperato di fare qualunque cosa pur di accrescere la propria longevità.
E allora Sauron parlò nuovamente dei Valar, e istigò Pharazôn contro di loro, dicendo che era Aman, la Terra Benedetta, a garantire vita eterna, e non già la grazia di un qualche Dio.
E il re così diede ordine di preparare un Grande Armamento con il quale muovere guerra all’Ovest. I Valar inviarono molti segnali agli Uomini, in forma di grandi nubi a forma d’aquila. Ma anziché spaventarsi, I Nùmenoreani divennero ancora più agguerriti, e Ar-Pharazôn dichiarò, nella sua follia, “I Signori dell’Ovest hanno macchinato contro di noi, e ora colpiscono per primi. Ma il prossimo colpo sarà il nostro!”
Nove anni dopo, l’esercito di Nùmenor era pronto. E Pharazôn si sedette in armatura sul proprio trono dall’alto della nave Alcarondas, facendo vela verso Ovest.
Poiché nessuno tornò da questa empia spedizione, sono solo le tradizioni a raccontare cosa avvenne dopo. L’Akallabêth racconta che le navi degli Uomini giunsero a Ovest, superando Tol Eressëa e ancorando nella baia di Eldamar. E si dice che qui giunto, ammirando l’alta vetta di Taniquetil, Ar-Pharazôn ebbe un ultimo ripensamento e quasi diede ordine di ritornare.
Ma ormai si era spinto troppo oltre. Guidò le sue truppe sulla spiaggia e attraverso il Calacirya, accampandosi sotto le mura di Tirion la Bella e dichiarando quella terra di sua proprietà se nessuno lo avesse affrontato.
E fu allora, si racconta, che i Valar rimisero la propria autorità su Arda nelle mani di Eru, che si dimostrò terribile nella sua collera. Ilùvatar divise il mondo in due, traendo Valinor al di là dei confini della Terra acciocché nessun mortale potesse più raggiungerlo. E il mare si aprì in due, e l’acqua lo invase, e una grande onda di piena, più alta delle montagne dei Pelori stessi, si alzò, rutilando verso Est. E quel giorno Nùmenor cessò di esistere, e da allora gli Uomini ne parlano come Mar-nu-Falmar inghiottita dalle onde.
Ma di Ar-Pharazôn e del suo esercito nulla si conosce. Eppure c’è chi dice che Eru, nella sua immensa sapienza, non abbia punito la loro empietà con la morte. Egli e i suoi Uomini furono infatti risucchiati nella voragine che separò Aman dal mondo, e si racconta che si trovino ancora lì, in quelle che vengono chiamate Grotte degli Obliati. E lì rimarranno per tutte le successive Ere del Mondo, fino a che non giungerà Dagor Dagorath e il Giorno del Giudizio in cui al più grande, superbo e folle Re degli Uomini sarà data l’ultima occasione per riscattare il proprio onore e quello di tutti i Secondinati.