LINGUE TOLKIENIANE / Stagione 2, Ep. 1 - Animalic

Cari amici, ben ritrovati alla rubrica sulle Lingue Tolkieniane.

Come annunciato negli scorsi episodi, ripercorreremo in questa sezione della nostra serie le parti più interessanti della conferenza tenuta da Tolkien nel 1931, al club letterario del Pembroke College di Oxford, e alla presenza di un pubblico di filologi. Questo saggio-conferenza aveva originariamente come titolo A Hobby for the Home (“Un passatempo casalingo”, cui seguiva la nota “In altre parole: lingue fatte in casa o inventate”), ma Tolkien vi si riferisce in una lettera molto più tarda (Lett. 294. – 8 febbraio 1967 a Charlotte e Denis Plimmer) con il nome di A Secret Vice, “Un Vizio Segreto”, espressione che compare anche all’interno del testo e che venne perciò adoperata da Christopher come titolo ufficiale in occasione della sua pubblicazione all’interno della raccolta The Monsters and the Critics, and Other Essays (in Italia, Il Medioevo e il Fantastico).

[Recentemente, in seguito ad una ricerca del Prof. Simon Horobin per una pubblicazione su C. S. Lewis, sono emersi dei manoscritti, tratti dal verbale di una conferenza del 1930 tenuta da Tolkien presso il Michaelmas Club, in cui compaiono gli stessi contenuti di A Secret Vice, ma ben un anno prima della sua presentazione al Pembroke College. Fonte: https://www.jrrtolkien.it/2024/08/21/le-lingue-di-tolkien-al-michaelmas-club/.]

Tornando a noi: tra gli argomenti toccati in quella circostanza, rivestono una particolare importanza (e hanno causato un particolare interesse, a posteriori, da parte di tutti gli appassionati alle lingue fittizie del Professore) le testimonianze sulle lingue tolkieniane dei primordi, ovvero le prime suggestioni o ispirazioni, i primi esperimenti che influenzarono il “vizio segreto” di Tolkien, o quelle esperienze alle quali partecipò lui stesso attivamente.

Infatti, dopo aver introdotto, dapprima quasi “di soppiatto” per non sciupare la sorpresa, l’argomento della creazione di lingue fittizie (come abbiamo visto nel racconto dell’episodio dell’“ometto” che coniava la sua grammatica personale mentre lui e lo stesso Tolkien si trovavano in trincea), Tolkien racconta delle sue esperienze linguistiche giovanili e dei suoi primissimi approcci con le lingue inventate.

Il primo di questi fu (probabilmente) l’Animalic (“Animalico” o “Animalese”, a seconda delle traduzioni italiane di MF), una sorta di “codice” nato probabilmente come inside joke tra due cugine di Tolkien, Mary e Marjorie Incledon, intorno al 1905.

Questo rudimentale “linguaggio” consisteva nel sostituire ogni parola inglese con un nome di animale o con un numero. L’unico esempio che ci è rimasto è la frase che lo stesso Tolkien cita nel saggio-conferenza:

Dog nightingale woodpecker forty!
Cane usignolo picchio quaranta!”

che doveva all’incirca significare You are an ass! (“Tu sei un asino!”). [“ass” nel gergo colloquiale inglese significa “ciuco, somaro”]

Tolkien agli inizi del ‘900

Il buon Tolkien commenta, quasi per scusarsi dell’esempio, “crude… in the extreme” (“estremamente… rozzo”), e tuttavia l’allora giovanissimo Ronald (all’epoca appena tredicenne, e ciononostante già abbastanza addentro allo studio del Latino e dell’Anglosassone), entrando in contatto con quello che era poco più che un gioco fanciullesco, doveva esserne evidentemente rimasto quantomeno divertito.

Dal suo punto di vista, l’aspetto interessante non era tanto l’idea, in sé goliardica e quasi infantile, di conversare con scioltezza all’interno di un gruppo ristretto di “fedeli”, sciorinando soltanto nomi di animali e numeri (pratica che apparentemente serviva anche a lasciare di stucco gli adulti presenti, esterni a questo gioco), quanto il carattere di “artisticità” latente, ovvero di creazione non soggetta all’utilità pratica o funzionalità comunicativa, nonché il dimostrato interesse (istintivo, in ragazzini appena adolescenti) verso l’utilizzo personale della facoltà linguistica.

Di fatti, ho detto “apparentemente”, in quanto Tolkien a un certo punto appunta:

I gruppi gergali sono “pratici”, più ancora delle lingue vere, concretamente o per simulazione. Soddisfano il bisogno di limitare la comprensibilità dei concetti espressi all’interno di cerchie […] sono sufficienti alle necessità di società segrete oppure perseguitate […] i mezzi così configurati come “pratici” sono rozzi: in genere presi a caso dai giovani o dai più illetterati senza preparazione in questa difficile arte [quella di inventare una lingua, seppur con un obiettivo pratico “urgente”], per la quale spesso hanno una piccola predisposizione o interesse.

Dati questi presupposti, non avrei riportato l’esempio dei bambini che parlavano in Animalese se non avessi scoperto in seguito che la segretezza non era affatto uno dei loro scopi. Chiunque poteva apprendere la lingua, purché se ne desse la briga. L’Animalese non serviva a sconcertare o ingannare gli adulti. Ecco che subentra un nuovo fattore. Il divertimento doveva necessariamente risiedere in qualcosa di diverso dalla qualità iniziatica o dalla pretesa di appartenere ad una società segreta. In cosa, allora? Mi viene da pensare che risiedesse nell’uso della facoltà linguistica, fortissima nei bambini e stimolata da lezioni che consistono in gran parte nell’apprendere lingue nuove [grassetti miei]

Cosa intende dire Tolkien in questo passaggio? Che l’Animalic non era un codice. La segretezza dell’Animalic era “del tutto secondaria, prodotto accidentale delle circostanze”:

Per quanto individualisti possano essere i creatori, che cercano piaceri e possibilità espressive strettamente personali, rimangono comunque artisti, e come tali incompleti in mancanza di un pubblico.

Illustrazione in stile bestiario medievale raffigurante un asino che suona il liuto

A muovere i creatori dell’Animalic era dunque il bisogno di espressione “artistica”, determinata dal “puro divertimento e dal piacere personale”, e applicata alla creazione di un “linguaggio”, ovvero ad un’assegnazione inedita tra vocabolo e concetto.

[Tra l’altro, non assegnazioni particolarmente funzionali o razionali: sostituire parole di uso comunissimo come ausiliari o articoli con termini lunghi e complessi quali “nightingale” o “woodpecker” è qualcosa di quantomeno scomodo, e proprio questa “scomodità” faceva parte del gioco e del suo estro! Un altro gustoso dettaglio che Tolkien ci rivela è il fatto che la parola Animalic per forty “quaranta” [40] fosse donkey, in un gioco di reciprocità beffarda e casuale – senza, tuttavia, la minima traccia di invenzione fonemica… ancora…]

In questo senso, quell’innocente hobby domestico tra cuginetti cominciò a far germogliare nel giovane Tolkien l’idea che la creazione di linguaggi fosse un’attività artistica ed estetica, oltre che funzionale. E direi che questa è la base teorica di tutto ciò che si sviluppò negli anni successivi.

Facendo finalmente “uscire il coniglio dal cappello”, Tolkien rivela quale sia l’argomento del saggio-conferenza:

È un’arte per la quale non basta addirittura un’intera vita: la costruzione di lingue immaginarie, in dettaglio o a grandi linee, per divertimento, per gusto personale di chi le edifica, o forse anche di eventuali critici.

Dopo tanti anni, penso possiamo confermare che il divertimento è condiviso largamente anche dal pubblico di “critici”.

***

Bibliografia:

  • A Secret Vice (1931), in The Monsters and the Critics, and Other Essays (1983), ed. by Christopher Tolkien

  • The Letters of J. R. R. Tolkien (1981), ed. by Christopher Tolkien

Sitografia:

-Rúmil

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