Andròg, il fuorilegge
Dor-Lòmin, c.a 450 P.E. – Amon Rûdh, 489 P.E.
Spesso, nelle saghe degli Antichi Tempi, ci siamo abituati a leggere racconti di Elfi, Uomini e Nani caratterizzati da forti ideali, spinti verso il proprio destino per le proprie scelte che, buone o cattive che fossero, erano esito di una decisione razionale o di usi e costumi ereditati dai propri antenati.
Ma nel grande affresco che fa da sfondo alle grandi saghe, come spesso succede, non tutte le storie hanno una morale.
Il protagonista di oggi, Andróg, è infatti un Uomo dal passato macchiato di sangue, cacciato da Dor-lómin per l’uccisione di una donna. Fuggendo dalla giustizia, si rifugiò nei boschi a ovest di Doriath, dove si unì ai Gaurwaith, una banda di fuorilegge guidata da Forweg.
Andróg si trovava con loro quando incontrarono uno straniero nel loro territorio. Lo circondarono, pronti a sfidarlo. Ma l’uomo alzà la testa, rivolgendo loro uno sguardo fiero e nobile, e si rivelò essere Túrin, figlio di Húrin, che con audacia si offrì di affrontarli tutti. Solo Andróg accettò la sfida, ma ben presto riconobbe la superiorità del guerriero. Così, vedendo in lui un uomo di valore, sostenne la sua ammissione nel gruppo.
L’inverno trascorse tra i fuorilegge e Túrin divenne uno di loro. Ma con la primavera giunse un evento fatidico: nei boschi, Túrin scorse una giovane donna in fuga attraverso un fitto boschetto di noccioli. Alle sue spalle, un uomo la inseguiva. Senza esitazione, Túrin calò la lama e solo dopo il colpo mortale si rese conto della verità: aveva ucciso proprio Forweg, il capo dei Gaurwaith. Poco dopo giunse Andróg, che aveva accompagnato Forweg nella caccia alla donna. Ma non levò la spada contro Túrin, consapevole delle capacità dell’Uomo.
La fanciulla, disperata, offrì a Túrin una ricompensa da parte di suo padre, Larnach, se avesse giustiziato Andróg. Ma Túrin, saldo nel proprio codice d’onore, rifiutò e la rimandò a casa.
Mentre Andróg scavava la tomba di Forweg, Túrin si presentò dinanzi ai fuorilegge e ammise il proprio operato. Andróg confermò la verità del suo racconto e, in quel momento, Túrin reclamò il comando della banda. Alcuni uomini, furenti, ne domandarono invece la morte, avendo egli ucciso uno di loro. Ma ancora una volta fu Andróg a parlare in suo favore, richiamandosi alle semplici regole della vita dei fuorilegge ove ogni uomo ha solo la spada per dimostrare il proprio valore. E così ne difese la candidatura. E Túrin divenne capo dei Garwaith.
Col tempo, Túrin consolidò la sua autorità. E ogni volta che partiva per spiare i movimenti degli Orchi, lasciava Andróg al comando. Ma fu in quei giorni di attesa che un’ombra del passato si manifestò tra loro: Beleg, il nobile arciere elfico e antico compagno di Túrin, giunse nel campo.
Convinto di trovarsi di fronte a una spia degli Elfi, Andróg lo catturò, lo legò a un albero e lo interrogò. Le risposte dell’Elfo non lo soddisfecero e così propose di giustiziarlo – e sicuramente tra le sue motivazioni vi era il fatto che desiderava impossessarsi del suo magnifico arco. Ma gli altri uomini si opposero, permettendogli solo di tenere Beleg prigioniero per due giorni. Quando Túrin fece ritorno e scoprì la sorte toccata al suo vecchio amico, impose un giuramento a sé e ai suoi uomini: mai più avrebbero levato la mano contro Elfi o Uomini.
Ma il destino stava per bussare alla porta dei Gaurwaith.
Dopo la partenza di Beleg, gli Orchi moltiplicarono le loro incursioni, costringendo Túrin a condurre i suoi uomini più a sud. Fu allora che s’imbatterono in tre Nanerottoli che cercavano a loro volta di allontanarsi dalle scorribande degli Orchi. Uno di loro, Mîm, fu catturato, mentre gli altri fuggirono. Andróg scoccò una freccia verso i due in fuga, facendone accasciare uno.
Quando Mîm condusse la banda di Túrin fino ad Amon Rûdh, la terribile verità venne alla luce: la freccia di Andróg aveva ucciso Khîm, figlio di Mîm. Il dolore e la rabbia del Nano furono placati solo dalla promessa di Túrin di offrirgli oro, se mai fosse diventato ricco. Ma su Andróg, Mîm scagliò una maledizione: avrebbe dovuto spezzare il proprio arco e rinunciare per sempre all’uso delle frecce, o sarebbe morto trafitto da una di esse. Andróg, seppur riluttante, ruppe l’arco, ma giurò che Mîm un giorno avrebbe trovato la morte con un dardo nella gola.
Così, i fuorilegge presero dimora nella Bar-en-Danwedh su Amon Rûdh, condividendo il rifugio con Mîm. Ma il Nano non trovò amicizia tra loro, se non con Túrin. Andróg, invece, non gli concesse mai fiducia. Durante le sue esplorazioni, scoprì una scala segreta che conduceva alla sommità della collina, ma tenne per sé la sua esistenza, convinto che fosse un’informazione che poteva sfruttare in futuro, per consolidare il suo ruolo tra di loro.
Ma il suo tormento crebbe ancor di più quando Beleg fece ritorno al gruppo, legando ancor di più Túrin a sé.
Alla fine, Andróg ruppe il voto imposto dalla maledizione e impugnò di nuovo l’arco. Durante un’incursione, un Orco lo colpì con una freccia avvelenata, ma la sua vita fu salvata dalle cure di Beleg. Mîm, il cui odio per l’Elfo cresceva sempre più, sibilò che la sua maledizione non aveva ancora terminato il proprio corso. E infatti, quando Mîm tradì il nascondiglio ai nemici, gli Orchi assalirono la roccaforte e una nuova freccia colpì Andróg.
I nemici catturarono Beleg e lo legarono con corde di ferro sulla cima di Amon Rûdh, ordinando a Mîm di finirlo. E il Nano, obbediente al suo rancore, stava per compiere il vile atto, quando Andróg, ormai agonizzante, trovò l’ultima scintilla di forza dentro di sé. Con le sue ultime energie, respinse il Nano e, in un ultimo gesto di redenzione, tagliò le corde che imprigionavano l’Elfo.
Come sappiamo, una volta liberatosi, Beleg si lanciò all’inseguimento degli Orchi per liberare Túrin, avvicinandosi vieppiù al proprio destino, che lo vedrà cadere trafitto dall’amico, che credeva di avere a che fare con uno degli Orchi che lo imprigionava.
Ma quel giorno, sopra la Bar-en-Danwedh, Andróg incontrò la sua fine.
Pochi rimasero a piangerlo. E l’unico di cui si conosce l’esistenza è suo figlio, Andvír, unico sopravvissuto al massacro di Amon Rûdh. Fu lui a tramandare il racconto di quei giorni fatidici a Dírhavel, che lo consegnò all’eternità vergando le pagine del Narn i Hîn Húrin.