In mezzo alla calca lottava Théoden, figlio di Thengel, e la sua lancia si frantumò nell’abbattere il capitano nemico. Sguainata la spada si lanciò contro lo stendardo, colpendo al tempo stesso asta e cavaliere; il serpente nero fu abbattuto. I superstiti della cavalleria volsero allora le spalle e fuggirono lontano. Ma ecco che all’improvviso, nel pieno della gloria, il re vide oscurarsi il suo scudo dorato. Il nuovo mattino fu come cancellato in cielo. L’oscurità li circondò nuovamente. I cavalli si misero a nitrire impennandosi. Uomini caduti di sella si agitavano per terra. «A me! A me!», gridò Théoden. «Coraggio, Eorlingas! Non temete l’oscurità!». Ma Nevecrino impazzito dal terrore s’impennò, lottando con l’aria, e poi con un terribile grido crollò sul fianco: una freccia nera l’aveva trafitto. Il re cadde sotto il cavallo. La grande ombra scese come una nuvola cadente. E, meraviglia! era una creatura alata: se uccello, assai più grande di qualunque altro uccello, e stranamente nudo sprovvisto di penne e di piume, e le sue immense ali parevano pelle tesa fra grinfie di corno; emanava un fetore mortale. Era forse una creatura di un mondo scomparso, la cui razza, sopravvissuta in montagne nascoste e fredde sotto la Luna, non si era ancora estinta, covando questi ultimi arcaici esemplari, creati per la malvagità. E l’Oscuro Signore se n’era impadronito, alimentandoli con cibi crudeli, facendoli crescere oltre la misura di ogni altro essere alato; li aveva dati ai suoi servitori da usare come destrieri.
{J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, La Battaglia dei campi del Pelennor, Théoden fights Nazgûl King on Ares game}
-Lúthien Tinúviel

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