Ma Shelob non era come i draghi, e non possedeva altro punto delicato che gli occhi. Piena di fossi, di bozzi e di putridume era la sua vecchissima pelle, ma protetta all’interno da innumerevoli spessori di orrendi tumori. La lama aprì un terribile squarcio, ma era impossibile trafiggere quelle coriacee pieghe, anche con una spada forgiata da Elfi o da Nani e brandita dalla mano di Beren o di Tulin. Dopo aver ricevuto il colpo, sollevò l’enorme sacca del suo ventre in alto sopra la testa di Sam. Schiuma e bolle di veleno sgorgavano dalla ferita. Poi, divaricando i tentacoli, piombò di nuovo con tutta la sua massa addosso al nemico. Troppo presto. Sam era ancora in piedi, ed aveva lasciato la sua spada per tenere con ambedue le mani la spada elfica puntata verso l’alto contro lo spaventoso soffitto. E così Shelob, con tutta la potenza del proprio malvagio volere, con una forza più immane di quella di un guerriero, si lanciò su di una punta aguzza. Profonda, sempre più profonda s’immerse, e Sam lentamente fu costretto ad accasciarsi in terra. Mai Shelob aveva sopportato o immaginato un si atroce tormento, in tanti lunghi anni di malefici.
Né il più valoroso dei soldati di Gondor, né il più selvaggio degli Orchi intrappolati era mai riuscito a resisterle o a ferire la sua adorata carne. Un brivido la percorse.
{J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Messer Samvise e le sue decisioni, photo by Movie.Screencaps}
-Lúthien Tinúviel