Il freddo stava diventando sempre più intenso lassù e il vento soffiava fischiando tra le rocce. A tratti, grossi macigni precipitavano giù dai fianchi della montagna, staccati dal sole di mezzogiorno che scioglieva la neve, e passavano in mezzo a loro (una bella fortuna!), o sopra la loro testa (una bella preoccupazione!)*. Le notti erano scomode e gelide, ed essi non osavano cantare o parlare a voce troppo alta, poiché l’eco era strana e pareva che il silenzio non volesse essere rotto, tranne che dal rumore dell’acqua, dal gemito del vento e dallo sgretolarsi delle rocce.
 *Tolkien scrive al figlio Michael nel 1967: «Il viaggio dell’Hobbit [Bilbo] da Rivendell [Gran Burrone] al di là delle Montagne Nebbiose, compresa la scivolata sulle pietre che cadevano fino ai boschi di pini, è basato sulle mie avventure [in Svizzera] nel 1911… Le peregrinazioni, per lo più a piedi, della nostra compagnia fatta di dodici persone non mi sono ora chiare nella sequenza, ma mi hanno lasciato ricordi molto vividi, nitidi come se fossero avvenute ieri… Percorremmo a piedi portando grossi zaini praticamente tutta la strada… Dormivano dove capitava, noi ragazzi, spesso in fienili o in stalle, dato che seguivamo le mappe ed evitavamo le strade e non alloggiavamo mai in locande, e dopo una magra colazione ci facevamo da mangiare all’aperto… Un giorno siamo andati a fare una lunga camminata con le guide su al ghiacciaio Aletsch – dove io ho sfiorato la morte. Avevamo le guide, ma o non avevamo previsto le conseguenze di quella calda estate, o non avevamo prestato sufficiente attenzione, o eravamo partiti troppo tardi. Fatto sta che a mezzogiorno eravamo in fila su un sentiero stretto stretto con un pendio nevoso sulla destra che saliva fino all’orizzonte e a sinistra un precipizio che finiva in una gola. Il caldo di quell’estate aveva già fatto sciogliere molta neve, ed erano emersi pietre e massi che di solito (penso) erano coperti in quel periodo. In quella calda giornata la neve continuava a sciogliersi e noi eravamo preoccupati al vedere che molte pietre cominciavano a rotolare giù dal pendio acquistando sempre più velocità nella caduta: alcune non erano più grosse di arance, altre erano come palloni da calcio e altre un po’ più grandi. Sfrecciavano sibilando, attraversando il nostro sentiero e finendo nella gola. «Bombardavano duro», signore e signori. La loro caduta iniziava piano piano e poi precipitavano di solito in linea retta, ma dato che il sentiero era impervio noi dovevamo tenere d’occhio dove mettevamo i piedi. Ricordo quella del gruppo che stava davanti a me (un’anziana insegnate) lanciare all’improvviso un urletto e balzare in avanti mentre un grosso masso schizzava tra me e lei. Poco più in là delle mie ginocchia che quasi si piegarono» (La realtà in trasparenza cit, lettera 306).
{J. R. R. Tolkien, Lo Hobbit, Su e Giù, Aletsch Glacier – Wikipedia}
-Ancalagon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien